La settimana 23-27 ottobre 2006
ECONOMIA: PIL+FED
Con la prima stima del PIL americano nel terzo trimestre (suscettibile di revisioni anche corpose) collocatasi ben al di sotto delle previsioni di consensus, e cioè all'1,6% ("reale", annualizzato), si conclude una settimana che ha rispostato il pendolo verso i timori di recessione prossima ventura.
Il tasso di crescita del Pil nominale (quello che conta per me) si è dimezzato rispetto al trimestre precedente, al 3,4%: per chi considera l'inflazione come minimo a questo livello, significa stagnazione completa; ma anche per chi dà fiducia all'inflazione ufficiale che in questo caso è stata stimata addirittura in calo all'1,8% (il cosiddetto deflatore del PIL)lasciando quindi spazio al sopra citato 1,6% di crescita "reale", è un segnale di allarme.
Andando nel dettaglio vi è da dire che i consumi sono risultati però in crescita al 3,1% così come gli investimenti, e che la caduta del PIl è da imputare al crollo del settore edilizio (-17%), cui si aggiungono il deficit estero crescente e le scorte calanti. All'interno dei consumi vi è un dato gonfiato sulle automobili che il prossimo trimestre verrà meno e dunque, morale della favola: come al solito vi è spazio sia per gli ottimisti (che considerano questo il minimo , e prevedono una ripresa già dal prossimo trimestre), che per i pessimisti (quarto timestre ancora più basso e poi recessione nel 2007).
Prima di sposare una delle due tesi, preferisco aspettare i dati del flusso dei fondi creditizi nel terzo trimestre. Ricordo che nel secondo trimestre il principale sostegno è venuto dall'abbuffata creditizia (+10% contro +8% del primo). Già si sa comunque che i prestiti bancari si stanno espandendo al ritmo del 15%, per cui il credito totale sarà sempre nei pressi del 10% come minimo; e ciò, nonostante i profitti aziendali e i cash flows appaiano crescenti (vi dovrebbe essere meno bisogno di indebitarsi). La verità è che l'enorme gap tra espansione creditizia e bisogni finanziari dell'economia reale continua ad espandersi. Il che spiega perchè i mercati azionari continuano a salire, i rendimenti a restare sui minimi, ed i già bassi spread creditizi divengano ancora più bassi, mentre i mercati emergenti si inflazionano in modo spettacolare. Per cui la contrazione del PIL , ampiamente dovuta allo "sboom" immobiliare e al deficit estero, non è certamente causata dalle condizioni finanziarie che invece continuano a pompare il pompabile.
Tornando alla congiuntura, i precedenti dati della settimana erano stati anch'essi negativi con gli ordini di beni durevoli- al netto dei trasporti- stagnanti; e con le vendite di case in ulteriore calo, ma soprattutto -per la prima volta- con prezzi immobiliari in riduzione di circa il 2% mediamente rispetto a un anno fa.
E la Fed in tutto questo? chi temeva che avrebbe messo l'accento sull'inflazione, ha tirato un respiro di sollievo; la Fed, uno dei più grandi produttori di inflazione del mondo, ha mostrato il solito ottimismo al riguardo, ed ha anche voluto incoraggiare circa la crescita: con una frase nuova aggiunta al precedente comunicato ha assicurato il popolo che la crescita economica continuerà seppur a ritmo moderato.
Insomma , a pochi giorni dalle elezioni, gli uomini nominati da Bush non potevano che dipingere il migliore dei mondi possibile.
E i mercati? drogati come al solito, sono saliti: sia le quotazioni azionarie che quelle obbligazionarie (cioè rendimenti in calo). Del resto fanno parte del piano di sostituzione delle bolle: man mano che quella immobiliare si sgonfia, loro si gonfiano, nella speranza di mantenere alto il morale dei consumatori (e degli elettori). Allo stesso scopo si mantiene per ora frenato il prezzo del petrolio.
Vedremo dopo il 7 novembre.
Finito lo sforzo elettorale, e soprattutto se i democratici vinceranno, le stesse mani forti che hanno fin qui sostenuto la baracca, secondo me, non solo tireranno i remi in barca, ma avranno anche interesse a far esattamente il gioco contrario. Petrolio al rialzo, borsa al ribasso e rendimenti al rialzo.Un primo segnale in questo senso si sta avendo sul dollaro (il cui tasso di cambio, all'americano medio non importa): con la scusa dei dati deboli (ma fino a poco tempo fa questi erano stati ignorati) qualcuno lo ha venduto, in un contesto di dichiarazioni provenienti da più parti (inclusi gli asiatici) per cui non è da escludere che possa partire un altra fase di svalutazione, magari contenuta.
A parte il petrolio che ho già comprato, conto di inserire in asset delle posizioni coerenti con queste previsioni; ma- per restare fedele all'impostazione prudenziale, ed avere al contempo delle stoploss contenute e un pò di respiro onde evitare di venire stoppato da svarioni temporanei - questa volta opererò con strutture in opzioni, scadenza novembre-dicembre.
MATERIE PRIME : comprato petrolio
Il petrolio dopo un doppio minimo da manuale nella giornata di lunedì ha iniziato a salire, e martedì l'ho comprato sulla scadenza dicembre a 59,3. Timing del momento ottimale ed infatti già mercoledì arrivava fino a 61,7 in scia a un decremento delle scorte; poi giovedì ritracciamento classico appena sotto 60 e venerdì conclusione a 60,75 che lo lascia tecnicamente bene impostato. Fondamentalmente, a parte i miei ragionamenti sopra esposti, l'avvicinarsi dell'inverno ed il recente taglio OPEC, fanno ritenere possibile come minimo un allungo in area 65.
Stoploss ideale adesso sotto il recente doppio minimo , a 58.
Fermo il gas naturale a 8,2 (scad. marzo 07).
Il settore dei metalli ha concluso sostanzialmente stabile:
l'oro a 601(dicembre) il rame a 340 (dicembre) l'argento a 12,08(dicembre); il platino a 1080(gennaio) il palladio a 323(dicembre).
L'indice generale CRB(dicembre) a 313(+2%)
Posizione di lungo termine: al rialzo
Posizione di medio termine: al rialzo
Posizione asset: comprato petrolio
CAMBI: dollaro venduto
Il dollaro è sopravvalutato di almeno il 30%. Come scrivevo nelle precedenti note, è già sbagliato tenerlo a questi livelli come fanno gli asiatici, ma una sua rivalutazione sarebbe un atto masochistico senza precedenti .Ecco perchè dunque la resistenza tecnica di 87 ha tenuto ed ora conclude a 85,3. Lo scenario più probabile rimane che lo tengano in range, anche se questa settimana vi è stato qualche segnale nel senso di una sua possibile svalutazione, magari limitata,come sopra accennato.
L'eurodollaro scad. dicembre dopo aver cominciato appena sotto 1,26, è rimbalzato con convinzione sfruttando i dati deboli USA e quelli forti europei (tra cui M3 al record dell'8,5% che rende praticamente certo un ulteriore rialzino della BCE a dicembre) concludendo sui massimi a 1,277. Tra i segnali che citavo, vi è stata una dichiarazione giapponese secondo la quale lo yen non ha senso che continui ad indebolirsi. Così dopo una settimana debole, soprattutto contro euro , che lo aveva riportato sopra 150 a causa di un inflazione inferiore al previsto, la moneta nipponica è stata al centro di un rally notevole venerdì: a 149 con euro e a 117 con dollaro.
L'indice generale del dollaro a 85,3(dicembre) -1%
Posizione di lungo termine: dollaro al ribasso
Posizione di medio termine: dollaro laterale
Posizione asset: nulla
OBBLIGAZIONI: rendimenti in discesa
Il combinato disposto dei dati macro deboli e della fed morbida, ha provocato un sensibile calo dei rendimenti: torna a prevalere l'attesa di un ribasso dei tassi nel 2007.
