9/30/2024

 

ABILITAZIONE AL VOTO E PATENTE DI CANDIDABILITA’

Il suffragio universale è il principio secondo il quale tutti i cittadini, di norma al raggiungimento della maggiore età, possono esercitare il diritto di voto e partecipare alle elezioni politiche e amministrative o ad altre consultazioni pubbliche (come i referendum), senza alcuna restrizione di natura culturale, socioeconomica o psicologica. In base a esso viene garantito il diritto di voto come fondamentale espressione di democrazia diretta dal basso (si ammette tuttavia che in caso di condanna per determinati reati, al condannato si possa sospendere il diritto di voto, temporaneamente o permanentemente). I cittadini, nei moderni stati democratici, sono alla base del sistema politico e col suffragio universale viene eletto l'organo legislativo di uno Stato; nelle repubbliche presidenziali, ciò avviene anche per l'elezione del capo dello Stato.

Ma tale principio non è esistito per la gran parte della storia dell’umanità, e dunque non è inemendabile; infatti, nel corso dell’Ottocento vi era solo un suffragio ristretto - per la maggior parte dei casi attribuito a una porzione della popolazione in base a criteri censitari o relativi all'istruzione – e solo nel Novecento si passò via via al suffragio universale. In Italia venne introdotto, e applicato per la prima volta, nel 1945: neanche 80 anni fa.

I risultati dell’applicazione di tale principio, dopo meno di un secolo, sono sotto gli occhi di tutti, e si possono riassumere con un semplice concetto: ha provocato una progressiva perdita di competenza sistemica proprio mentre il grado di complessità da gestire si è andato via via elevando. Di fronte alla galoppante crisi di sostenibilità planetaria, con il rischio crescente di conflitti nucleari e di distruzione dell’ecosistema, il suffragio universale è diventato un ostacolo a una gestione efficiente ed efficace, mettendo in crisi le democrazie, che non sono eterne come non lo sono mai stati i grandi imperi a cominciare da quello romano.

Ciò nonostante, si può tentare di mantenerlo in vita. Come? Cercando di attenuare il tasso di incompetenza dell’elettorato attivo e passivo.

 

ELETTORATO ATTIVO

1)     Premessa. La proposta che segue non ha la presunzione di ritenersi la soluzione perfetta, bensì vuole solo essere un esempio di come si può procedere nella direzione auspicata. I particolari tecnici, ovvio, sono perfettibili; l’importante è evitare che elettori palesemente ignoranti delle questioni su cui vogliono esprimersi, possano farlo. Essa non ha uno spirito punitivo nei confronti degli “ignoranti” bensì uno spirito stimolativo affinché tutti studino e si informino prima di partecipare al voto, che resta un diritto sacrosanto ma diviene anche un dovere, appunto quello di informarsi, altrimenti si resta liberissimi di non votare. E nessuno può ritenere negativo avere degli elettori più informati su ciò per cui vanno a votare. Aumenterebbe il tasso di non partecipazione alle elezioni? Non è affatto detto, ma se anche fosse, ai fini dell’efficienza della democrazia, sarebbe un bene non un male.

 

2) Proposta. Al fine di incrementare il tasso di competenza dell’attuale sistema a suffragio universale si introduce un certificato di abilitazione al voto.

Il cittadino dovrà presentarsi al seggio non soltanto con la propria tessera elettorale, bensì anche con apposito certificato di abilitazione che sarà emesso per via telematica dopo aver superato la seguente procedura:

-il cittadino con il proprio SPID o CIE o CNS entra nell’apposito sito del ministero degli interni;

-vi trova dieci domande a risposta multipla concernenti la specifica consultazione elettorale su cui andrà a votare;

-mette una croce sulle risposte che ritiene giuste;

-il sistema informatico verifica che almeno 6 risposte su 10 siano esatte: in tal caso gli verrà emesso il certificato di abilitazione elettorale, che il cittadino, insieme alla tessera, e al documento d’identità, presenterà quando si recherà al seggio di competenza.

Qualora le risposte esatte sul foglio precompilato risultino inferiori a 6, il cittadino non riceverà l’abilitazione. Egli però potrà ripetere il tentativo di abilitarsi per un totale di tre volte.

Cosa comporta dal punto di vista organizzativo tale modifica?

Il ministero degli interni dovrà elaborare con l’ausilio dei sistemi di intelligenza artificiale oggi disponibili, alcune migliaia di quesiti a risposta multipla (da tre a cinque), che verranno poi suddivisi in gruppi di dieci.  I quesiti, il cui livello di difficoltà potrà essere tarato come si decide in sede parlamentare, saranno finalizzati a testare quanto il cittadino elettore conosce della competizione elettorale cui vuole partecipare (candidati, partiti o liste, programmi e proposte). Se il potenziale elettore non è in grado di scegliere tra le risposte quella esatta, e ciò per almeno il 60% dei quesiti, il suo voto non è ritenuto ammissibile. Tale sistema si applica dal livello comunale fino a quello europeo o referendario se del caso. Per evitare imbrogli e altri possibili illeciti si studieranno misure apposite.

A esempio, immaginiamo che vi sia un referendum sulle centrali nucleari, e che di fronte al quesito “a cosa serve una centrale nucleare” il potenziale elettore scelga la risposta “a migliorare le nostre capacità di cuocere le uova”, e inoltre scelga altre quattro corbellerie simili, per un totale di cinque risposte sbagliate, appare evidente che la sua partecipazione al voto sia da interdire nell’interesse della collettività. Esattamente come si interdice il permesso di guidare a chi non supera gli esami per la patente, perché viene ritenuto un pericolo per la salute pubblica.

Da notare che la soglia del 60% è molto generosa, e serve a tutelare da eventuali sviste, o altre incongruenze momentanee, e consente anche che qualche fortunato azzecchi a caso una o più risposte esatte. Inoltre, essendo lo spirito stimolativo e non punitivo, egli potrà accedere ancora altre due volte; dunque, una volta compreso durante il primo tentativo quale tipo di domande vengono poste, potrà informarsi meglio e riprovare.

