10/26/2006

Speciale India

Speciale India

Oltre alla Cina, vi è un altro gigante asiatico tornato di recente alla ribalta con le sue elezioni politiche: l'India, che conta un miliardo di abitanti.
L'India è una terra di grandi contrasti, un forte capitale umano capace tecnologicamente coesiste con infrastrutture arretrate ed una povertà disumana. Di recente però sono stati realizzati alcuni miglioramenti e dopo decenni di false partenze, ora sembra che un nuovo approccio allo sviluppo economico stia finalmente attecchendo. Se questo si confermerà, vi saranno emormi implicazioni per l'economia asiatica e quella mondiale.

La prima tentazione è quella di comparare l'India alla Cina, per cercare di capire quale di questi due giganti ha l'approccio migliore allo sviluppo. In realtà non c'è alcun motivo di porre in competizione le due economie: non si tratta di Cina o India, bensì di tutte e due. Ognuna di esse ha un contesto nettamente diverso, culturale e sociale, ma tali contesti appaiono più complementari che alternativi nella misura in cui li si inquadrano nel grande mosaico della globalizzazione. Certo, la Cina viene prima, ed è sulla bocca di tutti, ma la sua emersione è servita anche all'India.Dal momento che il mondo ha finalmente preso coscienza del miracolo cinese, si è aperta la porta anche alla comprensione del possibile miracolo indiano. Semplificando possiamo sintetizzare dicendo che l'India sta ai servizi come la Cina sta alla produzione manifatturiera. Il progresso manifatturiero è tipicamente l'unità di misura usata per calcolare il grado di sviluppo delle nazioni emergenti. E se si guarda all'India da questo punto di vista, non c'è confronto. La Cina ha dedicato la sua enorme riserva di risparmio interno (circa il 40% del PIL) a edificare alcune tra le migliori infrastrutture che si possano oggi vedere al mondo. Ed è stata abile nell'attrarre massicci afflussi di investimenti diretti esteri come modo per acquisire tecnologia, esperienza manageriale e fabbriche in grande quantità: circa 53 miliardi di dollari all'anno dal 2000. L'India soffre nel confronto perchè non ha avuto nulla di tutto ciò, pur avendo un risparmio nazioanle del 24% del PIL, poco più della metà di quello cinese.Ne è risultata una capacità nettamente inferiore di sviluppo delle infrastrutture.Come si legge nell' India Infrastructure Report 2004 “…perfino relativamente al nostro reddito, le nostre carenze di acqua ,strade, sanità, istruzione ed elettricità, sono ipressionanti.”
Del resto gli afflussi di capitale estero nel 2003 sono stati meno di un decimo di quelli pervenuti in Cina. Ma in realtà non è solo in questo modo che l'India va vista. La sua forza è altrove, e precisamente in un capitale umano elevato.Questa forza si vede nella creazione di aziende di servizi informatici a livello mondiale, come Infosys e Wipro, nonchè conglomerate di servizi sussidiari come Reliance e Tata.Queste aziende sono state capaci di supplire alle grandi carenze in infrastrutture e in capitali esteri. Autosufficienti in energia elettrica, sono state capaci di generare capacità di back-up, per la quale la sola infrastruttura necessaria è quella delle telecomunicazioni.Ed in questo caso, il governo Indiano ha agito saggiamente, focalizzandosi sulla deregolamentazione delle telecom e nella facilitazione della connettività sia nei mercati interni che verso le destinazioni estere. I risultati parlano da soli: per fine 2003, la crescita nei servizi è stata del 10% annuo, ben sopra il +6% della produzione industriale. Per la prima volta, i servizi hanno superato quota 50% del PIL, (erano al 40% nel 1991) e si avvicna al 65% medio delle nazioni sviluppate.Le esportazioni di servizi informatici hanno raggiunto i 4 miliardi di dollari, raddoppiandosi rispetto al 2001. Gli USA sono importatori dei due terzi dei servizi indiani.
