ECONOMIA: lo scenario probabile
Il dibattito macroeonomico sugli USA ruota attorno a due scuole di pensiero.
La prima, sostenuta dalla Fed e maggioritaria sui mercati, è convinta che la frenata del PIL nel primo trimestre sia dovuta al ciclo delle scorte ed all'impatto una tantum della crisi immobiliare, destinata quindi a rientrare subito con la crescita di nuovo sopra al 2% per il resto dell'anno.
La seconda, portata avanti da molti accademici, ritiene invece che il peggio della crisi immobiliare debba ancora venire, e soprattutto che devono ancora farsi sentire gli effetti sui consumi.
Personalmente , come scritto tante volte, ritengo che entrambe le scuole non colgano l'aspetto epocale in essere: la crescita dipende sempre più dalla super finanziarizzazione dell'economia; quest'ultima può dunque riuscire a contenere la crisi immobiliare come ritiene la prima scuola di pensiero, ma al costo enorme a lungo termine di sempre maggiori eccessi creditizi e squilibri globali. E se è vero che l'indebitamento delle famiglie, delle imprese e del governo è ormai a livelli troppo elevati per continuare ad espandersi sostenendo la crescita, è anche vero che va considerata l'incredibile espansione del settore finanziario (banche e non banche), i cui mega redditi contribuiscono alla tenuta del reddito nazionale e soprattutto dei consumi. Non a caso siamo in presenza di un boom storico per fusioni ed acquisizioni, riacquisti di azioni proprie, dividendi speciali, etc, cui corrisponde un boom storico nell'emissione di nuovi debiti del settore finanziario che grazie all'effetto leva sempre più aggressivo sostiene la liquidità dei mercati anche durante i momenti difficili (come quello attuale sui mutui ipotecari).
Per essere più chiaro: quando si effettua una acquisizione con l'emissione di nuovo debito si aggiunge nuova liquidità al sistema che in parte va a finire ai venditori i quali poi la usano per acquistare altri strumenti finanziari; in parte va a finire agli stessi acquirenti tramite le ormai popolari effettuazioni di dividendi speciali; ed in parte ancora va a far aumentare i redditi della miriade di intermediari finanziari coinvolti nel processo. Non è un caso che ad ogni notizia di nuova acquisizione le borse salgano, provocando automaticamente una crescita dei valori collaterali a garanzia per nuovi indebitamenti, in un processo autoalimentantesi ed apparentemente senza fine.
Sono questi i veri problemi, non il dibattito recessione sì- recessione no, che tra l'altro ignora anche il rischio inflazione totale , giunta ormai nella contabilità ufficiale al 4% come deflatore del PIL.
Dal punto di vista congiunturale direi che tutto è molto chiaro al momento, come raramente in passato.
La Cina ed il Giappone non cambiano politica monetaria, con le due conseguenze principali che restano intatte :
1)la liquidità globale continua a crescere;
2) l'inflazione parziale (dei beni manufatti importati dalla Cina) resta contenuta, consentendo alle banche centrali di mantenere fermi i tassi d'interesse reali (con qualche aumento di facciata, qui e là, ma senza restrizioni monetarie effettive).
In queso contesto, l'economia mondiale continuerà a finanziarizzarsi sempre più, sopperendo alle crisi settoriali o locali con la crescente megabolla creditizia globale (e le mille bolle blu che ne derivano).
Naturalmente continueranno a crescere lentamente ma inesorabilmente l'inflazione totale e lo squilibrio commerciale globale, il che assicura un redde rationem finale drammatico, ma è ormai chiaro che difficilmente lo si vedrà nell'anno 2007.
Quest'ultimo era iniziato, nella percezione dei mercati, con l'idea che la crisi immobiliare americana avrebbe portato la FED ad abbassare i tassi; così, i rendimenti obbligazionari erano scesi al 4,5% sul decennale invertendo la curva; il dollaro aveva perso oltre il 4% come indice generale; le materie prime e le borse erano salite, con l'oro fino a 700 dollari, riassorbendo velocemente l'incidente di percorso del 27 febbraio innescato dalla paura che gli asiatici (Cina, Giappone)cambiassero politica: paura rivelatasi infondata.
