(.....)Ciò dimostra come la bolla dei bonds, la madre di tutte le bolle, vada sempre monitorata con attenzione, anche perché è globale. Non solo negli USA, ma pure in Germania ed Inghilterra, i rendimenti reali negativi dei titoli statali, in presenza di debiti pubblici record, danno l'esatta misura della situazione cancerogena in essere. A tal proposito, voglio qui focalizzarmi sulla enorme bolla esistente nel paese del Sol (sarebbe meglio quindi dire "Bol") Levante, la quale dopo tre decenni di pianificazione centrale fallimentare appare pronta a scoppiare, comportando una probabile svalutazione dello yen nell'ordine del 40% circa. Eh già perché con la grande novità del passaggio in deficit commerciale del Giappone, la resa dei conti per lo yen non sembra distante.
Le imprese nipponiche stanno lottando contro l'epocale riduzione della loro redditività, e da ora in avanti può solo andare peggio. Non appena fallirà una grande azienda, cambierà la psicologia prevalente, ed emergerà la convinzione di massa che lo yen deve svalutare dopo decenni di forza estrema. Quando ciò avverrà, avverrà improvvisamente, e velocemente. Nel giro di pochi giorni lo yen si svaluterà in modo consistente, perché è l'unico modo per mantenere bassi i rendimenti sui bonds nipponici. Altrimenti, cioè se la svalutazione avvenisse lentamente, le aspettative sulla medesima provocherebbero un impennata nei rendimenti, con la conseguente paura per l'insolvenza di un governo che ha un debito /PIl superiore al 200%, e che in presenza di un deficit estero provocherebbe il collasso dei titoli di stato nipponici, che a sua volta farebbe implodere il governo. Ed una volta caduto il Giappone, la terza economia del mondo, il resto del mondo seguirebbe, visto come è combinato. Non se ne parla ancora molto, ma è dal Bol levante che la metastasi può azzannare l'intero organismo.
Per capire il motivo della svalutazione prossima ventura, occorre aver chiaro perché il Giappone è stato capace di sostenere il suo stato deflattivo per oltre tre decenni, e perché non potrà più farlo. Semplicemente, grazie alla rivalutazione continua dello yen. Con uno yen forte, la deflazione ed il crescente debito pubblico riescono a formare un equilibrio di breve termine che dura fin quando i mercati credono sia sostenibile. Il trend rialzista da quando si è abbandonato il cambio fisso con il dollaro nel 1971 ha portato dollaro/yen da 360 fino a 76. Quando salari e cespiti patrimoniali salgono di prezzo, la valuta forte può essere giustificata. Ma quando scendono, diventa un suicidio. Il PIL nominale toccò il massimo nel 1977 così come i salari nominali. Dagli anni 80 i prezzi immobiliari sono scesi costantemente, il Nikkey è salito solo in 4 degli ultimi 15 anni, ed è ancora ai minimi da tre decenni in cui è passato da 40 mila a 10 mila. Nel frattempo tutti hanno continuato a credere in uno yen forte (provocandone auto avvitamento), durato così a lungo grazie al sostegno del saldo attivo nella bilancia commerciale che ha offerto anche le risorse per un finanziamento interno del debito pubblico, atteso arrivare quest'anno al trilione di yen (215% PIL), cioè a circa 100 mila dollari pro capite. La sua sostenibilità dipende dalla fiducia dei grandi detentori di tale debito (le istituzioni e famiglie giapponesi) nella solvibilità del governo. La giustificazione per accettare rendimenti di lungo termine pari all'1% nominale è stata finora trovata nella deflazione, per cui tali rendimenti in termini reali sono apparsi in linea con quelli degli altri paesi paragonabili. Il che richiede però deflazione continua; ma, essa riduce il PIL nominale, e quindi la base delle entrate fiscali. Come può quindi il governo far fronte al servizio del debito crescente, tassando un economia in contrazione? Non può. Non rimane che indebitarsi ancora di più, e con i nuovi debiti pagare i vecchi, nel più classico degli schemi Ponzi. Finora il deficit pubblico (anche oltre il 10% annuo) ha sostenuto la domanda interna, evitando una crisi dell'occupazione, anche perché i salari nominali sono scesi, e quindi finora la società nipponica ha sopportato la situazione (le famiglie sono poco indebitate). Sfortunatamente tale situazione diviene insostenibile per definizione, nel momento in cui viene meno l'attivo commerciale dall'estero. Lo yen forte che aveva finora tenuto insieme il castello di carte, un simbolo psicologico di forza economica, diviene ora un ostacolo nel commercio estero. Mentre i giapponesi possono prendersi cura delle proprie imprese, non possono controllare il mondo esterno. Il tallone d'Achille del paese è la perdita di competitività commerciale dovuta all'impatto distruttivo della deflazione sulla fiducia delle imprese, e soprattutto dovuta allo yen forte. Quando spunta un deficit commerciale, segnala l'inizio della fine. Il Giappone ha infatti perso competitività in uno spettro di industrie, in cui era abituata a dominare.
michele.spallino@email.it