11/20/2018

NEUREXIT

I sempre più convinti esponenti dell'EUREXIT (coloro che ritengono conveniente per l'Italia uscire fuori dall'euro) hanno fatto di Joseph Stiglitz, premio Nobel 2001 per l'economia, la loro bandiera, perchè questo americano a sua volta da tempo ha preso di mira l'euro, fino a dedicarci un libro(L’euro: come una moneta comune minaccia il futuro dell’Europa, non tradotto in italiano,2016). Va premesso che il prof. Stiglitz fu insignito del famoso riconoscimento, insieme ad altri 2 studiosi, per un suo contributo sulle asimmetrie informative, nell'ambito della microeconomia di cui è specialista. Dunque si può ritenere che quando si occupa di macroeconomia giochi un pò fuori casa. Inoltre si sa che gli americani vedono l'euro come un pericoloso concorrente del loro beneamato dollaro che tanta libertà concede -in quanto unica moneta mondiale -all'impero a stelle e strisce. Legittimo pertanto restare dubbiosi circa i consigli non richiesti che così generosamente Egli concede, specie agli anelli deboli dell'eurozona. Quest'anno si è rivolto all'Italia: il 26 giugno, visto il nuovo governo pentalegato euroscettico, Stiglitz ha scritto un articolo in inglese su Politico, da molti considerato un incoraggiamento all'eurexit. Ma ci sono varie contraddizioni se si legge bene il testo qui
In particolare, dopo critiche ai tedeschi e caso Grecia, arriva a noi:
"A lower exchange rate will allow Italy to export more. Consumers will substitute Italian-made goods for imports. Tourists will find the country an even more attractive destination. All of this will stimulate demand and increase government revenues. Growth will increase, and Italy’s high level of unemployment (11.2 percent, with 33.1 percent youth unemployment) will decrease."
Wow, che bel mondo delle meraviglie! se fosse così saremmo davvero pazzi a non precipitarci a uscire. Peccato Lui dimentichi che ben prima di avere effetti sull'export, il più basso tasso di cambio provocherebbe un forte rialzo dei prezzi dell'energia e delle materie prime che l'Italia importa copiosamente essendone sprovvista. E questo significherebbe una immediata enorme tassa sul potere d'acquisto dei consumatori che si ritroverebbero a sostituire ben poco! E naturalmente le persone scenderebbero in piazza, i sindacati proclamerebbero scioperi a oltranza, per avere ripristinati salari, stipendi e pensioni nella nuova moneta a livelli di potere d'acquisto precedenti. Il che significherebbe per le aziende esportatrici, innanzitutto rialzare i listini prezzi per recuperare gli AUMENTI di materie prime e stipendi,  e solo poi vendere sperando resti qualche margine a favore dei clienti esteri, forse ben misera cosa a fronte di  un paese nel caos. Su queste dinamiche non scrive nemmeno una parola, le salta a piè pari. 
Invece, circa la micidiale questione finanziaria che l'EUREXIT verrebbe ad aprire, Stiglitz scrive: 
"The challenge, of course, will be to find a way to leave the eurozone that minimizes the economic and political costs. A massive debt restructuring, carefully done, with special attention to the consequences for domestic financial institutions, will be essential. Without such a restructuring, the burden of euro denominated debt would soar, offsetting possibly a large part of the potential gains".
Appunto, peccato Lui non spieghi come si fa codesto miracolo. O meglio ci prova, ma...
"From an economic perspective, the easiest thing to do would be for Italian entities (governments, corporations and individuals) to simply redenominate debts from euros into new lira. But because of legal complexities within the EU, and because of Italy’s international obligations, it may be preferable to enact a super-Chapter 11 bankruptcy law, providing expeditious recourse to debt restructuring to any entity for whom the new currency presents severe economic problems. Bankruptcy laws remain an area within the purview of each of the nation states of the EU.  Italy could even choose not to announce that it’s leaving the euro. It could simply issue script (say government bonds) that would have to be accepted as payment for any euro debt obligation. A decrease in the value of these bonds would be tantamount to a devaluation. This would at the same time restore the efficacy of Italy’s monetary policy: Changes in central bank policy would affect the value of the bonds.Of course, there would be a hue and cry from other members of the eurozone. Introducing a parallel currency, even informally, would almost certainly violate the eurozone’s rules and certainly be against its spirit. But this way, Italy would leave it to the other members of the eurozone to decide to expel it.."
E bravo, così ci facciamo espellere e poi?
"To be sure, one shouldn’t underestimate the costs of a large devaluation. Any large change in a key price in an economy is a significant perturbation.The price of foreign exchange is, of course, pivotal in any open economy. It has knock-on effects on the prices of all goods and services. Some — perhaps many — firms will go bankrupt. Some — perhaps many — individuals will see their real incomes decline."
Ahi, allora ci facciamo male, sicuro che ci conviene? Lui conclude riconoscendo che certo è un operazione molto difficile da far funzionare, ma se il nuovo governo (dall'alto della sua esperienza e comprovata capacità) ci riesce, bè allora l'Italia starebbe meglio e l'Europa pure... 
Please, leggetevi l'articolo originale e poi ditemi se chi vorrebbe seguire le orme dell'esimio Professore più che di eurexit non abbia bisogno di NEUREXIT!

