Speciale Equilibrio di Nash
Mi si chiede di tornare suil groviglio di interessi commerciali e finanziari che sottostanno all'attuale mega squilibrio USA-Asia, peraltro trattato più volte, ed accetto perchè tema complesso e cruciale.
Iniziamo prescindendo dalle questioni geopolitiche, e proviamo a vederla così.
Nella teoria dei giochi, l'equilibrio di Nash (da John Nash, il premio Nobel laureato in matematica cui è stato dedicato anche un film dal titolo "Una bella mente", da vedere) è una specie di strategia ottimale per partite tra due o più giocatori in cui tutti raggiungono il risultato di vantaggio reciproco massimo possibile. Situazione che si ottiene quando nessun giocatore può beneficiare da ulteriori cambiamenti alla propria strategia, mentre gli altri tengono immutate le loro.
Gli USA, si dice spesso, vivono grazie alla gentilezza degli stranieri: se non fosse per la volontà delle banche centrali asiatiche di finanziare il loro defict estero, dovrebbero ridurre il tenore di vita.
Così facendo però le banche centrali asiatiche hanno accumulato 1,8 trilioni di dollari, e adesso se-per ipotesi- il dollaro si svalutasse nei confronti delle loro monete di un terzo, loro perderebbero 600 miliardi di dollari.
Non solo: le esportazioni agli USA rappresentano circa il 12% del PIL cinese, e agli attuali tassi di crescita si raggiunge il 20% nel 2008. Dunque si può dire che la Cina dipende dalla gentilezza dei consumatori americani e lo stesso vale per gli altri asiatici, seppur un pò meno, ma questi esportano molto alla Cina che poi riesporta agli USA, quindi anche loro vi dipendono pienamente.
Domandine: poichè nella stanza economica mondiale viene adesso a trovarsi un elefante con ben 660 miliardi di deficit annuale, gli USA , possiamo definirlo un equilibrio di Nash?
gli asiatici prendono la carta americana sapendo che un giorno varrà molto meno, pur di poter vendere loro prodotti facendo crescere le loro fabbriche: quanto può durare questo gioco?
nel caso della Cina, si può ipotizzare fino a quando raggiunga un proprio mercato di consumi interno capace di assorbire i milioni di nuovi lavoratori che si muovono dalle campagne in cerca di una vita migliore.
In realtà non c'è nessun equilibrio di Nash, si sta ancora giocando la partita e alcuni cercano di ottenere vantaggi sugli altri. E' un sistema in sè inerentemente instabile, come vedremo.
Tutto questo ha infatti effetti sui tassi d'nteresse mondiali, e si può calcolare che come minimo i rendimenti a lungo termine sarebbero più alti di circa il 2% se non vi fossero gli acquisti asiatici.Decennali al 6% significherebbero tassi ipotecari ben oltre il 7% e quindi un edilizia molto meno forte, così come tutta l'economia americana e mondiale.
Adesso cerchiamo di capire come questa situazione stia trasformando il sistema monetario internazionale, tanto che si parla di una Bretton Woods 2.
Ricordo che il sistema di Bretton Woods nacque quando i rappresentanti delle principali nazioni si incontrarono nel 1944 appunto in questa località americna per creare un nuovo sistema internazionale che sancisse il passaggio dalla sterlina al dollaro, sempre però ancorato all'oro.
Poichè gli USA erano divenuti l'economia più grande ed aveva le maggiori riserve auree, si decise di legare le varie monete con un cambio fisso al dollaro, a sua volta convertibile in oro al prezzo fisso di 35 dollari l'oncia. Le banche centrali delle altre nazioni si impegnarono dunque a intervenire sul mercato dei cambi comprando o vendendo dollari a secondo se la propria moneta tendeva ad apprezzarsi o svalutarsi rispetto al biglietto verde. Quest'ultimo divenne così la moneta di riserva internazionale, ma c'era un limite ai dollari esistenti, dato dall'oro.
Gli USA non avrebbero potuto stampare dollari e arricchirsi alle spalle degli altri, perchè per ogni dollaro in circolazione ci doveva essere una quanutà di oro e quest'ultimo non si stampa la notte.
