4/21/2006

Speciale Profitti

Speciale Profitti

Greenspan si è guadagnato il titolo di "serial bubble blower":
dopo lo scoppio della bolla sul nasdaq creò una bolla sui rendimenti che a sua volta diede vita alla bolla immobiliare, ed infine alla bolla sulle materie prime. Le quattro bolle oggi continuano a godere di ottima salute, e le autorità sono soddisfatte perchè hanno evitato la recessione ed ora la crescita sembra ben solida.
Ma se si va a ben guardare l'economia reale sottostante, ed in particolare la performance dei redditi reali (salari e profitti), la situazione non è affatto positiva. Dei salari e stipendi anemici ho già scritto in abbondanza, qui mi concentrerò sui profitti delle aziende, motivazione ufficiale per la bolla azionaria.
Ogni valutazione deve partire dall'enorme lassismo fiscale e monetario di governi e banche centrali: negli USA, ad esempio, i tagli alle tasse hanno ridotto le entrate governative di 870 mld. di dollari; mentre i tassi reali restano negativi in tutto il mondo.
Queste poltiche però non sono state in grado di aumentare investimenti ed occupazione in relazione al PIL.
L'esperienza storica e la teoria economica non lasciano dubbi circa il ruolo cruciale che investimenti ed occupazione hanno nell'alimentare una crescita economica che sia sana ed in grado di autosostenenrsi.
L'attuale crescita economica rimane pienamente dipendente dalla bolla immobiliare che sostiene i consumi. Questo vale soprattuto per gli USa e per le nazioni anglosassoni. Negli ultimi anni tutte queste economie si sono basate sull'inflazionamento dei prezzi immobiliari per fornire il collaterale ai consumatori indebitati. Ed inoltre tutte loro presentano ampi deficit statali, risparmi ai minimi e grandi deficit esteri.

In breve, sono economie-bolla, termine con il quale si indica proprio il fatto che la politica monetaria agisce sull'economia soprattutto tramite l'inflazionamento dei prezzi degli asset, che a loro volta stimolano e facilitano i consumi finanziati dai debiti.

Il problema di tutte le bolle creditizie è che distorcono il modello di crescita dell'economia. Una domanda distorta nel tempo inevitabilmente distorce anche l'offerta. Ed infatti in tutte queste economie-bolla i consumi interni hanno crescentemente sorpassato la produzione interna; e dall'altro lato il basso risparmio interno e conseguente basso livello di investimenti, hanno frenato la crescita della produzione. Il risultato inevitabile è stato quello di produrre cronici e crescenti deficit esteri.Oggi nessuno può negare che questi ultimi sono divenuti un dato strutturale, non più un semplice fenomeno ciclico.

Alla fine però, tutte le bolle scoppiano, e questo è quello che succederà.
La domanda non è SE bensì QUANDO e con un intensità che sarà proporzionale all'entità dello squilibrio accumulato, che come noto è il massimo storico.

IL consensus vede l'economia USA forte, grazie alla tenuta delle vendite al dettaglio; ma se si calcolano i consumi al netto dell'inflazione, si vede una realtà ben diversa; vi sono ampie fluttuazioni nei beni durevoli, ma si può osservare un chiaro trend ribassista. Come tutti sanno, o almeno dovrebbero sapere, i forti cambiamenti nella spesa hanno la loro causa principale nell'andamento altalenante delle promozioni sulle automobili (e nei dati trimestrali sul PIL vengono perfino annualizzati). Ma se si paragonano i dati, si vede che la ripresa negli ultimi 3 mesi è molto più debole di quella osservata nel precedente ciclo, nonostante dosi di eroina monetaria e creditizia ben più grandi.
Ogni valutazione sull'economia USA naturalmente prende le mosse dalla tenuta della bolla immobiliare, da tutti ritenuta essenziale per la tenuta dei consumi. Ma non vi sono preoccupazioni perchè si ritiene che una loro eventuale flessione verrà compensata dall'incremento degli investimenti, dato per scontato dal consensus sulla base dei profitti in crescita.

Ma è vero che i profitti stanno crescendo in modo sano e sostenibile?
NO , perchè innazitutto gli stimoli record monetari e fiscali si sono esauriti; poi perchè, nonostante le tecniche edoniche, gli investimenti negli USA oggi sono al minimo storico dell'11,5% del PIL; terzo, se calano i consumi calano le vendite e dunque i fatturati , per cui i profitti potranno solo che scendere se si considera inoltre che veniamo da anni di tagli selvaggi nei costi e che la produttività sta scendendo; ed infine gli investimenti non residenziali sono già calati al 2,6% nella parte finale del 2005 rispetto al 10% della prima metà.

L'argomento comune a favore , si basa sull'elevata liquidità delle imprese disponibile; peccato che quest'ultima sia derivata dagli incentivi fiscali e che sia utilizzata come mostrano le cronache per riacquisti di azioni proprie o per acquisizioni e fusioni: nessun investimento. E' vero che i nuovi ordini per macchinari sono in crescita, ma a un ritmo che non è sufficiente a far pensare che si stia sviluppando un boom degli investimenti, tale da poter compensare una caduta dei consumi (che sono l'80% dell'economia).
Inoltre, poichè si viene da anni di prevalenza degli investimenti di breve termine, ci vuole un sempre maggiore livello di nuovi investimenti solo per rimpiazzare i vecchi in obsolescenza, come riflesso negli ammortamenti crescenti.Vi sono tutte le ragioni per ipotizzare che la crescita nei nuovi ordini di beni capitali a stento rifletta i crescenti ammortamenti(cioè la perdita di valore di quelli vigenti).

Ma fa impressione soprattutto l'andamento della voce Profitti.
Per il settore non finanziario, erano di 400 miliardi nel 1995 e di 413 nel 2000. Tra il 2001 e il 2005 sono poi passati da 322 a 868, facendo impazzire Wally, che si è beata entusiasticamente. Ma se si va a ben guardare si vede che la crescita è tutta centrata sotto la voce "altri", che in pratica comprende il settore immobiliare, per cui è sempre frutto dell'omonima bolla (servita anche a sostenere l'occupazione). Inoltre si vede che il grande salto dei profitti avviene tra il 2004 e il 2005 : passano da 534 a 863 miliardi di dollari. Vi sono due ragioni facilmente identificabili.
La prima è la brusca caduta degli ammortamenti (da 804 a 668): poichè gli ammortamenti sono un costo per le imprese, se queste non fanno nuovi investimenti, si ottiene automaticamente un aumento dei profitti, ma è difficile sostenere che sia un aumento sano dal momento che avviene a spese del capitale investito.
La seconda causa dell'incremento improvviso è stato l'incentivo fiscale che ha indotto le imprese a rimpatriare una larga parte dei profitti esteri, che sono dunque divenuti profitti interni.

Anche lasciando da parte la distorsione dei dati sui profitti del 2005, se si osserva il periodo 1997-2004, si vede che il picco dei profitti fu proprio nel 1997, ed alla fine dei sette anni - che includono il famoso boom tecnologico- sono ancora inferiori, in termini reali.

Inoltre vi è da considerare l'enorme differenza tra i vari settori:
i produttori di beni manufatti o di trasporto, hanno avuto un risultato disastroso nei sette anni, di continuo calo. Invece i settori commerciali , all'ingrosso e al dettaglio, hanno avuto profitti crescenti, a cui si aggiungono quelli del settore costruzioni ed agenti immobiliari.

Tutto questo significa che non vi è alcuna ragione per un boom della borsa, perchè i profitti sono cresciuti meno del PIL, e soprattutto perchè le prospettive sono per un ulteriore collasso.