Dai primi di maggio ci si è convinti che la FED terrà i tassi fermi per tutto l'anno; così i rendimenti obbligazionari si sono riaggiustati ed il decennale è risalito nei pressi del 5%, appiattendo la curva; il dollaro ha recuperato un terzo della precedente caduta; le materie prime hanno un pò stornato, con l'oro fino a 650; e le borse hanno proseguito la loro marcia lo stesso, perchè essendo in bolla ogni scusa è buona per salire (prima perchè pensavano al calo dei tassi, ora perchè pensano all'economia che va bene, etc.).
Questi aggiustamenti iniziati un mese fa, potrebbero proseguire un pò, il decennale magari salire sopra al 5%, il dollaro recuperare ancora qualcosina, e via dicendo, ma sostanzialmente non ci sono motivi perchè si vada oltre, fermo restando come sopra menzionato l'immobilismo de facto delle banche centrali mondiali, soprattutto quello delle asiatiche.
Per il prossimo futuro quindi la previsione è semplice:
si resterà con i rendimenti in lieve tendenza rialzista a cavallo del 5%, con il dollaro in fascia laterale tra 81 ed 84 come indice generale, mentre materie prime e borse, pur con alti e bassi, proseguiranno il loro inflazionamento.
Le eventuali oscillazioni, nonchè la loro ampiezza, dipenderanno dalle solite due variabili "stupide" cui guardano i mercati:
1) l'inflazione parziale, al netto di petrolio ed alimentari: dovesse sorprendere al rialzo, allora i mercati percepiranno il rischio di un rialzo dei tassi(in questo caso il rialzo dei rendimenti e del dollaro potrebbe andare oltre i limiti sopra menzionati, mentre borse e materie prime subiranno una correzione).
2) la crescita economica: dovesse sorprendere al ribasso, allora torneranno di attualità le aspettative di un calo dei tassi e le varie quotazioni potrebbero tornare ai livelli di fine aprile.
Penso però che nè l'una nè l'altra variabile, per i prossimi mesi, presenterà sorprese significative, dunque mi aspetto la lateralità sopramenzionata, pur con le inevitabili oscillazioni (senza le quali del resto, i mercati chiuderebbero bottega).
Ovvio, eventuali e sempre possibili sorprese geopolitiche, soprattutto nella misura in cui impatteranno il petrolio, potranno provocare nuovi scenari e comunque fasi di volatilità più acuta, ma al momento non serve ragionarci sù.
Il dibattito macroeonomico sugli USA ruota attorno a due scuole di pensiero.
La prima, sostenuta dalla Fed e maggioritaria sui mercati, è convinta che la frenata del PIL nel primo trimestre sia dovuta al ciclo delle scorte ed all'impatto una tantum della crisi immobiliare, destinata quindi a rientrare subito con la crescita di nuovo sopra al 2% per il resto dell'anno.
La seconda, portata avanti da molti accademici, ritiene invece che il peggio della crisi immobiliare debba ancora venire, e soprattutto che devono ancora farsi sentire gli effetti sui consumi.
Personalmente , come scritto tante volte, ritengo che entrambe le scuole non colgano l'aspetto epocale in essere: la crescita dipende sempre più dalla super finanziarizzazione dell'economia; quest'ultima può dunque riuscire a contenere la crisi immobiliare come ritiene la prima scuola di pensiero, ma al costo enorme a lungo termine di sempre maggiori eccessi creditizi e squilibri globali. E se è vero che l'indebitamento delle famiglie, delle imprese e del governo è ormai a livelli troppo elevati per continuare ad espandersi sostenendo la crescita, è anche vero che va considerata l'incredibile espansione del settore finanziario (banche e non banche), i cui mega redditi contribuiscono alla tenuta del reddito nazionale e soprattutto dei consumi. Non a caso siamo in presenza di un boom storico per fusioni ed acquisizioni, riacquisti di azioni proprie, dividendi speciali, etc, cui corrisponde un boom storico nell'emissione di nuovi debiti del settore finanziario che grazie all'effetto leva sempre più aggressivo sostiene la liquidità dei mercati anche durante i momenti difficili (come quello attuale sui mutui ipotecari).
Per essere più chiaro: quando si effettua una acquisizione con l'emissione di nuovo debito si aggiunge nuova liquidità al sistema che in parte va a finire ai venditori i quali poi la usano per acquistare altri strumenti finanziari; in parte va a finire agli stessi acquirenti tramite le ormai popolari effettuazioni di dividendi speciali; ed in parte ancora va a far aumentare i redditi della miriade di intermediari finanziari coinvolti nel processo. Non è un caso che ad ogni notizia di nuova acquisizione le borse salgano, provocando automaticamente una crescita dei valori collaterali a garanzia per nuovi indebitamenti, in un processo autoalimentantesi ed apparentemente senza fine.
