9/03/2011

Speciale "Bulbi Bonds"

Nonostante la decisione di Standard & Poor's di abbassare il rating USA, i bond hanno messo a segno un rally straordinario, arrivando a rendimenti minimi storicamente da record (2% sul decennale proprio ieri giorno in cui l'inflazione ufficiale è salita al 3,6%), a dimostrazione – se ce ne fosse ancora bisogno- di quanto irrazionali possano arrivare ad essere i mercati. Ma questa irrazionalità , come sempre , non arriva da sola. Essa va a braccetto con la follia delle autorità, passate da eccessi di deficit clamorosi, a manovre di austerità lacrime e sangue in meno di tre anni, per non parlare dell'ostinato attaccamento a tassi d'interesse azzerati (e promessi tali con anni di anticipo) ed agli sciagurati acquisti di titoli pubblici da parte delle banche centrali e relativi pompaggi monetari. In questo sfacelo intellettuale, tipico di chi si sente onnipotente, emerge l'incredibile anomalìa di prendere decisioni così gravide di conseguenze, basandosi su concetti contabili a dir poco inaffidabili, come il PIL.
La teoria keynesiana degli stimoli fiscali, in base alla quale la spesa pubblica fa crescere l'economia, si basa su un trucco nascosto: la definizione di crescita economica adottata convenzionalmente , il cosiddetto PIL (Prodotto interno lordo). Dove sta il trucco? A differenza del Prodotto Interno Privato (PIP) che è misurato da ciò che i mercati realmente sono disposti a pagare per qualcosa, il prodotto pubblico è misurato puramente sulla base del suo costo di produzione, e quindi non tiene conto del suo valore di mercato. Un esempio, per chiarire con facilità: se un governo decidesse di spendere 1 miliardo per produrre rottami invendibili, senza alcun valore di mercato, il PIL risulterebbe comunque aumentato di 1 miliardo. Si capisce quindi perché con questo modo di fare i conti, la spesa pubblica appaia superficialmente un fattore di crescita dell'economia. Naturalmente sarebbe ingiusto dire che ogni spesa pubblica sia priva di valore. Ma è certamente vero che molte funzioni governative hanno molto meno valore rispetto al loro costo; se così non fosse, sarebbero fornite dal libero mercato senza alcun intervento pubblico. Ed inoltre le manovre pubbliche fatte per sostenere l'economia durante una recessione tendono ad aver ancor meno valore della media, perché se ne avessero avuto sarebbero già state incluse nei budget annuali. Un altro argomento contro la metrica del PIL è che il prodotto pubblico riflette decisioni politiche più che economiche, così che includere la componente pubblica nel calcolo del Prodotto nazionale oscura i veri comportamenti del mercato privato e dà un quadro erroneo della salute dell'economia. La soluzione sarebbe semplice, basterebbe riferirsi al PIP invece che al PIL, togliendo da quest'ultimo tutto ciò che è statale; nonostante le carenze statistiche sempre esistenti, in questo modo si avrebbe una visione migliore del comportamento dell'economia.Vi sono due opposte teorie sull'effetto dell'aumento della spesa pubblica: quella sopraricordata keynesiana, e quella Austriaca (dagli economisti austriaci come von Mises, Singer, etc.) secondo cui la spesa pubblica leva spazio al settore privato, e così facendo peggiora l'efficienza nell'uso delle risorse, e dunque a lungo andare danneggia la crescita. Se si fa la verifica statistica opportuna, usando il PIP, la scuola austriaca appare più plausibile.