Questo sistema funzionò fino al 1971 quando Nixon, oberato dai debiti per la guerra del Vietnam, dichiarò unilateralmente la fine della convertibilità in oro.Sulle conseguenze di questo atto, ho scritto tanto e non mi ripeto, basti dire che non a caso a 30 anni di distanza ci troviamo con il mondo inflazionato dai dollari.
Ai fini di questo Speciale richiamo il Bretton Woods 1 per spiegare l'attuale 2, in cui le nazioni asiatiche ed altre si sono più o meno informalmente e unilateralmente legate al dollaro, per mantenere la loro capacità competitiva verso gli USA. Questo sistema però è intrinsecamente più instabile del primo, perchè non vi è alcun vincolo aureo dietro la valuta di riserva. Gli USA non hanno alcun interesse a proteggere il valore del dollaro, bensì l'opposto; e non c'è alcun accordo comportamentale formale per cui ogni paese in ogni momento può decidere di cambiare (la Russia ha appena annunciato di voler iniziare a sostituire il dollaro con l'euro, l'India e la Tailandia hanno dato indicazioni analoghe).
Allora quanto duererà questo BW2?
L'economia più grande del mondo, che è anche la superpotenza militare e geostrategica, è il più grande debitore del mondo. Gli USA assorbono l'80% dei risparmi mondiali che non vengono investiti dunque nelle nazioni in cui originano. Se le cose continuano così i 660 miliardi di deficit del 2004, si espanderanno significativamente nel 2005 e nel 2006.Il sistema monetario internazionale attuale finanzia questo deficit a tassi d'interesse molto bassi, come visto. Gli asiatici ritengono che i benefici di un cambio fisso con il dollaro siano per ora maggiori ai costi di accumulazione di una carta dal dubbio valore. La Cina conta su una rapida crescita guidata dalle esportazioni per assorbire centinaia di milioni di lavoratori trasferendoli dalle campagne all'industria. Gli USA contano sull'accumulazione della propria carta da parte dei cinesi per continuare a far crescere il proprio tenore di vita. Il risultato è che il deficit finanziato tramite il renminbi-dollaro è molto più ampio dei deficit dell'epoca del dollaro-oro pensato nel BW1.
La domanda resta sempre quella, quanto può durare?
il Fondo monetario pensa altri 4 anni, ma molti iniziano a credere che non si può andare oltre i 2 anni. Un punto cruciale sono le perdite cui vanno incontro i creditori in dollari: ve ne sono per 3,8 trilioni in giro per il mondo (di cui i citati 1,8 delle banche centrali asiatiche già citate) e un 10% di perdita su tale ammontare già rappresenta una cifra enorme.
La maggior parte delle nazioni per mantenere il controllo della quantità di moneta interna, quando assorbe dollari, senza venderli per non rivalutarsi, li sterilizza ai fini interni emettendo propri titoli di debito con cui drena la liquidità che altrimenti si verrebbe a creare. Ma il debito poi va ripagato e nella misura in cui il credito in dollari si svaluta , vi è
una perdita secca, che ovviamente finisce per essere addossata ai contribuenti o direttamente, o indirettamente tramite inflazione.
Questo è un punto da capire bene, che ho già spiegato in vari Speciali del passato, ma che è sempre utile ripetere.
Quando un impresa estera vende ai consumatori americani, incassa dollari; poi però nella propria nazione ha bisogno di valuta locale per pagare i suoi costi, così vende i dollari tramite il sistema bancario alla propria banca centrale. Quest'ultima quindi emette nuova moneta locale, e se non la drena da un altra parte, la quantità di moneta locale aumenta, con gli effetti inflazionistici che sappiamo: in pratica la base monetaria esistente nel paese aumenterebbe dellla quantità di dollari che l'impresa si è procurata dagli americani vendendogli le merci. Il modo più naturale per compensare questo afflusso di moneta sarebbe rivendere i dollari sul mercato dei cambi internazionale, riacquistando propria moneta locale, che verrebbe quindi ritirata dalla circolazione, lasciando l'ammontare totale inalterato. Questo però comporta un aumento del cambio della moneta locale sul dollaro; non volendolo, i dollari non si possono vendere, e si devono tenere; nel frattempo se non si vuole aumentare la moneta interna, se ne può drenare per un pari quantitativo emettendo titoli di debito nuovi. Ecco che lo Stato estero si trova con un nuovo credito in dollari e un nuovo debito in moneta locale.Ma se a un certo momento il dollaro va giù nel cambio con la moneta locale lo Stato estero realizza una perdita.