Non dovrebbero esserci dubbi: rispetto all’attuale sistema vigente, che consente in modo indiscriminato l’accesso al voto, così si verrebbe a realizzare una riduzione del “tasso d’inquinamento da ignoranza” del risultato elettorale.

 

 

ELETTORATO PASSIVO

Per tentare di curare la democrazia malata occorre intervenire anche sull’elettorato passivo. Pertanto, occorre stabilire delle soglie minime di competenza per chi si candida a essere eletto, e dunque:

 - introdurre l’obbligo di una “patente”: se non si è in possesso di tale patente non ci si può candidare;

- per ottenerla occorre superare un esame di cultura generale, non si chiede che si dimostrino competenze eccezionali, ma che si dimostrino le conoscenze di base richieste per superare la maturità prevista nella scuola dell’obbligo, ivi incluso il saper leggere e scrivere almeno un’altra lingua oltre quella della propria nazionalità.

- per essere candidabili occorre avere superato l’esame da almeno sei mesi.

Questa modifica consentirebbe di assicurare che i candidati sottoposti alla scelta degli elettori abbiano un minimo di competenze; e, soprattutto, impedirebbe che dall’oggi al domani si possano candidare i personaggi più vari per sfruttare ondate di popolarità che nulla hanno a che fare con l’effettivo esercizio della delicata funzione di legislatore e amministratore della cosa pubblica.

D’altronde, ci sembra normale che occorra superare esami appositi e ottenere una certificazione d’idoneità per esercitare l’attività di medico, ingegnere, magistrato, dottore commercialista e per qualsiasi altra professione o mestiere che comporti un rischio per la comunità, giusto? Bene, allora come sopportare che per esercitare l’attività più importante e delicata, la legislazione e l’amministrazione della cosa pubblica, a tutti i livelli dal comunale, al nazionale, all’europeo, invece non si debba passare nessun esame? Oggi basta essere inseriti in una lista e si può essere votati! Ma da chi? E qui torniamo all’elettorato attivo: spesso da persone che non conoscono né i programmi e le idee, né i candidati.

Occorre quindi intervenire sugli attori e sui risultati, con opportuni rimedi.

Demos (popolo): oggi esercita la sua sovranità fidandosi di chi manovra, cioè di chi confeziona le liste e di chi le finanzia; e sceglie in base alla quantità di propaganda che i candidati ricevono nelle varie forme, quindi in base alla simpatia e alla popolarità, raramente per la competenza. A esempio, se un personaggio di moda si presenta alle elezioni, non importa con chi, stravince. È successo tante volte, da noi un comico ha creato un partito dal nulla ed è arrivato ad avere la maggioranza relativa dei voti (oltre un terzo, elezioni 2018). È un sistema spettacolo, divertente magari, purtroppo autolesionistico: equivale a scegliere il primario di cardiochirurgia in base a elezioni, e non alle competenze certificate. Per cui l’ultimo arrivato (pur palesemente incapace) se ben sponsorizzato può prendere più voti e ottenere il posto. Ma chi si farebbe operare?

Potere: Ce l’ha chi manovra la pubblicità e più in generale chi ha i soldi per orchestrare il consenso. Alla fine, quindi, è un sistema "democratico” solo se ci si riferisce ai “pupi”; mentre invece è “plutocratico”, riferendosi ai “pupari”. Molto furbo dal punto di vista di questi ultimi, ma demenziale dal punto di vista dell’interesse collettivo.

Risultati? Dopo meno di un secolo, sono sotto gli occhi di tutti, e ciò vale per gli USA come per i principali paesi europei ormai in decadenza avanzata (Germania, Francia, Italia, per non parlare degli inglesi con la loro autolesionistica Brexit che, se fosse stato vigente il certificato di abilitazione, non sarebbe certamente passata). Purtroppo, è facile prevedere come nel giro di qualche ulteriore decennio, se non prima, ciò porti all’implosione delle società occidentali a cominciare dagli USA. Infatti, l'accesso indiscriminato alle candidature è un sistema adottato solo dall'Occidente, i cinesi e gli arabi se ne guardano bene, i russi come tanti altri lo fanno solo per finta.

Rimedi? C’è chi parla di democrazia qualificata, chi di Epistocrazia. Tale definizione, coniata da David Estlund, è stata poi teorizzata da Jason Brennan ed è propugnata anche da Nassim Nicholas Taleb. Un’alternativa alla democrazia come la interpretiamo oggi, e che è da loro considerata ormai compromessa dalla indiscriminata estensione dei diritti di voto, attivo e passivo. È anche in netta contrapposizione con i concetti di aristocrazia e tecnocrazia. Difatti l'epistemocrazia – è la definizione estesa, che viene dal greco episteme, cioè conoscenza, dunque potere alla competenza- non condivide né la natura oligarchica del potere nelle mani di pochi né tanto meno quella elitaria, dettata nel caso dell’aristocrazia da un diritto di nascita e nel caso della tecnocrazia dall’esperienza comprovata nella scienza e nella tecnica.

Come fare concretamente?

Con l’introduzione dei due correttivi sopra illustrati, non vi è alcuna garanzia di riuscire a salvare le democrazie malate, ma certamente aumenterebbero le probabilità di una loro sopravvivenza. A questo scopo:

-tenuto conto che il più feroce nemico delle proposte qui avanzate sarà la partitocrazia che non vorrà mai perdere alcun potere, specie quello di candidare chi le pare all’ultimo momento;

-considerato, inoltre, che il problema di curare le democrazie malate è comune a tutti i paesi democratici del mondo;

le riforme proposte andrebbero discusse, e poi eventualmente adottate, in tutto l’Occidente democratico. Anacronistico chiudersi nel proprio provincialismo. È invece necessario non solo che esse emergano dalla società civile internazionale, ma anche che siano propugnate attraverso la creazione del WEP (World Epistocracy Party) che dovrà presentare apposite liste alle varie elezioni in tutti i paesi aderenti. Sarà fondamentale il contributo USA, e si può pensare di proporre al prof. Brennan la presidenza di tale organizzazione, in Italia si può proporre al prof. Cassese, e così via nei vari paesi. Ciò per rendere visibile presso l’opinione pubblica tali riforme, e assicurarsi una audience sufficiente, considerato che le vigenti partitocrazie, i loro organi mediatici e i loro sponsor plutocratici remeranno contro senza pietà.