Lo stesso discorso si può fare a proposito di uno degli altri "miti" disgraziatamente imperanti: tenere i tassi a zero e pompare moneta, aumenta la crescita. Già lo stesso Keynes aveva capito che ciò non è affatto sempre vero. Quando ci si trova con tassi bassi e liquidità abbondante, ulteriori manovre in tal senso sono non solo inutili, bensì controproducenti. Se il cavallo non vuol bere, è peggio forzarlo. Inoltre l'errore commesso dalla vulgata imperante è guardare solo all'effetto che il basso costo del denaro avrebbe sui debitori, specie le imprese, da cui dovrebbe venire la spinta alla crescita. In realtà se un operazione industriale è fallimentare, non è azzerando il costo del denaro che si può farla diventare fruttuosa. Anzi, proprio il denaro "gratis" può spingere molti a intraprese assolutamente inefficienti, dunque nuocere all'economia nel lungo termine. Ma occorre guardare anche dall'altro lato della medaglia, cioè considerare l'effetto sui creditori, sul risparmio, che è la fonte di ogni crescita. Svilire il valore del denaro, disincentivarne l'accumulazione via tassi azzerati o addirittura negativi, come in questa drammatica fase storica, vuol dire uccidere la gallina dalle uova d'oro. Quasi me ne vergogno a scriverne, tanto mi sembrano ovvietà. Eppure oggi queste semplici considerazioni non hanno diritto di cittadinanza, basti pensare che tutte le autorità monetarie e finanziarie danno per scontato l'opposto.
Le due concezioni erronee sopra citate, inoltre, si legano fra loro. Dovrebbe essere chiaro ormai che ad esempio la massiccia espansione del debito federale sarebbe stata impossibile senza i tassi d'interesse reali negativi imposti dalla FED, e senza i suoi acquisti superiori ai 3 trilioni negli ultimi 3 anni. Se ci fosse stato il gold standard , i massicci deficit richiesti per gli "stimoli" avrebbero causato indigestione sui mercati di titoli di stato già da tanto tempo, forzando a rialzi dei tassi e a riduzioni di rating . Gli USA avrebbero dovuto perdere la tripla A già a inizio 2007 quando divenne chiaro che Bush stava producendo deficit da 400 miliardi annui al top del ciclo creditizio. Per cui oggi è molto più serio il rating di una sola A dato agli USA dall'agenzia cinese Dagong. La FED ha consentito la futile pazzia degli "stimoli", ed ha esacerbato molti dei loro effetti negative con le sue politiche monetarie estremiste. Lo stesso in Europa, dove la BCE aveva inizialmente cercato di essere solo un po' meno estremista, ma ormai si è totalmente "Fedizzata". Le recenti convulsioni dei mercati stanno certamente evidenziando come la FED abbia sbagliato tutto (ed infatti i membri dissidenti aumentano), anche se non lo ammetterà mai. Il fatto che l'abbassamento del rating sia stato seguito da un forte calo del rendimento dei bond, è un segno chiarissimo che ci si trova di fronte ad una bolla, per portata e stupidità intrinseca, analoga a quella famosa del 1637 sui bulbi di tulipano olandesi. La bolla nei "bulbi-bond" nel giro di alcuni mesi, se non addirittura settimane, scoppierà, ed in quel momento nessun ammontare di pompaggio FED, né nessuna promessa di tenere i tassi azzerati fino al 2100 o fino alla fine dell'universo, potrà impedire un Armageddon. A quel punto gli sforzi della commissione congressuale dei 12 deputati che dovrebbero proporre un modesto mix di tagli alle spese e di aumento delle tasse mentre cercheranno di essere rieletti nelle imminenti presidenziali, si dimostrerà inutile. Il mercato non sopporterà ancora a lungo il deficit, ed i creditori smetteranno di tenere in vita il cadavere dello zio Sam (ecco perché strategicamente al 2% nominale ed al -1,6% reale, vendere il decennale USA potrebbe rivelarsi operazione buona e giusta).



6/25/2011

Dalla Nota sui mercati del 12.6

ECONOMIA: puzza di bruciato
Sui mercati creditizi si inizia a sentire puzza di bruciato. Ma prima,
come usuale, è bene “ripassare” il contesto.