Sono questi i veri problemi, non il dibattito recessione sì- recessione no, che tra l'altro ignora anche il rischio inflazione totale , giunta ormai nella contabilità ufficiale al 4% come deflatore del PIL.
Dal punto di vista congiunturale direi che tutto è molto chiaro al momento, come raramente in passato.
La Cina ed il Giappone non cambiano politica monetaria, con le due conseguenze principali che restano intatte :
1)la liquidità globale continua a crescere;
2) l'inflazione parziale (dei beni manufatti importati dalla Cina) resta contenuta, consentendo alle banche centrali di mantenere fermi i tassi d'interesse reali (con qualche aumento di facciata, qui e là, ma senza restrizioni monetarie effettive).
In queso contesto, l'economia mondiale continuerà a finanziarizzarsi sempre più, sopperendo alle crisi settoriali o locali con la crescente megabolla creditizia globale (e le mille bolle blu che ne derivano).
Naturalmente continueranno a crescere lentamente ma inesorabilmente l'inflazione totale e lo squilibrio commerciale globale, il che assicura un redde rationem finale drammatico, ma è ormai chiaro che difficilmente lo si vedrà nell'anno 2007.
Quest'ultimo era iniziato, nella percezione dei mercati, con l'idea che la crisi immobiliare americana avrebbe portato la FED ad abbassare i tassi; così, i rendimenti obbligazionari erano scesi al 4,5% sul decennale invertendo la curva; il dollaro aveva perso oltre il 4% come indice generale; le materie prime e le borse erano salite, con l'oro fino a 700 dollari, riassorbendo velocemente l'incidente di percorso del 27 febbraio innescato dalla paura che gli asiatici (Cina, Giappone)cambiassero politica: paura rivelatasi infondata.
Dai primi di maggio ci si è convinti che la FED terrà i tassi fermi per tutto l'anno; così i rendimenti obbligazionari si sono riaggiustati ed il decennale è risalito nei pressi del 5%, appiattendo la curva; il dollaro ha recuperato un terzo della precedente caduta; le materie prime hanno un pò stornato, con l'oro fino a 650; e le borse hanno proseguito la loro marcia lo stesso, perchè essendo in bolla ogni scusa è buona per salire (prima perchè pensavano al calo dei tassi, ora perchè pensano all'economia che va bene, etc.).
Questi aggiustamenti iniziati un mese fa, potrebbero proseguire un pò, il decennale magari salire sopra al 5%, il dollaro recuperare ancora qualcosina, e via dicendo, ma sostanzialmente non ci sono motivi perchè si vada oltre, fermo restando come sopra menzionato l'immobilismo de facto delle banche centrali mondiali, soprattutto quello delle asiatiche.
Per il prossimo futuro quindi la previsione è semplice:
si resterà con i rendimenti in lieve tendenza rialzista a cavallo del 5%, con il dollaro in fascia laterale tra 81 ed 84 come indice generale, mentre materie prime e borse, pur con alti e bassi, proseguiranno il loro inflazionamento.
Le eventuali oscillazioni, nonchè la loro ampiezza, dipenderanno dalle solite due variabili "stupide" cui guardano i mercati:
1) l'inflazione parziale, al netto di petrolio ed alimentari: dovesse sorprendere al rialzo, allora i mercati percepiranno il rischio di un rialzo dei tassi(in questo caso il rialzo dei rendimenti e del dollaro potrebbe andare oltre i limiti sopra menzionati, mentre borse e materie prime subiranno una correzione).
2) la crescita economica: dovesse sorprendere al ribasso, allora torneranno di attualità le aspettative di un calo dei tassi e le varie quotazioni potrebbero tornare ai livelli di fine aprile.
Penso però che nè l'una nè l'altra variabile, per i prossimi mesi, presenterà sorprese significative, dunque mi aspetto la lateralità sopramenzionata, pur con le inevitabili oscillazioni (senza le quali del resto, i mercati chiuderebbero bottega).
Ovvio, eventuali e sempre possibili sorprese geopolitiche, soprattutto nella misura in cui impatteranno il petrolio, potranno provocare nuovi scenari e comunque fasi di volatilità più acuta, ma al momento non serve ragionarci sù.