9/14/2019

SPECIALE DAL QE AL QS

SPECIALE DAL QE AL QS

Draghi conclude il suo mandato riproponendo uno strumento obsoleto che si è rivelato incapace di rilanciare in modo sistemico lo sviluppo economico, non solo in Europa, ma anche in Giappone e negli USA. E ciò per un motivo molto semplice a capirsi: in era post-globalizzazione, con il continente asiatico divenuto la fabbrica del mondo, si è creato un eccesso di capacità produttiva tale da eliminare l'inflazione e rendere inefficaci le vecchie politiche di deficit spending e bassi tassi d'interesse. Dunque per portare l'inflazione al famoso 2% che secondo lui serve a stimolare la crescita- ammesso e non concesso che l'aumento dell'inflazione sia cosa buona e giusta- occorre creare nuova domanda netta, capace di colmare, o quanto meno ridurre, il gap con l'offerta. Immaginate allora che le banche centrali invece di comperare titoli di stato e altri asset rischiosi mettendo la moneta stampata nelle mani degli speculatori che poi continuano a specularci senza alcun beneficio per l'economia reale, e invece di imporre tassi d'interesse negativi equivalenti ad una patrimoniale occulta sui risparmi mobiliari, immaginate piuttosto chestampino moneta per finanziare dei  BUONI SPESA distribuiti ai residenti tramite i rispettivi ministeri dell'economia nazionali.
Ci siete? succederebbe che la moneta stampata andrebbe a finire direttamente nell'economia reale, convertendosi in maggiori fatturati delle imprese e maggior tenore di vita dei consumatori, con relativo incremento delle entrate fiscali per gli stati nazionali (metà  del totale, tra Imposte indirette e dirette). Aumento del PIL, dell'occupazione e degli investimenti automatico e garantito.
 E se poi saletroppo l'inflazione? si possono riaumentare i tassi d'interesse, riportandoli a livelli fisiologici con benefici generali di lungo periodo. E infine, una volta avviato il volano, questo stimolo che denomino QUALITATIVE SPENDING in contrasto con l'attuale QUANTITATIVE EASING, può essere interrotto.
Perchè QUALITATIVE? perchè i BUONI SPESA possono essere settoriali, cioè indirizzati ai settori che si ritiene prioritari da sostenere (ad esempio, turismo-elettrodomestici-trasporti-tecnologia- etc.). Last but not least, i BUONI SPESA avrebbero una scadenza, come il cibo fresco (ad esempio, mensile) cioè se non vengono spesi entro la scadenza si perdono. In questo modo si attiva uno strumento di immediata efficacia, e si impediscono fenomeni di tesaurizzazione, rivendita, etc.
Qualche numero. La BCE ha già proceduto con un QE da 80 mld. al mese, ed ora lo vuole rifare da 20 mld.senza limiti di tempo. Se invece procedesse con un QS di uguale importo del passato, e a tempo determinato, consentirebbe ad uno stato come l'Italia che pesa circa 1/8 come PIL dell'eurozona(17 paesi), di avere un QS e quindi un maggior PIL pari a 10mld. al mese, quindi 120 miliardi l'anno, con entrate fiscali aggiuntive (tra imposte indirette, contributi e dirette) pari a circa il 50% cioè 60 miliardi (ci si pagherebbero gli interessi sul debito pubblico).  Lo stesso varrebbe per Francia, Germania, e in proporzione gli altri paesi, con benefici indotti per tutta l'economia mondiale. Se poi lo stesso facessero FED, BOE,BOJ e le altre banche centrali che hanno in corso programmi di QE, vi sarebbe una svolta per l'economia mondiale sicuramente maggiore di quella in essere sotto gli occhi di tutti.
Come potrebbe funzionare concretamente la mia idea?
Visto che l'operazione andrebbe effettuata a livello europeo e volendo profittare dell'occasione per migliorare l'immagine dell'UE agli occhi dei cittadini, dovrebbe essere uno sportello UE presso ogni municipalità a distribuire i BUONI SPESA, una volta al mese e con scadenza mensile, di volta in volta dedicati al settore prescelto dai rispettivi governi nazionali. Se per l'Italia lo stock di Buoni Spesa è di 10 miliardi mensili, ogni nucleo familiare a prescindere dalla sua ricchezza (ce ne sono circa 20 milioni) avrebbe diritto ad un Buono pari a 500 euro mensili. Eviterei di complicare l'idea mettendo soglie reddituali e simili, perchè se poi la distribuzione dei Buoni comporta processi di accertamento dichiarazioni ISEE etc., si vanifica tutto. Invece anche il nucleo ricchissimo avrà il suo Buono, poi se non lo vuole ritirare o utilizzare, e lo vuole regalare, può farlo. L'importante è che il meccanismo fili liscio come l'olio, semplice ed efficace.
Allora ipotizziamo che il governo abbia stabilito per quel mese di sostenere gli alberghi, il nucleo familiare deve andare a spenderselo entro il mese, basta un week-end per una famiglia di 4 persone- due doppie per due notti e consumi connessi), presso uno dei tanti esercizi alberghieri esistenti nel Paese (potrebbe anche concepirsi che la spesa sia valida in tutti i paesi dell'eurozona e ciò per favorire l'integrazione, ma in questa sede semplifico mi basta rendere l'idea sulla quale si può poi lavorare). Gli albergatori poi versano in banca , come fossero normali assegni, i BUONI SPESA, ricevendone il controvalore in euro; e le banche a loro volta si presentano per l'incasso alla BCE, finanziatrice di ultima istanza dell'operazione.
Semplice, no?