11/09/2018

Il sostenibile peso del taglio alla spesa


Ho già dimostrato perchè proporsi di crescere a furia di deficit spending sia insostenibile.
Ora voglio brevemente dimostrare che invece è possibile crescere a furia di spending review.
La regola generale, valida per ogni paese e in ogni epoca, è:
se si sostituisce coeteris paribus spesa pubblica improduttiva (inefficiente e inefficace) con spesa produttiva (sia pubblica che privata) si ottiene un incremento della crescita.
Un caso da manuale è quello italiano, per il quale faccio riferimento a Baldassarri-Piesole “40 anni di spending review. L'Italia al bivio dei tagli alla spesa” ed. Rubattino, appena presentato nel Xii Rapporto sull'economia italiana, dal Centro Studi sull'economia reale. C'è un articolo degli autori sul Sole 24 ore 7 novembre 2018, che sottoscrivo in pieno e consiglio di leggere. Qui ne presento a modo mio i concetti chiave.
Dentro agli 880 miliardi e passa di spesa pubblica prevista per il 2019 dal NADEF gialloverde, ci sono 135 miliardi per acquisto di beni e servizi della Pubblica Amministrazione. Colpisce che essi siano appena poco più del doppio dei 61 miliardi di cosiddetti Fondi perduti (il nome la dice lunga!). O forse sono questi 61 miliardi a essere abnormi? una ventina sono contributi in conto capitale e il resto(40) trasferimenti correnti di cui la metà (20 miliardi) gestiti dalle Regioni. A fronte di tali fondi in continua crescita, ne troviamo appena 36 per i famosi investimenti sempre tanto citati come la mano salvifica, peccato che siano in forte calo negli ultimi anni (nel 2019 circa un terzo in meno rispetto a inizio decennio). Invece i Fondi Perduti sono frutto di ben 450 leggi stratificatesi nel tempo. Come mai il governo del cambiamento non può cambiarne destinazione?
Basti pensare che gli acquisti della PA si sono raddoppiati negli ultimi 20 anni mentre l'inflazione cumulata per il periodo è stata del 50%. Allora basterebbe riportare le lancette alla spesa di 20 anni fa, aumentata dell'inflazione, e spunterebbero fuori 40 miliardi con i quali si azzererebbe il deficit pubblico, provocando un crollo dello spread a 20-30 cts., con risparmio di almeno 30 miliardi nella spesa annua per interessi della restante legislatura.
Oppure, come propongono gli Autori citati, limitarsi a 20 miliardi di minore spesa (che per il resto della legislatura signficherebbero almeno 60 miliardi, senza contare il risparmio per interessi).
Essi poi aggiungono a tale cifra altri 40 miliardi rivenienti dal capitolo TAX EXPENDITURES, che sarebbe più giusto dedicare a un trasparente taglio dell'Irpef e alla mai sufficientemente auspicata abolizione dell'Irap, vera stortura tributaria italica al servizio delle regioni, senza riscontri nei paesi concorrenti e che tanto male fa all'occupazione.
Ma innanzitutto c'è una questione di metodo: invece di partire dalle nuove spese addizionali che si vogliono fare (sussidi,pensioni,etc.) per poi cercare le coperture e non trovandole scaricare tutto sul deficit, occorre partire dai risparmi effettuabili nel bilancio che come visto possono arrivare a cifre molto importanti, e solo dopo decidere come li si vuole utilizzare. Ma è una logica troppo innovativa, questo è un cambiamento che nessuno si sogna di fare anche se a parole sono bravi tutti....Nei fatti la realtà è che il deficit effettivo è stato del 2,4% rispetto al PIL nel 2017 e adesso viene previsto inalterato in percentuale solo perchè si prevede una crescita del denominatore (PIL) all'1,5%.
Morale: se non interverranno fatti nuovi, prepararsi a un deficit effettivo 2019 ben superiore, basti vedere come hanno tenuto ferma a 66 miliardi la spesa per interessi che invece è già proiettata a superare quota 70 miliardi. La Commissione Europea con il suo 2,9% è stata fin troppo generosa.