Negli USA come saldo settimanale il future sul tasso a tre mesi scad.dicembre 2007scende di ben 16 cts. al 4,83% , il 2 anni scende di 12 cts. al 4,75% il quinquennale di 13 al 4,63 il decennale di 12 cts. al 4,67 il trentennale di 11 cts. al 4,8.
In Europa il Bund decennale scende di 4 cts. al 3,8% ed in Giappone il decennale scende di 6 cts. al 1,73%; il tasso sul debito dei paesi emergenti scende anch'esso di 10 cts mediamente.
Posizione di lungo termine: al rialzo dei rendimenti
Posizione di medio termine: laterale
Posizione asset: nulla
BORSE: ancora sù
Wally termina con una flessione post PIL che non riesce però ad annullare i guadagni precedentemente accumulati nella settimana, attizzati dal comunicato Fed, mentre gli annunci societari continuano a risultare positivi.
Per la settimana concludono: il Dow a 12090(+0,7%) lo sp500 a 1377(+0,7%) il nasdaq a 23502(+0,3%), il nasdaq100 a 1731(+0,5%), il Russell2000 (+0,5%); tra i settori, trasporti(+0,9%) i semiconduttori(+1%) le biotech (+2,7%) i broker/dealer(+2%) le banche(+0,3%).
Tokyo sale a 16669(+0,1%) di nikkey, in Europa dax tedesco a 6262(+1%) il footsie inglese a 6160(+0,1%), il cac francese a 5396(+0,5%) e l'Italietta senza la benchè minima speranza, in cui già è stato intonato il canto funebre per lo sgangherato governo Prodi: l'SPmib a 39333(-0,4%) ed il Mibtel a 30217(-0,1%).
Tra le borse mondiali Brasile +1,8% India +0,4% Cina +1% quella Russa ferma.
Posizione di lungo termine: al ribasso
Posizione di medio termine: laterale
Posizione asset: nulla
PREVISIONI: aspettando le elezioni
Settimana piena. Lunedì si inizia con i dati sulla produzione giapponese, mentre dagli USA escono per settembre redditi e spese delle famiglie, e il relativo deflatore dei prezzi, ed inoltre parleranno Lacker(quello dissenziente) e Moskow della Fed. Martedì vi saranno molti dati giapponesi ed europei, mentre dagli USA arrivano : il costo del lavoro, l'indice di fiducia dei consumatori e quello di Chicago per ottobre. Mercoledì USA uber alles: mutui ipotecari, vendite di auto, scorte petrolifere, spesa in costruzioni e ISM manifatturiero di ottobre; inoltre discorsetto di Bernanke.
Giovedì dopo gli indici manifatturieri europei e la disoccupazione tedesca, sarà la volta della BCE: non dovrebbe toccare i tassi ma confermare che lo farà a dicembre; dagli USA produttività,ordini alle fabbriche ed un membro della Fed.
Infine Venerdì vendite al dettaglio ed indici dei servizi dall'Europa prima del gran finale americano: alle 14,30 i dati sul mercato del lavoro, alle 16 l'ISM dei servizi ed in serata interventi di altri due esponenti Fed.
Negli USA il pacchetto di dati settimanale dovrebbe creare volatilità nei due sensi, essendo probabile che i dati si alterneranno, forti e deboli.
ASSET: riepilogo (cifre per asset da centomila)
Comprato un mini crudo scad. dicembre a 59,3 chiude a 60,75(+725$).
Il saldo delle operazioni chiuse da inzio anno, dopo aver pagato le commissioni, è a +3450 euro (con 19 operazioni effettuate su eurodollaro+ 5 sul nasdaq+2 su gas naturale+1 su eurosvizzero+2 su oro+1 su argento+4 su bond+1 su euroyen+2 su petrolio+1 su s&p500+1 su dowjones); il rendimento complessivo, tenuto conto delle minus/plus in portafoglio, e del rateo di interessi maturato, è pari al +5,5% ed equivalente al +6,6% su base annua se si mantiene questo ritmo; come liquidità impegnata, i margini sui futures assorbono 1,5% ed il 98,5% è in conto corrente al 2,37% netto (3,25% tasso iwbank).
10/29/2006
10/26/2006
Speciale India
Speciale India
Oltre alla Cina, vi è un altro gigante asiatico tornato di recente alla ribalta con le sue elezioni politiche: l'India, che conta un miliardo di abitanti.
L'India è una terra di grandi contrasti, un forte capitale umano capace tecnologicamente coesiste con infrastrutture arretrate ed una povertà disumana. Di recente però sono stati realizzati alcuni miglioramenti e dopo decenni di false partenze, ora sembra che un nuovo approccio allo sviluppo economico stia finalmente attecchendo. Se questo si confermerà, vi saranno emormi implicazioni per l'economia asiatica e quella mondiale.
La prima tentazione è quella di comparare l'India alla Cina, per cercare di capire quale di questi due giganti ha l'approccio migliore allo sviluppo. In realtà non c'è alcun motivo di porre in competizione le due economie: non si tratta di Cina o India, bensì di tutte e due. Ognuna di esse ha un contesto nettamente diverso, culturale e sociale, ma tali contesti appaiono più complementari che alternativi nella misura in cui li si inquadrano nel grande mosaico della globalizzazione. Certo, la Cina viene prima, ed è sulla bocca di tutti, ma la sua emersione è servita anche all'India.Dal momento che il mondo ha finalmente preso coscienza del miracolo cinese, si è aperta la porta anche alla comprensione del possibile miracolo indiano. Semplificando possiamo sintetizzare dicendo che l'India sta ai servizi come la Cina sta alla produzione manifatturiera. Il progresso manifatturiero è tipicamente l'unità di misura usata per calcolare il grado di sviluppo delle nazioni emergenti. E se si guarda all'India da questo punto di vista, non c'è confronto. La Cina ha dedicato la sua enorme riserva di risparmio interno (circa il 40% del PIL) a edificare alcune tra le migliori infrastrutture che si possano oggi vedere al mondo. Ed è stata abile nell'attrarre massicci afflussi di investimenti diretti esteri come modo per acquisire tecnologia, esperienza manageriale e fabbriche in grande quantità: circa 53 miliardi di dollari all'anno dal 2000. L'India soffre nel confronto perchè non ha avuto nulla di tutto ciò, pur avendo un risparmio nazioanle del 24% del PIL, poco più della metà di quello cinese.Ne è risultata una capacità nettamente inferiore di sviluppo delle infrastrutture.Come si legge nell' India Infrastructure Report 2004 “…perfino relativamente al nostro reddito, le nostre carenze di acqua ,strade, sanità, istruzione ed elettricità, sono ipressionanti.”
Del resto gli afflussi di capitale estero nel 2003 sono stati meno di un decimo di quelli pervenuti in Cina. Ma in realtà non è solo in questo modo che l'India va vista. La sua forza è altrove, e precisamente in un capitale umano elevato.Questa forza si vede nella creazione di aziende di servizi informatici a livello mondiale, come Infosys e Wipro, nonchè conglomerate di servizi sussidiari come Reliance e Tata.Queste aziende sono state capaci di supplire alle grandi carenze in infrastrutture e in capitali esteri. Autosufficienti in energia elettrica, sono state capaci di generare capacità di back-up, per la quale la sola infrastruttura necessaria è quella delle telecomunicazioni.Ed in questo caso, il governo Indiano ha agito saggiamente, focalizzandosi sulla deregolamentazione delle telecom e nella facilitazione della connettività sia nei mercati interni che verso le destinazioni estere. I risultati parlano da soli: per fine 2003, la crescita nei servizi è stata del 10% annuo, ben sopra il +6% della produzione industriale. Per la prima volta, i servizi hanno superato quota 50% del PIL, (erano al 40% nel 1991) e si avvicna al 65% medio delle nazioni sviluppate.Le esportazioni di servizi informatici hanno raggiunto i 4 miliardi di dollari, raddoppiandosi rispetto al 2001. Gli USA sono importatori dei due terzi dei servizi indiani.