Il mondo è nel pieno della più grande e più lunga (ormai ultra
decennale) Superbolla finanziaria della Storia. Un sistema globale
disfunzionale sta operando – essenzialmente- senza meccanismi che
regolino la quantità e la qualità del debito emesso. Il prestito
bancario tradizionale è stato largamente sopravanzato dalla
trasformazione di prestiti in titoli commerciabili, processo noto come
“securitization”, sfociato nella creazione a piramide rovesciata di
una moltitudine di strumenti sofisticati. L’espansione del credito,
pertanto, che prima trovava un limite nei depositi bancari esistenti
ed era regolabile tramite la riserva obbligatoria, non avendo più tale
limite è così potuto crescere esponenzialmente, diventando sempre più
scollegato dalla produzione e dall’economia reale (anzi ha favorito la
deindustrializzazione). Questa, in estrema sintesi, l’origine di tutti
i mali. Di chi la colpa? Innanzitutto della FED che con Greenspan ad
inizio anni 90 ha attizzato il fenomeno, adottando inoltre un
approccio asimmetrico , in cui mentre non faceva niente per frenare le
singole bolle, invece interveniva aggressivamente non appena esse
scoppiavano, ricreandone di nuove. L’espansione massiccia di debiti
accoppiata ad una politica monetaria altamente lassista ha incitato un
enorme speculazione amplificata da leve spettacolari (oltre 100 a 1).
In breve tempo questa patologia sorta negli USA, ha messo radici in
tutto il mondo, a causa del dollaro moneta di riserva
internazionale.
Nel 2008 era suonato un campanello d’allarme forte e chiaro,
concretizzatosi in una devastante crisi di fiducia che ha fortemente
impattato l’economia reale: milioni di posti di lavoro sono stati
persi per sempre. Il fallimento di Lehman in particolare, ha innescato
il panico nei mercati globali del debito, mettendo in crisi le
sofisticate strutture sopra citate. Ma, invece di capire la lezione e
farne tesoro, i governi sono intervenuti a testa bassa con misure
senza precedenti, sconvolgendo l’abc dei principi base del
capitalismo. Trilioni di strumenti debitori sono stati nazionalizzati,
ed al contempo altri trilioni sono stati comprati da FED, BCE e altre
banche centrali, nella più grande monetizzazione di tutti i tempi. Le
perdite delle banche sono state fatte pagare, in un modo o nell’altro,
ai contribuenti ed ai cittadini, presenti e futuri. Si è creata la
nuova grande bolla della finanza pubblica. Nel frattempo, l’enorme
deficit estero USA ed i flussi finanziari derivanti in un sistema di
cambi essenzialmente fissi, ha inondato il mondo, creando eccesso di
liquidità ed espansione dei debiti ovunque. Gli squilibri globali,
crescenti da decenni, si sono avvitati in modo parabolico negli ultimi
anni.
La debolezza strutturale del dollaro ha favorito inoltre il regime
monetario europeo, nonostante l’insostenibilità logica di una moneta
(e tassi d’interesse) comune ad economie profondamente diverse tra
loro e dall’andamento divergente. L’euro è sembrato un alternativa al
dollaro, e poiché di questa alternativa si sentiva fortemente bisogno,
ha avuto successo, anche se l’euro provoca potenti distorsioni
economiche reali, sotto gli occhi di tutti. In particolare ha promosso
eccessi debitori in tutta l’area europea, specie nella periferia (la
Grecia, e gli altri PIIGS, hanno potuto beneficiare di condizioni
finanziarie così appetibili, da spingerli all’iper indebitamento).
Ricapitolando: il dollaro debole e la Fed garante del sostegno
illimitato alla speculazione; l’euro forte e la BCE garante di nessun
default tra i titoli di stato; hanno rappresentato un eccezionale
attizzatoio all’indebitamento senza limiti, alla speculazione ed al
consumo al di sopra delle possibilità.
In un eccesso di indebitamento, c’è un altro elemento analitico da
tenere presente, ed è la differenza tra debito produttivo e debito
improduttivo. Nel momento in cui si crea nuovo debito, può sembrare
una differenza puramente teorica, se esso serve per finanziare un
investimento reale o una speculazione in borsa, perché in ogni caso
viene introdotto nuovo potere d’acquisto. Ma da un punto di vista
sistemico a lungo termine, quando si tratta di rientrare dai debiti,
la differenza è notevole. Durante la fase di boom i mercati non ci
fanno attenzione, specie quando le autorità intervengono distorcendo
le percezioni ed i comportamenti. Ad un certo punto, inevitabilmente,
i mercati iniziano a cercare di capire se il debito in circolazione è
produttivo oppure no. Purtroppo la capacità di sostenere i debiti
improduttivi nell’epoca attuale (finanza globale illimitata, dollaro
malato, interventismo estremo delle autorità, etc.) pone grandi
problemi.
