Speciale Bancarotta intellettuale
Tutto il dibattito su crescita ed austerità che impazza al momento, è sbagliato, è un vero e proprio non senso. Come se esistesse una bacchetta magica da cui far spuntare la crescita, basta che i politicanti lo decidano! O come se si potesse vivere al di sopra dei propri mezzi indebitandosi all’infinito! L’unica distinzione che ha senso fare è tra gli statalisti che massacrando di tasse i cittadini vogliono spendere e spandere (li chiamano “investimenti pubblici”), ed i liberali (specie ormai più rara dei panda) che auspicherebbero uno stato ridotto al minimo indispensabile, ed una pressione fiscale mai oltre un terzo del reddito. La crisi sta pienamente facendo venir fuori la bancarotta intellettuale della nostra epoca, la cui massima espressione si ha nel mondo delle banche centrali. I banchieri centrali rifiutano il fatto che i tassi d’interesse sono prezzi. Manipolare questi prezzi durante le fasi di espansione e contrazione ha effetti deleteri sull’economia reale. Nonostante il socialismo reale e la pianificazione centralizzata siano stati rigettati dai sostenitori del “libero mercato”, persiste il mito che le banche centrali sono una componente necessaria delle economie di mercato, per le quali quel rigetto non vale. La teoria economica comprende che stabilire salari e prezzi per decreto governativo provoca cattive allocazioni delle risorse ed inefficienze, a lungo andare insostenibili come nell’URSS. Eppure la medesima teoria accetta la nozione che le banche centrali devono determinare non solo la quantità di una merce, la moneta, bensì anche il prezzo di tale merce fissato tramite i tassi d’interesse. Stampare quantità illimitate di moneta, o fissarne il prezzo a zero, rendendolo addirittura negativo in termini reali, non conduce alla prosperità. Ormai l’evidenza è lapalissiana. Sono due decenni che la Fed pompa trilioni di dollari nell’economia, fornendo soldi alle banche nella speranza che questa nuova moneta si tramuti in prestiti e quindi in crescita. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Questi interventi sono finalizzati a far salire le quotazioni borsistiche, abbassare il costo del denaro per le grandi multinazionali, e mantenere elevati prezzi immobiliari. Ma come i loro predecessori degli anni trenta, gli gnomi della Fed si comportano considerando che la bolla da loro creata sia lo status quo a cui necessita tornare sempre. Cioè confondono moneta con ricchezza, ed esprimono l’idea truffaldina che la prosperità derivi da quotazioni elevate dei cespiti patrimoniali e da larghe quantità di moneta e credito.
L’istinto verso i soldi facili non è nuovo, c’è sempre stato da quando esiste la specie umana. Le banche centrali furono create dopo millenni, proprio nella supposizione che avrebbero messo fine alle crisi finanziarie, come quelle sperimentate durante l’ottocento con la nascita del capitalismo industriale. Invece le crisi finanziarie sono continuate ed anzi sono diventate peggiori da quando è stata istituita la politica monetaria centralizzata agli inizi del novecento. La Fed viene creata con un colpo di mano costituzionale nel 1913, da allora negli USA ( e nel mondo) abbiamo avuto: la grande depressione degli anni trenta; l’emorragia delle riserve auree duranti gli anni 60; la stagflazione degli anni 70; la prima bolla alla Gordon Jekko degli anni 80; la superbolla tecnologica di inizio 2000; e l’attuale disastro in corso, post scoppio 2008. Ognuna di queste crisi iniziò con una politica monetaria espansiva sfociata in bolla, e la soluzione al successivo scoppio inevitabilmente seguito, è sempre stata quella di ridare fiato alle bolle. Il che però è sempre servito solo a piantare i semi della crisi successiva. (segue)
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