Poi il mese dopo è la volta degli elettrodomestici, e i 500 euro di ogni famiglia sarannno spesi in frigo-lavastoviglie-etc.; naturalmente se il prodotto che la famiglia vuole comprare costa (iva inclusa) ad esempio 700 euro, 200 ce li metterà di tasca sua. E il mese dopo tecnologia, e poi arredamento, abbigliamento, alimentari, e poi via via tutti i settori dando la prorità ovviamente a quelli in difficoltà e ad alta occupazione, comunque queste sarebbero scelte di politica economica di competenza dei vari governi, ma nulla esclude che possa esservi anche in questo una regìa europea, e che si decida di fare gli stessi settori in tutta europa, mese per mese, oppure validità per tutti i settori contemporaneamente.Si può ragionare su tante varianti, quello che qui m'interessa è far comprendere l'idea di base e dimostrare che piuttosto di un QE per l'alta finanza e senza utilità per i cittadini, si potrebbe fare con le medesime stampanti un QS per la gente. Nel caso italiano sopracitato, un QS di un anno metterebbe risorse per 6 mila euro a disposizione di ogni nucleo familiare, lascio immaginare cosa può significare per le famiglie a basso reddito.Il tutto senza aumentare i costi delle imprese, nè il debito pubblico che anzi ne beneficerebbe come sopra spiegato.
ps.
è una mia vecchia idea già avanzata alcuni anni fa, ma ora ho visto che a livello internazionale se ne inizia a parlare seriamente (ad esempio Fisher della Fed), vedremo.

11/20/2018

NEUREXIT

I sempre più convinti esponenti dell'EUREXIT (coloro che ritengono conveniente per l'Italia uscire fuori dall'euro) hanno fatto di Joseph Stiglitz, premio Nobel 2001 per l'economia, la loro bandiera, perchè questo americano a sua volta da tempo ha preso di mira l'euro, fino a dedicarci un libro(L’euro: come una moneta comune minaccia il futuro dell’Europa, non tradotto in italiano,2016). Va premesso che il prof. Stiglitz fu insignito del famoso riconoscimento, insieme ad altri 2 studiosi, per un suo contributo sulle asimmetrie informative, nell'ambito della microeconomia di cui è specialista. Dunque si può ritenere che quando si occupa di macroeconomia giochi un pò fuori casa. Inoltre si sa che gli americani vedono l'euro come un pericoloso concorrente del loro beneamato dollaro che tanta libertà concede -in quanto unica moneta mondiale -all'impero a stelle e strisce. Legittimo pertanto restare dubbiosi circa i consigli non richiesti che così generosamente Egli concede, specie agli anelli deboli dell'eurozona. Quest'anno si è rivolto all'Italia: il 26 giugno, visto il nuovo governo pentalegato euroscettico, Stiglitz ha scritto un articolo in inglese su Politico, da molti considerato un incoraggiamento all'eurexit. Ma ci sono varie contraddizioni se si legge bene il testo qui
In particolare, dopo critiche ai tedeschi e caso Grecia, arriva a noi:
"A lower exchange rate will allow Italy to export more. Consumers will substitute Italian-made goods for imports. Tourists will find the country an even more attractive destination. All of this will stimulate demand and increase government revenues. Growth will increase, and Italy’s high level of unemployment (11.2 percent, with 33.1 percent youth unemployment) will decrease."
Wow, che bel mondo delle meraviglie! se fosse così saremmo davvero pazzi a non precipitarci a uscire. Peccato Lui dimentichi che ben prima di avere effetti sull'export, il più basso tasso di cambio provocherebbe un forte rialzo dei prezzi dell'energia e delle materie prime che l'Italia importa copiosamente essendone sprovvista. E questo significherebbe una immediata enorme tassa sul potere d'acquisto dei consumatori che si ritroverebbero a sostituire ben poco! E naturalmente le persone scenderebbero in piazza, i sindacati proclamerebbero scioperi a oltranza, per avere ripristinati salari, stipendi e pensioni nella nuova moneta a livelli di potere d'acquisto precedenti. Il che significherebbe per le aziende esportatrici, innanzitutto rialzare i listini prezzi per recuperare gli AUMENTI di materie prime e stipendi,  e solo poi vendere sperando resti qualche margine a favore dei clienti esteri, forse ben misera cosa a fronte di  un paese nel caos. Su queste dinamiche non scrive nemmeno una parola, le salta a piè pari. 
Invece, circa la micidiale questione finanziaria che l'EUREXIT verrebbe ad aprire, Stiglitz scrive: 
"The challenge, of course, will be to find a way to leave the eurozone that minimizes the economic and political costs. A massive debt restructuring, carefully done, with special attention to the consequences for domestic financial institutions, will be essential. Without such a restructuring, the burden of euro denominated debt would soar, offsetting possibly a large part of the potential gains".
Appunto, peccato Lui non spieghi come si fa codesto miracolo. O meglio ci prova, ma...
"From an economic perspective, the easiest thing to do would be for Italian entities (governments, corporations and individuals) to simply redenominate debts from euros into new lira. But because of legal complexities within the EU, and because of Italy’s international obligations, it may be preferable to enact a super-Chapter 11 bankruptcy law, providing expeditious recourse to debt restructuring to any entity for whom the new currency presents severe economic problems. Bankruptcy laws remain an area within the purview of each of the nation states of the EU.  Italy could even choose not to announce that it’s leaving the euro. It could simply issue script (say government bonds) that would have to be accepted as payment for any euro debt obligation. A decrease in the value of these bonds would be tantamount to a devaluation. This would at the same time restore the efficacy of Italy’s monetary policy: Changes in central bank policy would affect the value of the bonds.Of course, there would be a hue and cry from other members of the eurozone. Introducing a parallel currency, even informally, would almost certainly violate the eurozone’s rules and certainly be against its spirit. But this way, Italy would leave it to the other members of the eurozone to decide to expel it.."
E bravo, così ci facciamo espellere e poi?
"To be sure, one shouldn’t underestimate the costs of a large devaluation. Any large change in a key price in an economy is a significant perturbation.The price of foreign exchange is, of course, pivotal in any open economy. It has knock-on effects on the prices of all goods and services. Some — perhaps many — firms will go bankrupt. Some — perhaps many — individuals will see their real incomes decline."
Ahi, allora ci facciamo male, sicuro che ci conviene? Lui conclude riconoscendo che certo è un operazione molto difficile da far funzionare, ma se il nuovo governo (dall'alto della sua esperienza e comprovata capacità) ci riesce, bè allora l'Italia starebbe meglio e l'Europa pure... 
Please, leggetevi l'articolo originale e poi ditemi se chi vorrebbe seguire le orme dell'esimio Professore più che di eurexit non abbia bisogno di NEUREXIT!