In sintesi: i booms durano troppo, e le politiche seguite finiscono
per colpire il cuore dei sistemi creditizi. Innanzitutto perché
creano una fragile montagna di debito non supportato dalla sottostante
capacità di creazione di ricchezza reale. Inoltre inflazionano
l’economia creando dipendenze sistemiche dagli eccessi speculativi.
Infine, pompano i consumi ed i cattivi investimenti a spese di sani
investimenti in capacità produttiva. Il boom alla fine implode, e la
mancanza di adeguata capacità per generare ricchezza reale assicura
una crisi severa ed un lungo periodo di aggiustamento, quando i
governi perdono (finalmente) la possibilità di perpetuare le Bolle
(come in Grecia, Portogallo, Irlanda, etc.). In quel momento i
mercati si trovano ad affrontare la dura realtà, che fin lì avevano
cercato di ignorare; magari ci vuole tempo per capirlo veramente, ma
poi giungono alla conclusione che gran parte del debito esistente non
è sostenuto da ricchezza reale. Con troppo debito improduttivo, solo
ulteriori enormi addizionali iniezioni di nuova moneta possono
impedire il collasso economico. Ma dal punto di vista fondamentale
questa ricerca affannosa di evitare la resa dei conti , non fa che
aumentare il conto da pagare. Come si sta vedendo con Grecia ed
Irlanda, i costi dei “salvataggi” possono velocemente schizzare a
significative porzioni del PIL.
Come ho scritto da tempo, la crisi greca (e dei PIIGS) sta alla bolla
attuale, come la crisi dei subprime stava a quella ipotecar-
immobiliare. Gli interventi aggressivi dell’ultimo anno (pompaggio
Fed, “salvataggi” europei, monetizzazione globale) hanno ricreato il
contesto altamente speculativo che c’era prima del 2008. Adesso la QE2
della Fed termina a fine mese, ma nel frattempo l’economia USA è già
in ricaduta economica, rischi ed incertezze non mancano, di colpo
potrebbe riproporsi un ondata di riduzione delle leve. La puzza di
bruciato inizia a sentirsi: sul Wall Street Journal , notando la
caduta dei bonds “spazzatura” già si chiede alla Fed di fare la QE3.
Si osserva il deterioramento dei prezzi per una gamma di strumenti
creditizi, inclusi prestiti ipotecari e vari derivati. E’ possibile
stia iniziando a ridursi la propensione al rischio. Ciò avviene
soprattutto negli USA, l’impero del debito improduttivo.
Paradossalmente la montagna di debito del tesoro, priva di assets
sottostanti, viene ancora comprata come “rifugio”: sembra sempre meno
spazzatura dei titoli “spazzatura”, e chi vende questi ultimi si
compra i primi, fino ai ridicoli rendimenti registrati in questi
giorni. Le obbligazioni aziendali godono ancora di una certa domanda,
sull’idea riflessa in borsa che i loro bilanci siano buoni; in realtà
gli utili aziendali sono stati artificialmente gonfiati
dall’insostenibile deficit statale. Si fa fatica a capirlo, così come
prima del 2008 non si capiva la situazione dei mutui subprime. A
proposito, questi ultimi pure avevano beneficiato dell’eccesso
speculativo ricreatosi fino a poco fa. Ma, non solo l’immobiliare USA
continua ad andare male, bensì adesso vi sono problemi di liquidità
per molti di questi titoli: da aprile, i prezzi sono scesi del 15-20%,
e la caduta è accelerata nelle ultime due settimane. La puzza di
bruciato dunque c’è, anche se ancora non si vede nella borsa ufficiale
sostenuta artificialmente dal pompaggio FED (e comunque si scende da 6
settimane consecutive, il Dow sotto i 12 mila, lo sp500 -7,5% dal
massimo di inizio maggio, nasdaq e russell passati in negativo da
inizio anno). Il punto è che il sistema è molto più vulnerabile da
effetti contagio vari, rispetto a quanto si pensi comunemente. Anche
il recupero del dollaro e l’eccesso di rifugio nella carta straccia
emessa dal governo USA, possono stare ad indicare un inizio di
smobilizzo delle leve. Vedremo se dalla puzza di bruciato si passa
alla fiammata vera e propria.