SPESE STATALI effettivo 2017 (previste per il 2019) in miliardi di euro
66 (66) interessi+
140 (144) beni e servizi+
62 (67) trasferimenti correnti e c/capitale+
264 (282) pensioni +
78 (83) assistenza+
68 (71) investimenti+
164 (170) lavoro dipendente=
totale 841 (883) (di cui 113 (117) sanità)

ENTRATE STATALI
250 (251) imposte dirette+
249 (272) imposte indirette+
226 (242) contributi+
altre 75 (75)=
totale 800 (839)
DEFICIT o indebitamento netto in valore assoluto
-41 (-44) miliardi


ps : salvatevi questa tabellina, non è facile trovarla in giro, e ho faticato non poco a desumerla dal NADEF.





11/06/2018

L'insostenibile leggerezza del deficit


La politica del deficit spending è praticata e auspicata con gran leggerezza, non solo da politicanti e giornalisti bensì anche da qualche professore d'economia(sigh!), eppure essa è insostenibile, specie per i paesi ad alto indebitamento, così come i modi d'essere nella vita adottati con spensierata leggerezza si rivelano pesanti e insostenibili nel celebre romanzo di Milos Kundera.
Prima di passare alla dimostrazione, un veloce riassunto delle puntate precedenti.
John Maynard Keynes inventò questa politica economica negli anni 30 del secolo scorso, quando l'economia mondiale si trovava in una Grande Depressione, originata da varie concause tra le quali spiccava un eccesso di produzione rispetto ai consumi; inoltre si era in epoca di equilibrio nei bilanci statali e i debiti pubblici, per lo più conseguenza di fatti straordinari come la Grande Guerra, erano di entità contenuta.
In tale contesto, l'idea del noto economista: un “temporaneo” ricorso al deficit di bilancio, finalizzato ad aumentare la domanda di beni e servizi (famoso il paradosso delle buche da far scavare e poi ricoprire, per esemplificare la finalità principale del suo deficit spending), facilmente finanziabile sui mercati creditizi senza conseguenze nefaste sui tassi d'interesse e sulle spese di indebitamento.
Fu la “mammella” del secolo, cui tutte le classi dirigenti si attaccarono immediatamente con entusiasmo puerile ben comprensibile: poter spendere senza vincoli di bilancio è il massimo, specie per i politici adusi a considerare i voti elettorali una merce in vendita al miglior offerente.
Così il deficit spending è rimasto imperituro anche se si sono succedute fasi economiche in cui vi era forte crescita (anni sessanta) e la domanda eccedeva l'offerta generando inflazione (anni settanta), per cui qualche importante nazione (anni ottanta e novanta) provò a perseguire il surplus di bilancio e l'abbattimento dei debiti pubblici. Ma poi è arrivata la globalizzazione e a ogni fase di rallentamento congiunturale si è tornati a incrementare i deficit con il risultato di gonfiare i debiti pubblici e di portare alle stelle i tassi d'interesse e le difficoltà di finanziamento. A quel punto, altro che crescita da deficit, si prospettava la recessione da deficit.
Motivo per cui, in mancanza di nuovi Keynes, le banche centrali -contravvenendo ai loro mandati originari- si sono messe a finanziare i debiti pubblici, direttamente o indirettamente, schiacciando i tassi d'interesse fino a farli divenire negativi in alcuni casi, e ciò anche in presenza di crescita robusta perchè -divenendo il nuovo criterio discriminante la paura della deflazione- si postulava una magica soglia obiettivo del 2% di aumento dei prezzi al consumo: solo superandola -e siamo ai giorni nostri-dovrebbero interrompersi le loro “facilitazioni quantitative” (elegante eufemismo inventato per indicare la creazione di mezzi monetari) da cui l'attuale debito mondiale record, pubblico e privato.