11/09/2018

Il sostenibile peso del taglio alla spesa


Ho già dimostrato perchè proporsi di crescere a furia di deficit spending sia insostenibile.
Ora voglio brevemente dimostrare che invece è possibile crescere a furia di spending review.
La regola generale, valida per ogni paese e in ogni epoca, è:
se si sostituisce coeteris paribus spesa pubblica improduttiva (inefficiente e inefficace) con spesa produttiva (sia pubblica che privata) si ottiene un incremento della crescita.
Un caso da manuale è quello italiano, per il quale faccio riferimento a Baldassarri-Piesole “40 anni di spending review. L'Italia al bivio dei tagli alla spesa” ed. Rubattino, appena presentato nel Xii Rapporto sull'economia italiana, dal Centro Studi sull'economia reale. C'è un articolo degli autori sul Sole 24 ore 7 novembre 2018, che sottoscrivo in pieno e consiglio di leggere. Qui ne presento a modo mio i concetti chiave.
Dentro agli 880 miliardi e passa di spesa pubblica prevista per il 2019 dal NADEF gialloverde, ci sono 135 miliardi per acquisto di beni e servizi della Pubblica Amministrazione. Colpisce che essi siano appena poco più del doppio dei 61 miliardi di cosiddetti Fondi perduti (il nome la dice lunga!). O forse sono questi 61 miliardi a essere abnormi? una ventina sono contributi in conto capitale e il resto(40) trasferimenti correnti di cui la metà (20 miliardi) gestiti dalle Regioni. A fronte di tali fondi in continua crescita, ne troviamo appena 36 per i famosi investimenti sempre tanto citati come la mano salvifica, peccato che siano in forte calo negli ultimi anni (nel 2019 circa un terzo in meno rispetto a inizio decennio). Invece i Fondi Perduti sono frutto di ben 450 leggi stratificatesi nel tempo. Come mai il governo del cambiamento non può cambiarne destinazione?
Basti pensare che gli acquisti della PA si sono raddoppiati negli ultimi 20 anni mentre l'inflazione cumulata per il periodo è stata del 50%. Allora basterebbe riportare le lancette alla spesa di 20 anni fa, aumentata dell'inflazione, e spunterebbero fuori 40 miliardi con i quali si azzererebbe il deficit pubblico, provocando un crollo dello spread a 20-30 cts., con risparmio di almeno 30 miliardi nella spesa annua per interessi della restante legislatura.
Oppure, come propongono gli Autori citati, limitarsi a 20 miliardi di minore spesa (che per il resto della legislatura signficherebbero almeno 60 miliardi, senza contare il risparmio per interessi).
Essi poi aggiungono a tale cifra altri 40 miliardi rivenienti dal capitolo TAX EXPENDITURES, che sarebbe più giusto dedicare a un trasparente taglio dell'Irpef e alla mai sufficientemente auspicata abolizione dell'Irap, vera stortura tributaria italica al servizio delle regioni, senza riscontri nei paesi concorrenti e che tanto male fa all'occupazione.
Ma innanzitutto c'è una questione di metodo: invece di partire dalle nuove spese addizionali che si vogliono fare (sussidi,pensioni,etc.) per poi cercare le coperture e non trovandole scaricare tutto sul deficit, occorre partire dai risparmi effettuabili nel bilancio che come visto possono arrivare a cifre molto importanti, e solo dopo decidere come li si vuole utilizzare. Ma è una logica troppo innovativa, questo è un cambiamento che nessuno si sogna di fare anche se a parole sono bravi tutti....Nei fatti la realtà è che il deficit effettivo è stato del 2,4% rispetto al PIL nel 2017 e adesso viene previsto inalterato in percentuale solo perchè si prevede una crescita del denominatore (PIL) all'1,5%.
Morale: se non interverranno fatti nuovi, prepararsi a un deficit effettivo 2019 ben superiore, basti vedere come hanno tenuto ferma a 66 miliardi la spesa per interessi che invece è già proiettata a superare quota 70 miliardi. La Commissione Europea con il suo 2,9% è stata fin troppo generosa.


SPESE STATALI effettivo 2017 (previste per il 2019) in miliardi di euro
66 (66) interessi+
140 (144) beni e servizi+
62 (67) trasferimenti correnti e c/capitale+
264 (282) pensioni +
78 (83) assistenza+
68 (71) investimenti+
164 (170) lavoro dipendente=
totale 841 (883) (di cui 113 (117) sanità)

ENTRATE STATALI
250 (251) imposte dirette+
249 (272) imposte indirette+
226 (242) contributi+
altre 75 (75)=
totale 800 (839)
DEFICIT o indebitamento netto in valore assoluto
-41 (-44) miliardi


ps : salvatevi questa tabellina, non è facile trovarla in giro, e ho faticato non poco a desumerla dal NADEF.