MATERIE PRIME: niente oro a Fort Knox?
Oro -0,7% (+8% da inizio anno), argento +0,4%(+17%), rame -1,9%(-8%),
petrolio -1% (+9%), miste le agricole. L'indice generale CRB -0,2%
(+4,6%).
Un rapporto preparato per Putin dalla FSB (Federal Security Service)
dice che DSK prima di saltare sulla cameriera del Sofitel avesse
scoperto che tutto l’oro USA ufficialmente contabilizzato nelle
riserve di Fort Knox in realtà non c’è più, e dunque questa scoperta
spiegherebbe almeno perchè le autorità americane si siano accanite su
DSK invece di proteggere il potente di turno, come da che mondo e
mondo (purtroppo), se non addirittura perché l’intero episodio del
Sofitel potrebbe essere stato montato ad arte (un trappolone insomma).
Nel rapporto FSB si dice che DSK si sia insospettito avendo visto la
mancata consegna da parte americana delle 191 tonnellate di oro al
FMI secondo l’accordo in essere; DSK avrebbe contattato
l’amministrazione Obama e tramite spie nella CIA avrebbe saputo che
effettivamente gli USA non hanno più oro. A quel punto è scattato il
trappolone, e DSK sarebbe riuscito a fuggire se non fosse stato per
l’errore compiuto quando a bordo dell’aereo francese ha chiamato
l’hotel per cercare di recuperare il suo cellulare, così permettendo
alla polizia di rintracciarlo e venirlo a prelevare a bordo,
screditandolo in caso di rivelazioni sull’oro. Da notare come un
banchiere egiziano, tale Omar, molto amico di DSK (probabilmente messo
al corrente della scoperta sull’oro) è stato anche lui imprigionato
con la stessa accusa di DSK nonostante sia un musulmano di 74 anni.
Putin dopo avere letto il rapporto FSB ha ordinato di mettere sul sito
ufficiale del Cremlino una difesa di DSK, ritenuto vittima di una
cospirazione USA. Si tenga presente inoltre che Ron Paul il deputato
americano noto per le sue battaglie contro la FED, da tempo sostiene
che il governo mente circa le riserve aurifere detenute a Fort Knox, e
le sue richieste di audizioni ufficiali in materia sono state sempre
respinte con la scusa del segreto di stato. Paul ha chiesto, dato
l’enorme debito americano e l’alto prezzo dell’oro , si vendesse parte
delle riserve, ma se l’oro non c’è ….. Infine si consideri che dal
2009 circola l’ipotesi che i lingotti osservabili a Fort Knox siano di
tungsteno, come scoperto dai cinesi nell’ottobre di quell’anno circa
una consegna ricevuta dagli USA a regolamento di una transazione. Si
scoprì non solo che erano di tungsteno ricoperti da uno strato esterno
di oro, ma anche che i numeri di serie erano originali e quei lingotti
falsi erano dunque stati per anni a Fort Knox (si trattava di 5600
pezzi da 400 once ciascuno).
Nel frattempo, notizia dell’ultima ora, è stata aperta un indagine per
scoprire la fonte degli attacchi informatici subiti dal FMI, si
ipotizza che gli hacker abbiano agito per conto di uno Stato che vuole
accesso a dati “sensibili” o che l’azione punti a screditare
l’istituzione ….
Previsione scenario base: rialzo
Posizione asset: 40% terreno agricolo+2,5% opzioni argento


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