L' Industria del software indiano impiega attualmente circa 785 mila persone, con un aumento del 60% rispetto ai 500 mila di due anni fa, e si prevede un aumento del 50% annuo per fine 2005. Non ci sono preoccupazioni circa i limiti alle assunzioni: nel solo 2002 si sono laureati 290 mila ingegneri, e le università indiane sono di ottimo livello. Questo trend è emblematico del potente cambiamento in atto, e fa pensare a nuove durature sfide competitive alle legioni di esperti informatici americani il cui costo è enormemente superiore. Si chiama globalizzazione, ed è così che funziona.
Ma è importante sottolineare che, contrariamente a quanto si crede, il successo indiano nei servizi non dipende solo dal minor costo del lavoro qualificato lì disponibile; certo, il risparmio è enorme perchè si parla di salari pari al 15-20% di quelli occidentali. ma la forza del modello indiano non riguarda solo i serivzi commodity come i call-center e la gestione dati, bensì anche un ampio spettro di di attività che includono funzionalità di ordini ed acquisti, contabilità, assicurazioni, cioè un ampia gamma fi funzioni di controllo aziendali. Di recente gli indiani hanno conquistato settori come quello medico, quello attuariale, quello legale. Questo perchè c'è una naturale inclinazione verso applicazioni informatiche , dal software di programmazione, alle piattaforme multimediali, ai sistemi di supporto ed ai network gestionali.
La lista è lunga, ma per le aziende indiane la punta di diamante viene dallo sviluppo di soluzioini sistemiche integrate per i clienti. Si tratta di un vero e proprio "cavallo di troia" guidato inizialmente dal minor costo del lavoro che rende l'outsourcing estremamente attraente per migliorare l'efficienza aziendale nelle aziende occidentali; ma poi gli indiani si mostrano capaci di trasferire questa opportunità al livello successivo, fornendo sinergie realizzate con soluzioni collaborative che coinvolgomo funzioni prima segmentate. E attaccano questi sistemi integrati a network globali capaci di trasferire le funzioni gestionali e di controllo in tutto il mondo durante le 24 ore. Il che rivoluziona il vecchio concetto secondo il quale le aziende di servizi globali devono essere localizzate vicine ai loro clienti principali. Il modello indiano consente invece nuove potenti strategie, al di là dei risparmi sul costo del lavoro.
La nazione è orgogliosa di ciò che ha ottenuto negli ultimi 12 anni nel settore informatico, ma ancora ritiene che la manifattura sia la chiave alla prosperità. E' un attaccamento al vecchio concetto, ed influenza tuttora la classe politca che ritiene l'indistria manifatturiera la fonte primaria di occupazione. Invece gli sviluppi tecnologici recenti hanno ribaltato la situazione. Oggi l'industria manifatturiera assorbe sempre meno personale. Ed invece, i servizi sono a pià alta intensità di lavoro, specialmente nelle attività basate sulla conoscenza, tipiche dell'era informatica. Per una grande nazione come l'India, un modello di sviluppo guidato dai servizi sembra ideale sia per la sua più grande forza di capitale umano, sia per i suoi grandi bisogni di occupazione e di lotta alla povertà. Il fatto poi che oggi i servizi informatici siano commerciabili in tutto il mondo, è proprio ottimale. L'eleganza delle produzioni manufatturiere indiane è nota, ma non riescono a sfondare. L'approccio basato sui nuovi servizi è quindi un alternativa ottima, ma ancora oggi si scontra con con la mentalità del passato. Comunque sta emergendo un nuovo orientamento ed una nuova determinazione, dopo decenni di false partenze ed errori governativi; questo gigante asiatico ha adesso, finalmente, assorbito i costi fissi della democrazia. Riforme cominciate ad inizio anni 90 stanno iniziando ad avere effetti . A differenza della Cina, l'India ha un sistema bancario ben sviluppato, mercati di capitali, ed una nuova generazione di aziende nazioanli che operano a livello internazionale.La Cina ha un modello di sviluppo che dipende dall'estero con la speranza che i benefici si diffondano nel mercato interno. L'India ha un modelo di sviluppo creato in casa che sta ora guadagnando un audience globale. Entrambi gli approcci hanno le loro virtù e le loro debolezze. Eppure possono entrambi avere successo, perchè derivanti da contesti diversi.
Oltre alla Cina, vi è un altro gigante asiatico tornato di recente alla ribalta con le sue elezioni politiche: l'India, che conta un miliardo di abitanti.
L'India è una terra di grandi contrasti, un forte capitale umano capace tecnologicamente coesiste con infrastrutture arretrate ed una povertà disumana. Di recente però sono stati realizzati alcuni miglioramenti e dopo decenni di false partenze, ora sembra che un nuovo approccio allo sviluppo economico stia finalmente attecchendo. Se questo si confermerà, vi saranno emormi implicazioni per l'economia asiatica e quella mondiale.
La prima tentazione è quella di comparare l'India alla Cina, per cercare di capire quale di questi due giganti ha l'approccio migliore allo sviluppo. In realtà non c'è alcun motivo di porre in competizione le due economie: non si tratta di Cina o India, bensì di tutte e due. Ognuna di esse ha un contesto nettamente diverso, culturale e sociale, ma tali contesti appaiono più complementari che alternativi nella misura in cui li si inquadrano nel grande mosaico della globalizzazione. Certo, la Cina viene prima, ed è sulla bocca di tutti, ma la sua emersione è servita anche all'India.Dal momento che il mondo ha finalmente preso coscienza del miracolo cinese, si è aperta la porta anche alla comprensione del possibile miracolo indiano. Semplificando possiamo sintetizzare dicendo che l'India sta ai servizi come la Cina sta alla produzione manifatturiera. Il progresso manifatturiero è tipicamente l'unità di misura usata per calcolare il grado di sviluppo delle nazioni emergenti. E se si guarda all'India da questo punto di vista, non c'è confronto. La Cina ha dedicato la sua enorme riserva di risparmio interno (circa il 40% del PIL) a edificare alcune tra le migliori infrastrutture che si possano oggi vedere al mondo. Ed è stata abile nell'attrarre massicci afflussi di investimenti diretti esteri come modo per acquisire tecnologia, esperienza manageriale e fabbriche in grande quantità: circa 53 miliardi di dollari all'anno dal 2000. L'India soffre nel confronto perchè non ha avuto nulla di tutto ciò, pur avendo un risparmio nazioanle del 24% del PIL, poco più della metà di quello cinese.Ne è risultata una capacità nettamente inferiore di sviluppo delle infrastrutture.Come si legge nell' India Infrastructure Report 2004 “…perfino relativamente al nostro reddito, le nostre carenze di acqua ,strade, sanità, istruzione ed elettricità, sono ipressionanti.”
Del resto gli afflussi di capitale estero nel 2003 sono stati meno di un decimo di quelli pervenuti in Cina. Ma in realtà non è solo in questo modo che l'India va vista. La sua forza è altrove, e precisamente in un capitale umano elevato.Questa forza si vede nella creazione di aziende di servizi informatici a livello mondiale, come Infosys e Wipro, nonchè conglomerate di servizi sussidiari come Reliance e Tata.Queste aziende sono state capaci di supplire alle grandi carenze in infrastrutture e in capitali esteri. Autosufficienti in energia elettrica, sono state capaci di generare capacità di back-up, per la quale la sola infrastruttura necessaria è quella delle telecomunicazioni.Ed in questo caso, il governo Indiano ha agito saggiamente, focalizzandosi sulla deregolamentazione delle telecom e nella facilitazione della connettività sia nei mercati interni che verso le destinazioni estere. I risultati parlano da soli: per fine 2003, la crescita nei servizi è stata del 10% annuo, ben sopra il +6% della produzione industriale. Per la prima volta, i servizi hanno superato quota 50% del PIL, (erano al 40% nel 1991) e si avvicna al 65% medio delle nazioni sviluppate.Le esportazioni di servizi informatici hanno raggiunto i 4 miliardi di dollari, raddoppiandosi rispetto al 2001. Gli USA sono importatori dei due terzi dei servizi indiani.