11/06/2018

L'insostenibile leggerezza del deficit


La politica del deficit spending è praticata e auspicata con gran leggerezza, non solo da politicanti e giornalisti bensì anche da qualche professore d'economia(sigh!), eppure essa è insostenibile, specie per i paesi ad alto indebitamento, così come i modi d'essere nella vita adottati con spensierata leggerezza si rivelano pesanti e insostenibili nel celebre romanzo di Milos Kundera.
Prima di passare alla dimostrazione, un veloce riassunto delle puntate precedenti.
John Maynard Keynes inventò questa politica economica negli anni 30 del secolo scorso, quando l'economia mondiale si trovava in una Grande Depressione, originata da varie concause tra le quali spiccava un eccesso di produzione rispetto ai consumi; inoltre si era in epoca di equilibrio nei bilanci statali e i debiti pubblici, per lo più conseguenza di fatti straordinari come la Grande Guerra, erano di entità contenuta.
In tale contesto, l'idea del noto economista: un “temporaneo” ricorso al deficit di bilancio, finalizzato ad aumentare la domanda di beni e servizi (famoso il paradosso delle buche da far scavare e poi ricoprire, per esemplificare la finalità principale del suo deficit spending), facilmente finanziabile sui mercati creditizi senza conseguenze nefaste sui tassi d'interesse e sulle spese di indebitamento.
Fu la “mammella” del secolo, cui tutte le classi dirigenti si attaccarono immediatamente con entusiasmo puerile ben comprensibile: poter spendere senza vincoli di bilancio è il massimo, specie per i politici adusi a considerare i voti elettorali una merce in vendita al miglior offerente.
Così il deficit spending è rimasto imperituro anche se si sono succedute fasi economiche in cui vi era forte crescita (anni sessanta) e la domanda eccedeva l'offerta generando inflazione (anni settanta), per cui qualche importante nazione (anni ottanta e novanta) provò a perseguire il surplus di bilancio e l'abbattimento dei debiti pubblici. Ma poi è arrivata la globalizzazione e a ogni fase di rallentamento congiunturale si è tornati a incrementare i deficit con il risultato di gonfiare i debiti pubblici e di portare alle stelle i tassi d'interesse e le difficoltà di finanziamento. A quel punto, altro che crescita da deficit, si prospettava la recessione da deficit.
Motivo per cui, in mancanza di nuovi Keynes, le banche centrali -contravvenendo ai loro mandati originari- si sono messe a finanziare i debiti pubblici, direttamente o indirettamente, schiacciando i tassi d'interesse fino a farli divenire negativi in alcuni casi, e ciò anche in presenza di crescita robusta perchè -divenendo il nuovo criterio discriminante la paura della deflazione- si postulava una magica soglia obiettivo del 2% di aumento dei prezzi al consumo: solo superandola -e siamo ai giorni nostri-dovrebbero interrompersi le loro “facilitazioni quantitative” (elegante eufemismo inventato per indicare la creazione di mezzi monetari) da cui l'attuale debito mondiale record, pubblico e privato.

Nel frattempo il deficit spending, da manovra eccezionale per stimolare la domanda aggregata in situazione di depressione, è divenuto una costante della politica economica, e l'immaginario collettivo ne è ormai dipendente (a furia di ripeterla acriticamente anche una bugìa diviene vera) e dunque resta inossidabile l'idea che se si riduce la crescita- nonostante il deficit presente e passato- ci vuole altro deficit per farla aumentare. Vi fischiano le orecchie?
Purtroppo però, come anche il Lord Keynes della General Theory (1936) condividerebbe, non esistono pasti gratis a questo mondo. Ne consegue come già adesso, per paesi con alto indebitamento, la politica del deficit spending sia controproducente ai fini della crescita economica, perchè il danno sui tassi d'interesse e sulla capacità di finanziarsi deprime qualsiasi sano sviluppo del prodotto interno lordo.
Infine, c'è la questione della sostenibilità, comprensibile con una elementare metafora che illustra come manovre “eccezionali” -per definizione- non possono divenire permanenti. A esempio, se si vuole dimagrire si può non mangiare. Non c'è dubbio che in breve tempo si dimagrisce, ma poi che succede? Se si continua a non mangiare si muore, magri quanto si vuole, ma si muore, dunque nessuno può promuoverla a politica permanente; piuttosto occorre perseguire un regime nutrizionale sostenibile capace -dopo la fase “una tantum” di dimagrimento- di mantenere stabile il normopeso ottenuto.
Analogamente il sistema economico deve perseguire un ritmo di sviluppo sostenibile nel tempo, senza divenire dipendente da droghe letali (tipo il deficit spending).
Anche perchè, ammesso e non concesso, (specie in Italia, specie se in spesa corrente invece che in investimenti infrastrutturali) il deficit provochi un aumento del PIL in un dato anno, per la medesima logica, azzerando il deficit o anche solo riducendolo rispetto al precedente si provocherà poi un decremento del PIL. Allora c'è una contraddizione palese nel programmare simile diminuzione di deficit negli anni successivi, pretendendo che non siano controproducenti per la crescita.
Insomma se la teoria che ci vuole più deficit per avere più crescita è vera, allora è vero anche il suo contrario. Oppure non è vera, specie quando diviene permanente, e allora è masochismo puro mettersi nelle mani dei creditori. Tertium non datur.

La triste realtà quindi è che affidandosi a questa ricetta obsoleta i politici manterranno sempre il deficit, con l'inevitabile accumulo dello stock di debito dato dalla sommatoria dei disavanzi annuali. Un macigno insostenibile, a lungo andare, a meno di non ricorrere alla più iniqua ed occulta delle tassazioni: l'iperinflazione di una moneta in svalutazione continua, come storicamente avvenuto numerose volte. Ed è sempre finita male per il popolo.