Le riserve accumulate da alcune economie asiatiche sono molto rilevanti in rapporto all'economia nazionale. Ad esempio una perdita sul cambio del dollaro del 10% a Singapore inciderebbe per il 10% del PIL, a Taiwan per l'8%. Ecco perchè gli asiatici hanno interesse a difendere il dollaro. D'altro canto difenderlo significa continuare ad accumularne sempre più, il che è chiaramente insostenibile.
L'unica via di uscita è una fase complessa, peraltro già iniziata, in cui si inizia a passare dal dollaro all'euro e allo yen, mantendendosi però sempre ancorati al dollaro come valuta locale. Il che comporta quindi una svalutazione nei confronti di euro e yen, che tendono invece ad apprezzarsi sul dollaro. Poi una volta raggiunta una percentuale di riserve in dollari più bassa, si può pensare a rivalutare la propria moneta nei confronti del dollaro, perchè la perdita sarebbe minore ; e contemporaneamente tenersi costanti con euro e yen (che quindi si rivalutano anche loro su dollaro). Come si capisce è un processo complesso che prende del tempo, per questi Cinesi frenano e rimandano la tanto invocata rivalutazione dello yaun.
Complesso oltretutto per gli effetti sui tassi d'interesse, sui titoli a lungo americani e quindi mondiali.
Considerando le dimensioni degli stock accumulati, l'impatto indiretto degli acquisti asiatici sulla domanda privata dei bond, l'interazione tra le riserve asiatiche e la gestione del debito USA, nonchè gli effetti su inflazione e crescita, siamo come minimo ai 2 punti prima menzionalti. Gli acquisti asiatici distorcendo il valore del dollaro, impattano sull'inflazione americana, sul PIL e sul deficit, tutti elementi cruciali per i tassi di interesse.
Conclusione:
non ci sono pasti gratis, come si usa dire. C'è un costo per ogni cosa.
In un mondo dei cambi manipolato dalle banche centrali, le distorsioni e relativi costi dipenderanno da come queste giocheranno la loro partita. L'esercizio interessante è provare a capire come tutti i giocatori agiranno, e quale tipo di equilibrio di Nash eventualmente troveranno. Accetteranno ciascuno di accollarsi una parte di costo in modo da ridurre l'ammontare totale, o cercheranno di evitare ciascuno quanti più propri costi possibili scaricandone di più sugli altri?
Se si tiene conto anche dello scenario geopolitico, è difficile essere ottimisti al riguardo. Ma anche solo considerando il corrente livello di vacua retorica della globalizzazione emerso all'ultimo g7 è difficile esserlo.Qualcuno può sempre sperare, anche se ci vorranno ben più di qualche "bella mente" per trovare l'equilibrio di questa equazione.
La mia convinzione di fondo l'ho spiegata più volte (da ultimo in Speciale Rotta di collisione) e non può prescindere però dalla geopolitica:
poichè non ci sono risorse sul pianeta sufficienti allo sviluppo di tutto il mondo a livelli occidentali, delle due l'una: o l'Occidente rinuncia e torna indietro per far spazio agli altri (e mi sembra impossibile anche solo pensarlo); oppure crea una situazione di conflitto che blocchi lo sviluppo degli altri (e mi pare che i segnali in questa direzione abbondino, dalla creazione del terrorismo internazionale, alle nuove dottrine di guerre preventive, etc.).Dietro la retorica dell'export di democrazia, vi è la necessità di ricreare un clima da guerra fredda.
L'arma monetaria avrà un suo ruolo e gli USA potrebbero un bel giorno rinnegare i propri debiti , come fecero per la convertibilità dell'oro. La guerra per il petrolio sarà però quella decisiva, perchè chi ne arriva a controllare il rubinetto, avrà il potere. Da qui la corsa al medioriente, oggi più che mai, e le alleanze asiatico-orientali che si profilano(non c'è solo la Cina ma anche l'India in ballo), nonchè il ruolo importantissimo della Russia: a seconda da che lato propende (occidente o oriente), può essere decisiva sia per la forza militare-nucleare che ancora ha, sia per le sue grandi riserve energetiche.
21 febbraio 2003