L' Industria del software indiano impiega attualmente circa 785 mila persone, con un aumento del 60% rispetto ai 500 mila di due anni fa, e si prevede un aumento del 50% annuo per fine 2005. Non ci sono preoccupazioni circa i limiti alle assunzioni: nel solo 2002 si sono laureati 290 mila ingegneri, e le università indiane sono di ottimo livello. Questo trend è emblematico del potente cambiamento in atto, e fa pensare a nuove durature sfide competitive alle legioni di esperti informatici americani il cui costo è enormemente superiore. Si chiama globalizzazione, ed è così che funziona.
Ma è importante sottolineare che, contrariamente a quanto si crede, il successo indiano nei servizi non dipende solo dal minor costo del lavoro qualificato lì disponibile; certo, il risparmio è enorme perchè si parla di salari pari al 15-20% di quelli occidentali. ma la forza del modello indiano non riguarda solo i serivzi commodity come i call-center e la gestione dati, bensì anche un ampio spettro di di attività che includono funzionalità di ordini ed acquisti, contabilità, assicurazioni, cioè un ampia gamma fi funzioni di controllo aziendali. Di recente gli indiani hanno conquistato settori come quello medico, quello attuariale, quello legale. Questo perchè c'è una naturale inclinazione verso applicazioni informatiche , dal software di programmazione, alle piattaforme multimediali, ai sistemi di supporto ed ai network gestionali.
La lista è lunga, ma per le aziende indiane la punta di diamante viene dallo sviluppo di soluzioini sistemiche integrate per i clienti. Si tratta di un vero e proprio "cavallo di troia" guidato inizialmente dal minor costo del lavoro che rende l'outsourcing estremamente attraente per migliorare l'efficienza aziendale nelle aziende occidentali; ma poi gli indiani si mostrano capaci di trasferire questa opportunità al livello successivo, fornendo sinergie realizzate con soluzioni collaborative che coinvolgomo funzioni prima segmentate. E attaccano questi sistemi integrati a network globali capaci di trasferire le funzioni gestionali e di controllo in tutto il mondo durante le 24 ore. Il che rivoluziona il vecchio concetto secondo il quale le aziende di servizi globali devono essere localizzate vicine ai loro clienti principali. Il modello indiano consente invece nuove potenti strategie, al di là dei risparmi sul costo del lavoro.
La nazione è orgogliosa di ciò che ha ottenuto negli ultimi 12 anni nel settore informatico, ma ancora ritiene che la manifattura sia la chiave alla prosperità. E' un attaccamento al vecchio concetto, ed influenza tuttora la classe politca che ritiene l'indistria manifatturiera la fonte primaria di occupazione. Invece gli sviluppi tecnologici recenti hanno ribaltato la situazione. Oggi l'industria manifatturiera assorbe sempre meno personale. Ed invece, i servizi sono a pià alta intensità di lavoro, specialmente nelle attività basate sulla conoscenza, tipiche dell'era informatica. Per una grande nazione come l'India, un modello di sviluppo guidato dai servizi sembra ideale sia per la sua più grande forza di capitale umano, sia per i suoi grandi bisogni di occupazione e di lotta alla povertà. Il fatto poi che oggi i servizi informatici siano commerciabili in tutto il mondo, è proprio ottimale. L'eleganza delle produzioni manufatturiere indiane è nota, ma non riescono a sfondare. L'approccio basato sui nuovi servizi è quindi un alternativa ottima, ma ancora oggi si scontra con con la mentalità del passato. Comunque sta emergendo un nuovo orientamento ed una nuova determinazione, dopo decenni di false partenze ed errori governativi; questo gigante asiatico ha adesso, finalmente, assorbito i costi fissi della democrazia. Riforme cominciate ad inizio anni 90 stanno iniziando ad avere effetti . A differenza della Cina, l'India ha un sistema bancario ben sviluppato, mercati di capitali, ed una nuova generazione di aziende nazioanli che operano a livello internazionale.La Cina ha un modello di sviluppo che dipende dall'estero con la speranza che i benefici si diffondano nel mercato interno. L'India ha un modelo di sviluppo creato in casa che sta ora guadagnando un audience globale. Entrambi gli approcci hanno le loro virtù e le loro debolezze. Eppure possono entrambi avere successo, perchè derivanti da contesti diversi.
Speciale trading sui dati
Speciale trading sui dati(intraday)
In linea generale, i dati-eventi che muovono maggiormente i mercati sono quelli che concernono gli USA, anche perchè avvengono negli orari di mercato più affollato (primo pomeriggio europeo); conviene dunque concentrarsi su di essi, sfruttando la mattinata per prepararsi adeguatamente.
Inoltre i dati macro USA quasi sempre impattano almeno tre mercati: dollaro-bond-borsa e quindi offrono un ampio menù di scelta, qualora altri fattori siano coevi e di disturbo su qualche mercato.
1)Situazione pre-dato/evento
a)Valutare se un determinato mercato(dollaro,bond,borsa) in condizioni di ipercomprato/ipervenduto possa muoversi nell'attesa; se le condizioni tecniche (divergenza,etc.) incoraggiano, si può operare prestabilendo un adeguato loss-profit. La difficoltà sta nei tempi dell'anticipo, perchè più lunghi sono più sono le probabilità che intervengano altri fattori a modificare la situazione.
b) Osservare se avvengono movimenti di anticipo del tipo "buy the rumor" per poi tenerne conto sul dato. Spesso capita infatti che il dato-evento sia in linea con le attese, senza sorprese; mentre di norma in questo caso non si può operare, invece se è avvenuto un movimento di anticipo si può operare sul "sell the fact".
2)Situazione sul dato/evento
a) valutare quali possono essere le varie sorprese e quale mercato , tenuto conto di come si sono mossi nel pre-dato/evento e di quale è la situazione tecnica, ha più probabilità di reagire in un senso o nell'altro a seconda del tipo di sorpresa.
b) se si ha una convinzione forte su come verrà il dato, si può entrare poco prima prefissando la loss-profit; situazione rara, da usare soprattutto se si ritiene che sia difficile entrare bene dopo e se si è realmente pronti a scommettere.
c) valutare il dato al volo, ed entrare in coerenza in base al piano prestabilito e sul mercato prestabilito in base al tipo di dato.
Maggior numero di casi.
3) Situazione post dato/evento
a) valutare se vi è stata una esagerazione, o un illogicità dovuta al "sell the fact", ed entrare in corenza con segnali tecnici di esaustività.
b) valutare il coevo pre-dato, quando come succede spesso vi è una serie successiva di dati-eventi.
4) Situazione tecnica pura
a) quando in assenza di dati-eventi prevedibili, si sviluppa una chiara divergenza o un chiaro assetto rialzista-ribassista.
L'esperienza insegna:
a) per temperamento e per l'effetto dopamina sono da prediligere le situazioni "veloci"(sul dato/evento).
b) per l'effetto dopamina la maggiore difficoltà sta nel tenere la posizione in profitto, cioè nel saperla sfruttare il meglio possibile.
c) cercare di rispettare, quali che siano le quantità usate, il rapporto tra loss-profit, almeno pari, possibilmente di 1,5-2.
d) d'altrocanto non ci si può fissare su obiettivi prestabiliti, se le condizioni esterne o quelle tecniche non convincono: pertanto se si è fissata ad esempio una stop di 40 e una profit di 80, si deve poter chiudere prima; ma al contempo non si deve esagerare, altrimenti si resta sempre al palo.
In linea generale, i dati-eventi che muovono maggiormente i mercati sono quelli che concernono gli USA, anche perchè avvengono negli orari di mercato più affollato (primo pomeriggio europeo); conviene dunque concentrarsi su di essi, sfruttando la mattinata per prepararsi adeguatamente.
Inoltre i dati macro USA quasi sempre impattano almeno tre mercati: dollaro-bond-borsa e quindi offrono un ampio menù di scelta, qualora altri fattori siano coevi e di disturbo su qualche mercato.