L' Industria del software indiano impiega attualmente circa 785 mila persone, con un aumento del 60% rispetto ai 500 mila di due anni fa, e si prevede un aumento del 50% annuo per fine 2005. Non ci sono preoccupazioni circa i limiti alle assunzioni: nel solo 2002 si sono laureati 290 mila ingegneri, e le università indiane sono di ottimo livello. Questo trend è emblematico del potente cambiamento in atto, e fa pensare a nuove durature sfide competitive alle legioni di esperti informatici americani il cui costo è enormemente superiore. Si chiama globalizzazione, ed è così che funziona.
Ma è importante sottolineare che, contrariamente a quanto si crede, il successo indiano nei servizi non dipende solo dal minor costo del lavoro qualificato lì disponibile; certo, il risparmio è enorme perchè si parla di salari pari al 15-20% di quelli occidentali. ma la forza del modello indiano non riguarda solo i serivzi commodity come i call-center e la gestione dati, bensì anche un ampio spettro di di attività che includono funzionalità di ordini ed acquisti, contabilità, assicurazioni, cioè un ampia gamma fi funzioni di controllo aziendali. Di recente gli indiani hanno conquistato settori come quello medico, quello attuariale, quello legale. Questo perchè c'è una naturale inclinazione verso applicazioni informatiche , dal software di programmazione, alle piattaforme multimediali, ai sistemi di supporto ed ai network gestionali.
La lista è lunga, ma per le aziende indiane la punta di diamante viene dallo sviluppo di soluzioini sistemiche integrate per i clienti. Si tratta di un vero e proprio "cavallo di troia" guidato inizialmente dal minor costo del lavoro che rende l'outsourcing estremamente attraente per migliorare l'efficienza aziendale nelle aziende occidentali; ma poi gli indiani si mostrano capaci di trasferire questa opportunità al livello successivo, fornendo sinergie realizzate con soluzioni collaborative che coinvolgomo funzioni prima segmentate. E attaccano questi sistemi integrati a network globali capaci di trasferire le funzioni gestionali e di controllo in tutto il mondo durante le 24 ore. Il che rivoluziona il vecchio concetto secondo il quale le aziende di servizi globali devono essere localizzate vicine ai loro clienti principali. Il modello indiano consente invece nuove potenti strategie, al di là dei risparmi sul costo del lavoro.
La nazione è orgogliosa di ciò che ha ottenuto negli ultimi 12 anni nel settore informatico, ma ancora ritiene che la manifattura sia la chiave alla prosperità. E' un attaccamento al vecchio concetto, ed influenza tuttora la classe politca che ritiene l'indistria manifatturiera la fonte primaria di occupazione. Invece gli sviluppi tecnologici recenti hanno ribaltato la situazione. Oggi l'industria manifatturiera assorbe sempre meno personale. Ed invece, i servizi sono a pià alta intensità di lavoro, specialmente nelle attività basate sulla conoscenza, tipiche dell'era informatica. Per una grande nazione come l'India, un modello di sviluppo guidato dai servizi sembra ideale sia per la sua più grande forza di capitale umano, sia per i suoi grandi bisogni di occupazione e di lotta alla povertà. Il fatto poi che oggi i servizi informatici siano commerciabili in tutto il mondo, è proprio ottimale. L'eleganza delle produzioni manufatturiere indiane è nota, ma non riescono a sfondare. L'approccio basato sui nuovi servizi è quindi un alternativa ottima, ma ancora oggi si scontra con con la mentalità del passato. Comunque sta emergendo un nuovo orientamento ed una nuova determinazione, dopo decenni di false partenze ed errori governativi; questo gigante asiatico ha adesso, finalmente, assorbito i costi fissi della democrazia. Riforme cominciate ad inizio anni 90 stanno iniziando ad avere effetti . A differenza della Cina, l'India ha un sistema bancario ben sviluppato, mercati di capitali, ed una nuova generazione di aziende nazioanli che operano a livello internazionale.La Cina ha un modello di sviluppo che dipende dall'estero con la speranza che i benefici si diffondano nel mercato interno. L'India ha un modelo di sviluppo creato in casa che sta ora guadagnando un audience globale. Entrambi gli approcci hanno le loro virtù e le loro debolezze. Eppure possono entrambi avere successo, perchè derivanti da contesti diversi.