9/15/2016

PROPOSTA PER UNA RIFORMA CONCETTUALE DEL SISTEMA

ONCE UPON A TIME...
C'era una volta una nazione al centro del mediterraneo dotata di un bel territorio e di abitanti allegri e intraprendenti.
In quella nazione lo Stato assicurava loro fin dalla nascita tre cose gratuite uguali per tutti: la sanità dalla nascita alla morte, l'istruzione fino ai venti anni, ed una congrua pensione a partire dai sessant'anni, a prescindere dalla carriera lavorativa di ciascuno.
Queste tre certezze  consentivano un clima sociale ed economico talmente positivo da essere il vero vantaggio competitivo della nazione. La cosa più originale era il sistema pensionistico che aveva ottenuto 4 grandi effetti collaterali:
- un clima di ottimismo durante la vita lavorativa che consentiva a ciascuno di esprimersi al massimo;
- un vero e proprio esercito di "nonni" in grado di aumentare la produttività economica dei figli, che a loro volta più facilmente prolificavano, assicurando una efficace formazione anche affettiva ai nipoti;
-un minor onere sanitario degli anziani, perchè i sessantenni liberati dalla preoccupazione economica potevano occuparsi di e stessi in modo molto pù salubre, riducendo così l'incidenza delle patologie tipiche della terza età;
- maggior disponibilità occupazionali per i giovani che trovavano molti posti liberati dai sessantenni.

In questa nazione  il bilancio dello Stato finanziava senza fare alcun deficit la sanità, l'istruzione e le pensioni, attingendo ai redditi dei lavoratori e delle imprese  nella misura di un terzo senza sconti nè prevaricazioni, attraverso un sistema fiscale così semplice da essere inevadibile. Solo una imposta sui redditi onnicomprensiva  del 33% cui si aggiungeva un aliquota IVA del 17%, nessun altro contributo o gabella di alcun genere.
Del resto nessuno si sognava di evadere, dal momento che riceveva dallo Stato quanto gli serviva, e soprattutto la impagabile certezza psicologica della pensione a 60 anni in una misura che ai tempi nostri potrebbe essere quantificata in un potere d'acquisto pari a duemila euro netti mensili procapite (per cui una coppia di sessantenni riceveva quattromila euro al mese).
Inoltre quella nazione non impediva a coloro che durante la loro vita lavorativa avevano avuto successo ed erano arrivati a guadagnare ben di più, di organizzarsi previdenze private integrative, oppure di continuare a lavorare dopo i sessantanni se lo desideravano. Era una nazione felice proprio perchè l'iniziativa privata e la libertà individuale erano incentivate e favorite al massimo grado. Così che i cittadini più volenterosi, capaci e meritevoli, potevano esprimere pienamente il proprio potenziale. Al contempo però, i più sfortunati, i disagiati e gli incapaci, non venivano abbandonati a se stessi per le cose essenziali, ed avevano tutto l'incentivo di arrivare comunque al traguardo dei sessantanni.
Non a caso lo chiamavano il Belpaese....

Bella favola vero? eppure non irrealistica:

De Pensionibus
       PROPOSTA PER UNA RIFORMA CONCETTUALE DEL SISTEMA
Viviamo tempi grami, economie in stagnazione permanente. Una delle cause non secondarie di questa situazione è la colpevolizzazione del sistema pensionistico occidentale.  Oggi chi è in pensione si sente una specie di ladro, parassita che vive sulle spalle dei più giovani  i quali, poveracci, mai potranno andare in pensione come lui. Tutto ciò, non solo è profondamente ingiusto, bensì anche praticamente sbagliato. Allungare sempre più l'età pensionabile, riducendo al contempo il potere d'acquisto delle future ed attuali pensioni, è la classica via lastricata che conduce all'inferno. Ed è un idiozia se si confronta al trend della robotizzazione. Oggi non è più fantascienza immaginare quanto Keynes auspicava e prevedeva: un mondo in cui il lavoro, specie manuale, lo fanno le macchine e noi umani ce ne stiamo comodamente ai Caraibi. Eppure mentre tutto ciò si avvicina sempre più dal punto di vista tecnologico, da quello politico si allontana drammaticamente. Perchè le elites al potere non intendono condividere i dividendi dell'automazione e vogliono che la massa sempre più colpevolizzata, perchè non lavora (disoccupata o pensionata), se ne stia buona buona con il tozzo di pane che le verrà lasciato. Errore! Cento anni sono passati invano, le elites si apprestano a prendere la medesima cantonata che sprofondò in grande depressione i nostri bisnonni. Perchè se manca il potere d'acquisto ai consumatori la moderna economia non funziona. In pratica si scatena la famosa divaricazione sociale per cui l'1% è sempre più ricco, ed il restante 99% sempre più povero, frutto di una mentalità feudale, leggermente anacronistica.
Che c'entrano le pensioni in questo discorso?
C'entrano, c'entrano, ma per ben capirlo occorre fare un passo indietro, e provare a guardare le cose in modo diverso da come ce le mostrano. Ad esempio: chi l'ha detto che le pensioni devono essere il frutto di contributi versati durante la vita lavorativa, che poi si spendono apppunto dopo?
In realtà, così come i contributi coattivamente versati sono per il bilancio statale una delle varie entrate fiscali, così analogamente le pensioni sono una delle varie uscite o spese che dir si voglia. Per cui nessuno impedisce ad uno Stato di stabilire che , ad esempio, si riducono alcuni tipi di uscite, e se ne aumentano altre. Conosco l'obiezione: poichè la vita media si allunga e la natalità diminuisce, non è sostenibile un regime di spesa pensionistica che non ne tenga conto. Vero, e non vero allo stesso tempo. Dipende dal punto di vista. Anche perchè occorre guardare la società nel suo insieme. Ad esempio, chi lo dice che la spesa pensionistica è improduttiva?  a ben guardare, i nonni che consentono ai figli di meglio lavorare perchè loro pensionati si occupano dei nipoti, rendono o no, un servizio produttivo al sistema economico e sociale? specie se si guarda in prospettiva, perchè al contempo "formano", istruiscono le nuove risorse, e le dotano di una dimensione affettiva indispensabile alla loro buona riuscita futura. Quindi se si considera tale valore aggiunto, il discorso della spesa pensionistica improduttiva cambia radicalmente. Senza considerare che, viceversa, privarsi di tale valore aggiunto, per mantenere al lavoro gente anziana che occupa posti altrimenti disponibili per i più giovani ha un effetto collaterale negativo ben quantificabile e certamente non di poco conto. Non solo: facendoli lavorare sempre più, si impedisce anche che possano fare una vita più salubre, per cui essi vanno a pesare maggiormente sulle spese sanitarie. E' intelligente tutto ciò? Assolutamente no, anche perchè esiste un sistema alternativo come passo a dimostrare sinteticamente  premettendo che il suo grande valore aggiunto sta proprio nel riconoscerlo fin dall'inizio della propria vita evitando così l'incertezza esistenziale che è il nemico numero uno dell'efficienza economica di ogni sistema.
Allora, schematizzando e semplificando, partiamo dall'attuale vita media maschile pari a circa 80 anni. Ebbene la visione di società che propongo si basa su questa partizione vitale per ogni individuo : 25% (0-20 anni) dedicato alla formazione; 50% (20-60 anni) dedicato al lavoro; 25% (60-80 anni) dedicato al pensionamento. Schema di base che assolutamente, in una società liberale quale da me auspicata, non impedisce che poi i singoli facciano diversamente. Cioè si può smettere di studiare a 18 anni, oppure a 28; si può continuare a lavorare fino a cento anni se si vuole e ce la si fa; etc. Così sarebbe auspicabile che esperienze lavorative part time si facciano fin dai 15 anni, e accompagnino anche i percorsi di studio più lunghi, e poi dopo i 60, ma è inutile per ora perdersi in questi dettagli. Il punto è che  lo Stato, in quanto entità coordinatrice e garante dei diritti essenziali, così come deve offrire sanità di base gratuita per tutto il corso della vita, ed istruzione fino ai venti anni, deve pretendere tassazione del reddito fino ai 60 e poi erogare una pensione di base per il resto della vita (che per alcuni non arriverà a 80 e per altri arriverà ben oltre), lasciando liberi gli individui di organizzarsi come vogliono durante quest'ultimo periodo. Tale pensione di base tanto vale darla netta, perchè tassarla equivale ad una partita di giro inutile. Poi naturalmente coloro che durante la propria vita si sono industriati per guadagnare ben più della pensione base si saranno costruite le proprie pensioni integrative, ed avranno altri redditi tassati come da norma vigente. Ma qui non voglio entrare in queste specifiche, è più importante comprendere la rivoluzione concettuale che propongo.
Una pensione base garantita a tutti i cittadini, indipendente dalla loro carriera lavorativa ed erogabile a partire dal compimento del 60esimo anno di età (la reversibilità della medesima resta solo per i superstiti minorenni, fino ai 18 anni). Non solo, questa pensione base deve essere sostanziosa per avere effetti macroeconomici importanti: ai valori attuali mille euro netti al mese per dodici mensilità. Importante: non verrebbero erogate in nessun caso pensioni di importo superiore, che sono a carico dei piani previdenziali privati che ciascuno si è eventualmente organizzato durante il proprio corso lavorativo. Vengono pertanto aboliti i contributi previdenziali, i lavoratori pagano solo le imposte sul reddito lordo.
Così, lo Stato offre la facoltà agli individui di ritirarsi dal mercato del lavoro con una pensione sufficiente ad un dignitoso tenore di vita, lasciandoli liberi di dedicarsi alla tutela della propria salute e alle tante attività collaterali (incluso consulenze, assistenze ed altre forme con cui la propria esperienza viene messa a frutto) a libera scelta. Altro che andare in pensione il più tardi possibile e con meno soldi possibile, dovrebbe essere proprio l'opposto. Di ciò beneficerebbe il sistema economico, finirebbe la  stagnazione.
Resta il punto chiave. Come si finanzia questo sistema?
Il finanziamento della pensione di base per tutti a 60 anni è dato dal bilancio statale, a sua volta finanziato dalle tasse sul reddito dei 20-60 enni, e naturalmente delle imprese e delle imposte indirette). Avendo eliminato i contributi, saranno maggiori le aliquote fiscali, in modo da mantenere inalterato il gettito ma semplificando il sistema.
Allora facciamo un esempio numerico, tanto per capirci. Ipotizziamo che n Italia su 60 milioni di abitanti ci sono 15 milioni di persone in formazione (fino a 20 anni), 30 milioni di persone in attività lavorativa (fino a 60 anni) ed altri 15 milioni di over 60. Largo circa, cioè queste cifre possono essere calcolate con più precisione e naturalmente sono dinamiche, cioè vanno cambiando anno dopo anno, ma quello che qui mi interessa , ripeto, è spiegare il concetto. Allora quanto costa dare 12 mila euro netti annui  a 15 milioni di persone over 60 a titolo di pensione base, che garantisce un decoroso  tenore di vita ed una buona capacità di spesa?
180 miliardi di lire (oggi la spesa pensionistica si avvicina ai 240 miliardi, dunque un calo di circa 30%, perchè quanto si spende in più sulle pensioni basse, si recupera  dalle pensioni alte, talvolta scandalose, e ciò cesserebbe). E a quanto ammontano le entrate fiscali in Italia? a circa il doppio, se detraiamo la partita di giro sulle pensioni (che oggi vengono erogate lorde, ma poi ci si riprende le tasse).
 Al bilancio statale resterebbero a disposizione almeno 360 miliardi per pagare sanità (110), istruzione e altri servizi statali, depurandoli si spera di corruzione e sprechi politici. Dunque? fattibile, niente di irrealistico, e niente deficit. Si otterrebbe però un fortissimo impulso alla domanda aggregata, e alla produttività del sistema paese. Nel lungo termine il vantaggio aumenta a dismisura, perchè ogni nuova persona cresce fin dalla nascita sapendo cosa lo aspetta, e sapendo che - a prescindere dalla famiglia cui il destino lo assegna, sia essa benestante o sfortunata, ed a prescindere dal tipo di lavoro che sarà in grado di fare- arriverà all'ultimo quarto di vita attesa con una accettabile dimensione socio economica, specie se si sarà creato una casa e una famiglia nel frattempo. Sono le aspettative razionali, a beneficio della collettività.
Scusate se è poco.