1)Situazione pre-dato/evento
a)Valutare se un determinato mercato(dollaro,bond,borsa) in condizioni di ipercomprato/ipervenduto possa muoversi nell'attesa; se le condizioni tecniche (divergenza,etc.) incoraggiano, si può operare prestabilendo un adeguato loss-profit. La difficoltà sta nei tempi dell'anticipo, perchè più lunghi sono più sono le probabilità che intervengano altri fattori a modificare la situazione.
b) Osservare se avvengono movimenti di anticipo del tipo "buy the rumor" per poi tenerne conto sul dato. Spesso capita infatti che il dato-evento sia in linea con le attese, senza sorprese; mentre di norma in questo caso non si può operare, invece se è avvenuto un movimento di anticipo si può operare sul "sell the fact".
2)Situazione sul dato/evento
a) valutare quali possono essere le varie sorprese e quale mercato , tenuto conto di come si sono mossi nel pre-dato/evento e di quale è la situazione tecnica, ha più probabilità di reagire in un senso o nell'altro a seconda del tipo di sorpresa.
b) se si ha una convinzione forte su come verrà il dato, si può entrare poco prima prefissando la loss-profit; situazione rara, da usare soprattutto se si ritiene che sia difficile entrare bene dopo e se si è realmente pronti a scommettere.
c) valutare il dato al volo, ed entrare in coerenza in base al piano prestabilito e sul mercato prestabilito in base al tipo di dato.
Maggior numero di casi.
3) Situazione post dato/evento
a) valutare se vi è stata una esagerazione, o un illogicità dovuta al "sell the fact", ed entrare in corenza con segnali tecnici di esaustività.
b) valutare il coevo pre-dato, quando come succede spesso vi è una serie successiva di dati-eventi.
4) Situazione tecnica pura
a) quando in assenza di dati-eventi prevedibili, si sviluppa una chiara divergenza o un chiaro assetto rialzista-ribassista.
L'esperienza insegna:
a) per temperamento e per l'effetto dopamina sono da prediligere le situazioni "veloci"(sul dato/evento).
b) per l'effetto dopamina la maggiore difficoltà sta nel tenere la posizione in profitto, cioè nel saperla sfruttare il meglio possibile.
c) cercare di rispettare, quali che siano le quantità usate, il rapporto tra loss-profit, almeno pari, possibilmente di 1,5-2.
d) d'altrocanto non ci si può fissare su obiettivi prestabiliti, se le condizioni esterne o quelle tecniche non convincono: pertanto se si è fissata ad esempio una stop di 40 e una profit di 80, si deve poter chiudere prima; ma al contempo non si deve esagerare, altrimenti si resta sempre al palo.
10/21/2006
Speciale Guerre ed Imperi
Speciale Guerre ed Imperi
Prendiamoci un break dai temi prettamente finanziari valutando un antica guerra, quella fra Atene e Sparta, usando Tucidide (il primo grande storico) come guida. Se ne ricavano indicazioni su come esista una stretta correlazione tra guerre sbagliate e fine degli imperi, interessanti per il futuro...
Nel 416 a.C. la democratica Atene e l'oligarchica Sparta stavano combattendo da 15 anni. La guerra era iniziata nel 431 a.C. quando gli spartani scesero in campo nel tentativo di bloccare l'espansione imperialistica di Atene. Ma 15 anni erano tanti, un periodo di sofferenza che non cessava. Certamente costò la vita di migliaia di uomini periti in battaglie marine e terrestri, e anche a causa della peste mortale che colpì Atene nel 429. Battaglia dopo battaglia, gli eserciti contavano i propri morti e li omaggiavano nelle tradizionali pire funebri; le ossa dei deceduti facevano ritorno a casa per essere interrati nelle cripte ed
onorati. Ma la fine non si vedeva. Il conflitto era diffuso in tutto il territorio che oggi si chiama Grecia; la vita era austera perfino per le famiglie più ricche, le norme sociali si stavano incrinando,nulla era sicuro e la gente si chiedeva cosa avesse fatto per meritare quell'inferno.
Pochi ricordavano gli avvertimenti di Archidamus leader di Sparta che aveva sconsigliato la spedizione iniziale contro la potente Atene, dicendo di temere che questa guerra sarebbe finita in eredità ai figli. Anticipando un aspetto della teoria sulle guerre di successo, che 22 secoli dopo Carl von Clausevitz avrebbe descritto nel suo grande trattato, Archidamus prevedeva che non ci sarebbe stata nessuna veloce vittoria decisiva. Ciò nonostante gli spartani attaccarono.
Sul fronte ateniese anche Pericle voleva evitare una guerra con Sparta. Ma qualora fosse stata inevitabile, Pericle consigliava prudenza ed una strategia difensiva. Spiegava che se gli ateniesi fossero rimasti calmi, prendendosi cura della propria flotta, astenendosi dal tentativo di estendere il loro impero in epoca di guerra e quindi evitando di mettere in pericolo le proprie città, avrebbero prevalso. Ma questa strategia contava sul fallimento del nemico spartano e non sulla capacità degli ateniesi di vincere. Probabilmente Pericle non conosceva quanto dall'altra parte del mondo teorizzava un altro grande studioso di arte militare, il cinese Sun Tzu; quest'ultimo nel capitolo 4 della sua Arte della Guerra scriveva che l'invincibilità sta nella difesa; la possibilità di vittoria nell'attacco. Pericle quindi commetteva l'errore strategico di pensare solo alla prima metà dell'equazione.
Così 15 anni dopo, la guerra aveva raggiunto costi altissimi e non aveva raggiunto nessun risultato; nè si profilava un punto che potesse segnare il termine reale dei combattimenti e delle ostilità. Tutto il sangue e le risorse che erano state versate nei combattimenti non erano serviti a un cambiamento fondamentale nelle rapporti di forza tra Atene e Sparta. La guerra continuava.
Come avrebbe detto von Clausevitz i centri di gravità di ogni stato restavano intatti. Sparta possedeva ancora la sua potente armata, ed Atene la sua flotta dominante. Non vi era stata nessuna battaglia decisiva, e nessuna delle due parti poteva dirsi in vantaggio rispetto all'altra. Qualcosa doveva cambiare. Gli Ateniesi erano, magari inconsciamente, pronti a cambiare strategia. E vi fu un uomo, Alcibiade, un giovane dinamico ufficiale, che venne fuori con un piano per espandere la guerra in maniera da favorire Atene e danneggiare Sparta. Alcibiade propose di invadere la Sicilia e assistere un gruppo di piccole città-stato aiutandole ad attaccare le colonie spartane, in primis Siracusa. Sebbene la Sicilia fosse mille miglia lontana da Atene, l'idea era che conquistare Siracusa avrebbe inferto un colpo decisivo al potere di Sparta.Il piano operativo di Alcibiade era quello di mandare un contingente di 60 navi, le triremi, e un modesto numero di soldati in Sicilia. Una volta arrivati avrebbro dovuto allearsi con gruppi di città siciliane amiche di Atene, con le quali conquistare Siracusa e prendere il controllo su una fonte principale di cibo e risorse che da lì venivano esportate a Sparta.
Avendo la Sicilia sotto il suo controllo, per Atene sarebbe stato possibile usare il suo potere navale per bloccare i rifornimenti a Sparta e così obbligarla alla sottomissione.
Un piano con pochi rischi diretti per Atene, ma potenzialmente con elevato ritorno strategico.
Uno dei leader greci, Nicia, si oppose al piano di Alcibiade ritenendolo un diversivo costoso; ma piuttosto che opporsi al piano direttamente , preferì supportarlo nonostante lo criticasse . Nel dibattito tumultuoso che ne seguì, gli Ateniesi alla fine votarono per mandare 100 triremi, quasi il doppio rispetto a quanto proposto da Alcibiade, per cui il rischio iniziò a diventare realmente elvato. Inoltre nominarono sia Nicia che Alcibiade, oltre al generale Lamaco, come capi della spedizione.