Nel frattempo il deficit spending, da manovra eccezionale per stimolare la domanda aggregata in situazione di depressione, è divenuto una costante della politica economica, e l'immaginario collettivo ne è ormai dipendente (a furia di ripeterla acriticamente anche una bugìa diviene vera) e dunque resta inossidabile l'idea che se si riduce la crescita- nonostante il deficit presente e passato- ci vuole altro deficit per farla aumentare. Vi fischiano le orecchie?
Purtroppo però, come anche il Lord Keynes della General Theory (1936) condividerebbe, non esistono pasti gratis a questo mondo. Ne consegue come già adesso, per paesi con alto indebitamento, la politica del deficit spending sia controproducente ai fini della crescita economica, perchè il danno sui tassi d'interesse e sulla capacità di finanziarsi deprime qualsiasi sano sviluppo del prodotto interno lordo.
Infine, c'è la questione della sostenibilità, comprensibile con una elementare metafora che illustra come manovre “eccezionali” -per definizione- non possono divenire permanenti. A esempio, se si vuole dimagrire si può non mangiare. Non c'è dubbio che in breve tempo si dimagrisce, ma poi che succede? Se si continua a non mangiare si muore, magri quanto si vuole, ma si muore, dunque nessuno può promuoverla a politica permanente; piuttosto occorre perseguire un regime nutrizionale sostenibile capace -dopo la fase “una tantum” di dimagrimento- di mantenere stabile il normopeso ottenuto.
Analogamente il sistema economico deve perseguire un ritmo di sviluppo sostenibile nel tempo, senza divenire dipendente da droghe letali (tipo il deficit spending).
Anche perchè, ammesso e non concesso, (specie in Italia, specie se in spesa corrente invece che in investimenti infrastrutturali) il deficit provochi un aumento del PIL in un dato anno, per la medesima logica, azzerando il deficit o anche solo riducendolo rispetto al precedente si provocherà poi un decremento del PIL. Allora c'è una contraddizione palese nel programmare simile diminuzione di deficit negli anni successivi, pretendendo che non siano controproducenti per la crescita.
Insomma se la teoria che ci vuole più deficit per avere più crescita è vera, allora è vero anche il suo contrario. Oppure non è vera, specie quando diviene permanente, e allora è masochismo puro mettersi nelle mani dei creditori. Tertium non datur.

La triste realtà quindi è che affidandosi a questa ricetta obsoleta i politici manterranno sempre il deficit, con l'inevitabile accumulo dello stock di debito dato dalla sommatoria dei disavanzi annuali. Un macigno insostenibile, a lungo andare, a meno di non ricorrere alla più iniqua ed occulta delle tassazioni: l'iperinflazione di una moneta in svalutazione continua, come storicamente avvenuto numerose volte. Ed è sempre finita male per il popolo.