Oggi diremmo che si trattò di un fallimento intellettuale, perchè gli ateniesi sembrarono non comprendere che Siracusa era una potente città che era stata fondata come colonia da un alleato di Sparta, Corinto, già di per sè un probabile nemico di Atene. Non compresero la portata dello
sforzo che sarebbe stato necessario.
La notte prima della partenza, qualcuno (probabilmente sabotatori nemici) mutilò numerose statue di divinità in tutta Atene. Alcibiade fu accusato di profanare queste immagini divine, all'epoca un crimine contro la religione molto grave. Egli voleva replicare alle accuse, sottoponendosi al processo, ma un significativo numero di alleati atenesi e di ausiliari combattenti si erano accordati per unirsi alla spedizione in Sicilia solo a condizione che vi fosse Alcibiade. Atene non poteva perdere quest'uomo chiave, architetto della strategia, così il suo processo fu posposto.
Nell'inverno del 415 a.C. gli ateniesi sbarcarono in Sicilia su 134 triremi con oltre 5000 uomini dell'esercito terrestre, ed una forza totale di oltre 30 mila uomini. Dal punto di vista logistico si trattava di uno sforzo enorme. Inizialmente, in Sicilia, Nicia ed Alcibiade usarono la diplomazia e piccoli combattimenti per vincere alcune piccole città, al fine di poter costruire un campo base. Poi improvvisamente Alcibiade fu richiamato ad Atene per il processo, il che privò la spedizione del suo vero leader. Ad Atene si sottovalutorono le implicazioni di questo fatto. Alcibiade capì che vi era un intrigo politico dietro il suo richiamo in patria, così scappò mentre era sulla rotta per Atene, e per vendicarsi andò dagli spartani, cui raccontò nei dettagli il piano che lui stesso aveva elaborato.
Nel capitolo 13 del suo libro Sun Tzu scrive dell'uso delle spie nelle guerre, essenziale per comprendere cosa succede nel campo nemico. Lo spionaggio, oggi diremmo l'intelligence, era già per Sun Tzu un elemento basilare della guerra, da cui dipende ogni mossa dell'esercito.
Ma Alcbiade era più che una semplice spia. Egli fornì agli spartani istruzioni complete sulle debolezze ateniesi e aiutò Sparta ad elaborare una strategia per sconfiggere Atene. Tra le altre cose, li spinse a fortificare una regione strategica confinante con Atene, oltre che a rinforzare il più possibile Siracusa. Fece loro, in sostanza, una road map per ottenere il cuore del potere ateniese. Gli Ateniesi condannarono l'assente Alcibiade a morte, e confiscarono le sue proprietà, ma il danno era fatto.
Tra l'altro gli ateniesi continuarono ad eseguire il piano originario in Sicilia, una vera e propria follìa , sapendo che adesso gli spartani sapevano quali ne erano le finalità. Inizialmente Nicia vinse alcune piccole battaglie ma fallì nell'avvantaggiarsene. Inoltre le piccole città siciliane che inizialmente avevano promesso il loro aiuto, quando videro l'enorme dimensione delle forze inviate da Atene, ne ebbero paura e rifiutarono il loro appoggio. Iniziarono a chiedersi quali fossero i veri motivi di Atene, e accusarono gli ateniesi di volerli conquistare imperialisticamente; gli ateniesi risposero che non volevano schiavizzare nessuno, ma il massimo che ottennero fu la neutralità; in realtà poi le città siciliane appoggiarono Siracusa.
Pertanto, le cose girarono contro Atene, ma ciò nonostante gli ateniesi erano fiduciosi che il loro esercito fosse abbastanza potente da conquistare Siracusa anche senza l'appoggio dei locali, e così cominciarono la loro impresa. Lamaco e Nicia presero posizione vicino al porto di Siracusa e iniziarono ad attaccare le mura della città. Lamaco però fu ucciso durante i combattimenti.
Dopo una buona avanzata verso Siracusa, Nicia credette che la popolazione assediata fosse sul punto di arrendersi. Così ritardò i lavori per l'assedio e negoziò con le fazioni interne della città, mancando di focalizzarsi sul principio militare dello sfruttamento del vantaggio acquisito, e così il ritardo lavorò a suo sfavore. Nel frattempo infatti un generale spartano, Gilippo, sulle base delle informazioni di Alcibiade, arrivò in Sicilia per aiutare Siracusa. Dopo aver appreso che Siracusa non era ancora interamente isolata ,vi portò le sue truppe e quelle di alcuni alleati siciliani riuscendo a vincere alcune battaglie. Il suo arrivo immediatamente alzò il morale dei siracusani, e da questo momento le cose inizarono ad andare male per gli ateniesi, che dopo aver perso Lamaco, videro Nicia cadere malato; quest'ultimo scrisse ad Atene per avere rinforzi, chiedendo di venire rimpiazzato.
La spedizione siciliana che era partita come quello che von Clausevitz avrebbe definito un colpo audace, si stava rapidamente trasformando non soltanto in un errore, ma in un colossale autogol.
Non si sa se gli ateniesi fuorno incapci di valutare la situazione, o se semplicemente non ne ebbero voglia , ma certamente non considerarono la prospettiva di ammettere la sconfitta del loro piano siciliano, e dunque non si impegnarono a salvare il salvabile. Piuttosto, inviarono una seconda spedizione guidata da due generali, Eurimede e Demostene, con altre 73 triremi e 5000 soldati: a questo punto avevano impegnato in questa distante spedizione, più della metà della loro flotta e circa un terzo dei loro soldati, rischiando molto, ma per cosa?
Non riuscendo a capovolgere le sorti della battaglia, fallirono anche nel ritirarsi, a causa di una superstizione loro tipica circa l'eclisse di luna che capitò la notte prima della partenza. Il superstizioso Nicia rifiutò di farlo se non fossero prima passati i 27 giorni richiesti dalla credenza, infischiandosene delle necessità militari.
Questo ritardo fu fatale. Nello stretto porto di Siracusa gli ateniesi si trovavano in svantaggio e i soldati siracusani- come i greci contro i persiani a Salamina - stavano combattendo per la loro libertà contro invasori stranieri. Inoltre le forze siracusane ebbero un vantaggio tecnico, perchè le loro navi adottavano la procedura di rinforzare gli scafi, pertanto combattevano meglio a distanza ravvicinata contro i vascelli ateniesi. Per cui la più piccola flotta siracusana sconfisse quella ateniese uccidendo anche Eurimede, e riuscendo a intrappolare gli ateniesi. Demostene cercò di attaccare la barriera , contando sul maggior numero di navi che ancora aveva, ma il morale dei marinai ateniesi era per terra, e non vi riuscì. L'unica via di scampo restava la ritirata via terra, ma ancora una volta Nicia non ne comprese l'urgenza e diede un giorno di tempo alle sue truppe per imballare l'accampamento. Questo ritardo permise al generale spartano Gilippo di posizionare le troppe in punti strategici sulla via della ritirata ateniese. Così l'armata ateniese dopo 8 giorni di battaglia , pressata anche dalla cavalleria siracusana, fu costretta ad arrendersi. Demostene e Nicia fuorno giustiziati. La maggior parte dei sopravvissuti, morì durante la prigionìa. In uno dei più tristi racconti di tutta la letteratura militare, Tucidide definisce la spedizione siciliana il più grande avvenimento della storia greca, perchè comportò la totale distruzione della flotta e dell'armata ateniese, mettendo le basi per il declino della intera Atene.
Dato il risultato disastroso ci possiamo chiedere se la strategìa siciliana fosse una buona idea eseguita male, o semplicemente una sbagliata fin dall'inizio. Naturalmente è troppo facile giudicare solo in base al risultato finale. ma la prima regola per vincere una guerra è evitare l'autodistruzione. Così se pensiamo in termini di principi bellici, occorre distinguere tra l'dea originale di Alcibiade di mandare solo una forza leggera, e quella effettivamente eseguita di una spedizione molto pesante. Semplicità contro complessità, massa contro manovra, questo è il focus.
Il piano originario era di far leva sugli alleati siciliani, senza rischiare nè senza impressionare questi ultimi; invece fu fatto esattamente l'opposto, ottenendo il risultato di inimicarsi i siciliani.
Alla radice degli errori troviamo inoltre le convinzioni religiose che hanno il sopravvento. Cosa sarebbe successo se gli ateniesi non avessero incolpato Alcibiade e lo avessero mantenuto come capo? ecco il contrasto tra le questioni personali e le esigenze dell'impegno militare.
Si può ritenere che se Alcibiade non fosse andato dagli spartani, questi non avrebbero mai mandato l'esercito di Gilippo, risultato poi determinante. Infine, vi furono le esitazioni di Nicia, dovute sempre a credenze religiose.
Come diceva Sun Tzu, il guerriero abile può ottenre la propria invulnerabilità, ma non può mai ottenere la vulnerabilità del nemico.
La campagna siciliana, mette in luce gli errori tattici degli ateniesi che portarono alla loro vulnerabilità e alla fine alla loro totale distruzione.
Le notizie della distruzione della spedizione dsiciliana colsero di sorpresa Atene. All'inizio rifiutò semplicemente di credere che la propria potente forza fosse stata sconfitta in una terra lontana, da parte di popolazioni che gli ateniesi giudicavano primitivi, Nessuno lo aveva previsto, nè si era voluto diffondere le notizie parziali negative che arrivavano.
Il che solleva la questione sempiterna in epoca di guerra della corretta informazione: si tende sempre ad evitare di dire la verità se questa risulta sgradevole, per non turbare il morale della popolazione.
A titolo di esempio, durante la seconda guerra mondiale ci vollero molti mesi prima che i giapponesi fossero informati delle perdite che la loro marina stava subendo. E dopo Stalingrado, ai tedeschi non venne fatta sapere la realtà, e per molti mesi si veidero nuove persone che portavano il lutto: erano stati informati con grande ritardo, e a poco a poco, della perdita dei congiunti.
Con il disastro siciliano iniziò la fine dell'impero di Atene: con i forzieri svuotati, i suoi porti privi di navi, e migliaia di soldati mancanti, fu l'inizio della fine. Il disastro siciliano spinse a molte rivolte in tutto il territorio, e soprattuttò spronò gli spartani. Nel 413 a.C, Sparta invase le campagne ateniesi, per la prima volta dal 425 ma questa volta -seguendo i consigli di Alcibiade - essi costruirono fortezze man mano che conquistavano territori così controllarono le vie di accesso. Il morale degli ateniesi scemò sempre più, mentre migliaia di schiavi andarono a rinforzare Sparta, oltretutto danneggiando l'economia rurale ateniese.
Ciò nonostante gli ateniesi provarono a resistere, e come dice Tucidide "nel panico del momento furono capaci di essere il più priudenti possibile". Così la guerra continuò per altri 9 anni, ma alla fine Sparta ottenne la vittoria navale che si rivelò definitiva ad Egospotami: gli ateniesi persero 168 navi, cioè tutto quello che gli restava (solo 12 navi risucirono a scappare).
Ricapitolando.
Atene aveva un impero , e la sua continua espansione provocò il timore degli spartani che iniziarono la guerra: dopo lunghi combattimenti nelle proprie regioni, Atene tentò di trovare la soluzione invadendo la Sicilia e ciò si tramutò in un disastro, che forse poteva essere evitato come abbiamo visto, ma i fatti storici sono che la scomessa fu persa, e che dopo la disfatta siciliana, perse l'impero. Infatti dopo la spedizione siciliana gli ateniesi erano tornati al loro elemento strategico, il mare, su cui restarono vincenti per un pò, ma solo perchè stavano consumando le loro ultime riserve; non avrebbero più potuto permettersi errori: invece fecero quello finale di Egospotami. E finirono sotto il dominio degli spartani, cui si arresero nel 404 a. C. così come i suoi alleati. I termini del trattato privarono Atene delle sue mura, della sua flotta e di tutti i suoi possedimenti olttremare. La guerra finì, ma Atene fu rovinata.
Il mondo e il suo destino sarebbero appartenuti ad altri.
Il caso di Atene, mi sembra di attualità stringente a proposito delle guerre e dell'impero americano, e perciò l'ho richiamato.Voglio concludere con altre considerazioni che mi sono venute in mente, in seguito alla lettura della storia delle guerre.
Difficile trovare una guerra che non sia iniziata con il tradimento e la frode.Nè possiamo trovarne che non siano state piene di errori.
La storia militare mostra che generali e strateghi si sono spesso rivelati incompetenti quasi come i consulenti matrimoniali. Se non fosse per le disgrazie provocate, potremmo farci grasse risate sulle guerre.
Quasi ogni racconto, da quelli di Tucidide che ho riportato con l'esempio della guerra tra Atene e Sparta, a quelli di von Clausevitz, è farcito di occasioni mancate e cadute umilianti, combinate con pugnalate alle spalle e mancanza di visione. Le truppe non sembrano mai essere dove si suppone dovrebbero, cadono in trappole ovvie pur avendo gli occhi aperti. I generali restano oltre le loro linee di rifornimento ma spesso finiscono per trovarsi privi di munizioni o di cibo. Gli ordini sono confusi o persi o conosciuti dal nemico. Quando una vittoria viene ottenuta, risulta più il frutto della fortuna che della capacità.
La maggioranza delle guerre dell'umanità, ben lungi dall'essere storie di eroismo, sono farse assurde di cui perfino i cavalli dei cavalieri avrebbero potuto farsi quattro risate, prima di morire.
La Prima guerra mondiale ha avuto un pessimo copione. Se fosse stata un film, gli attori avrebbero avuto ben donde di rifutarsi di recitarla, e gli spettatori se ne sarebbero potuti andare disgustati. Ma metti gli attori in uniforme, e li trovi pronti a recitare qualsiasi ruolo, non importa quanto irrazionale. Richiesti di andare "over the top" e avanzare nella "no man's land" mentre i nemici sparano, i soldati agiscono come muli muti, che fanno tutto quello che gli viene detto. Fu una "guerra di leoni guidati da scimmie", scriveva la stampa popolare: i generali idioti, ma i nostri ragazzi magnifici. In realtà, se osservati freddamente, tutti somari.
Sul fronte est, l'armata russa era comandata in gran parte da ufficiali che parlavano tedesco.Spesso i loro ordini finivano nelle mani dei nemici, cioè dei tedeschi, che potevano leggerli senza neanche bisogno di traduttori.Se arrivavano alle proprie truppe russe, erano incomprensibili. L'armata russa nella WWI deve essere stata tra le più incompetenti mai viste all'opera. Ma almeno è stata migliore in molti aspetti dell'armata sovietica che Stalin impiegò contro i tedeschi 26 anni dopo. Stalin uccise la maggior parte degli ufficiali più decenti.Si potrebbe pensare che la classe ufficali poteva aver capito cosa stava succedendo e marciare sul Cremlino prima che Stalin agisse contro loro. Ma il top level non è mai capace di anticipare alcunchè. Quelli armati lasciarono che venissero colpiti. I loro rimpiazzi parlavano russo, ma non erano per niente preparati nell'arte militare, ed erano assassini oltre ogni limite. E' stato stimato che nei primi mesi della guerra metà di tutte le perdite sovietiche fuorono causate da loro stessi. I loro aerei erano così messi male che la maggioranza precipitava a causa dei difetti di costruzione, non per il fuoco nemico. Alle truppe fu ordinato di avanzare in massa contro il fuoco nemico, e se qualcuno si rifiutava di farlo i propri compagni gli sparavano.
C'è qualcosa circa il mestiere di soldato che sembra attrarre obbedienza cieca. Un soldato pensante potrebbe chiedersi cosa fa, e potrebbe impiegare un pò di tempo riflettendo sul perchè di ciò che fa. Per quale motivo dovrei fare una cosa così stupida, potrebbe infine chiedersi.
Ma se così facesse non servirebbe ai militari.
Il vero uomo militare- anche uno di grande genio- non si pone mai domande, neanche quelle critiche per la propria sopravvivenza.
Volta dopo volta, vediamo vasti movimenti di truppe ed armi che agiscono in totale ignoranza. La leggendaria "nebbia di guerra", si accumula nei cervelli di comandati e soldati.
Alessandro, forse il più grande generale di tutti i tempi, ha guidato le sue truppe nel deserto geodrosio, dove decine di migliaia sono morti per sete e fame. Forse gli scocciava informarsi sulla direzione esatta? sì. Apparentemente, volle vedere se ce la faceva.
I Romani, ritenuti i più grandi geni militari di tutti i tempi, furono colti completamente di sorpresa quando Annibale scese dalle Alpi. E i cartaginesi vagarono intorno all'italia per i successivi 10 anni prima che le truppe romane finalmente poterono sconfiggerle.
Napoleone attaccò la Russia, e lo stesso fece Hitler; entrambi inconsapevoli del tremendo clima russo! Nessuno di loro pensò di dotare appropriatamente le proprie truppe per resistere al freddo. E i generali tedeschi avevano in tasca le copie della storia della precedente guerra di napoleone!
Da una debacle al'altra, gli accecati di tutte le categorie sociali hanno marciato a testa bassa, avanti.
In Crimea, Lord Cardigan fu comandato ad attaccare una postazione armata russa con la sua brigata leggera di cavalleria, ma nessuno si prese la briga di vedere le linee del fronte(Cardigan se ne stava sul suo yacht privato ancorato sul mar nero, a gustare le prelibatezze del suo chef francese), nessuno conosceva il campo di battaglia. Naturalmente egli prese la direzione sbagliata e quasi tutti i suoi uomini furono uccisi, ma lui tornò in Inghilterra come un eroe nazionale. E poi lanciò il famoso pullover a V che da lui ha preso il nome.
Una altra famosa frase della Grande Guerra era che i generali stavano combattendo nè più nè meno l'ultima guerra precedente quella franco-prussiana. A londra e parigi pensarono che potevano vincere le battaglie con le tattiche della guerra franco-prussiana; giudizio che non era niente altro che adulazione per i generali; in realtà stavano combattendo una guerra che non era mai stata combattuta.
In precedenza nella guerra americana tra nordisti e sudisti, il generale Jackson notava che una buona posizione difensiva era praticamente impossibile da conquistare. I progressi tecnologici delle armi, mitragliatrici, etc. rendevano i difensori molto più letali da una grande distanza, per cui i soldati potevano resistere nelle loro trincee mentre i corpi degli attaccanti si acculavano davanti a loro."Ricordate il muro di pietra" diceva Jackson ai suoi ufficiali, spingendoli ad aspettare che gli yankees attaccassero. Ma Jackson fu colpito dai propri uomini, e il generale Lee dimenticò le sue parole. Ordinò un attacco napoleonico contro le posizioni nordiste a gettysburg anche se era ovvio che attaccare significava perdere. Ma attaccare inebria gli uomini.
Anche tedeschi, inglesi e francesi lo fecero, con gli inevitabili disastrosi risultati. In seguito,sarà il turno degli americani.
Prima che la guerra cominciasse, il colonnello francese Grandmaison aveva quasi un culto basato sulle cariche matte della cavalleria. Ciò che vince le battaglie, disse ai francesi, non è mai la tattica, nè la logistica, nè la potenza di fuoco, nè la strategia, bensì è il cuore! audacia, attacco! Grandmaison ebbe subito l'opportunità di mettere in atto il suo principio. Si può a stento immaginare quanto deve essere stato bello: un intero reggimento di cavalleria che scorrazzava sul campo di battaglia, spade ed elemetti luccicanti al sole, che cuote! che coraggio! che gloria!.... che imbecillità! in pochi minuti l'artiglieria tedesca aprì il fuoco e li fece a fettine incluso il colonnello. I commentatori glorificarono la morte romantica, il cuore è meraviglioso per i poeti, ma nella storia militare il cuore è la strada per la rovina.
Ciò che decise la WWI non fu il cuore, ma la combustione interna; fu decisiva non la poetica cavalleria ma l' arida meccanica.
L'introduzione dei carrarmati rese possibile avanzare contro il nemico nelle trincee senza farsi massacrare.
I francesi però non ne volevano sapere, e nonostante l'evidenza, anche nella successiva guerra mondiale gli uomini della terza repubblica non sapevano che farsene dei carrarmati. Piuttosto, costruirono fortificazioni che sarebbero state una delizia per Francescoi I ma fuorno invece di imbarazzo per Clemenceau. A costo di milioni di dollari dell'epoca, su e giù per la valle del Reno, per un periodo di anni costruirono bunker e fortificazioni in pietra. Questa famosa "linea Maginot" era già obsoleta quando fu finita. Ma i francesi lo capirono solo quando l'intera linea fu scansata da un "blitzkrieg" di carrarmati tedeschi. In poche ore, la linea difensiva francese si trovò dietro a quella tedesca! il generale Gamelin, arrivando al fronte, un pò dopo il fatto, si dice che abbia voluto mandare un messaggio di avviso a parigi, con un piccione viaggiatore!
La Wehrmacht aveva già dato una dimostrazione mesi prima dell'attacco sul reno, quando aveva invaso la Polonia. Lì i polacchi furono tragicamente assediati, ma non avevano imparato molto da quando nel medio evo erano stati battuti dal generale Subedei, tamerlano. Quando i panzer tedeschi attaccarono, i polacchi fuorno spazzati via e quegli ufficiali che provarono a scappare verso est fuorno catturati e uccisi dai russi.
Perfino quando la classe degli ufficiali è dolorosamente investita dai fatti, spesso non riesce a mettere due con due, nè a a prendere la decisione più ovvia. Ad inizio 1945 la germania era ormai battuta, ogni ufficiale lo sapeva; i russi stavano accerchiando Berlino da est, mentre ad ovest gli alleati avevano passato il Reno; e nel suo bunker Hitler stava dando di matto. Se fossero stati lucidi, potevano avere la chance di salvare qualcosa. Almeno avrebbero potuto organizzare una razionale difesa finale, spostando le truppe ad est per fermare i russi assetati, consentendo agli amerciani di avanzare verso Berlino. Ma gli stessi ufficiali che avevano ordinato la morte di milioni di persone nei 4 anni precedenti di guerra, che avevano visto i loro soldati ed amici morire in combattimento, nei campi di prigionia, ebbero solo e a stento la capacità di mettere un proiettile dentro le proprie teste.
Nella storia dell'umanità milioni e miloni di uomini in tutte le epoche sono morti senza testimoni, senza gloria, per i motivi più futili, combattendo guerre senza senso tattico e senza senso strategico, ieri come oggi, come domani.
Imperi ritenuti invincibili nella Storia, sono poi miseramente caduti anche a causa di guerre sbagliate in tutti i sensi.
Sembra incredibile, ma è vero, e soprattutto ripetibile.
(fine)
Prendiamoci un break dai temi prettamente finanziari valutando un antica guerra, quella fra Atene e Sparta, usando Tucidide (il primo grande storico) come guida. Se ne ricavano indicazioni su come esista una stretta correlazione tra guerre sbagliate e fine degli imperi, interessanti per il futuro...
Nel 416 a.C. la democratica Atene e l'oligarchica Sparta stavano combattendo da 15 anni. La guerra era iniziata nel 431 a.C. quando gli spartani scesero in campo nel tentativo di bloccare l'espansione imperialistica di Atene. Ma 15 anni erano tanti, un periodo di sofferenza che non cessava. Certamente costò la vita di migliaia di uomini periti in battaglie marine e terrestri, e anche a causa della peste mortale che colpì Atene nel 429. Battaglia dopo battaglia, gli eserciti contavano i propri morti e li omaggiavano nelle tradizionali pire funebri; le ossa dei deceduti facevano ritorno a casa per essere interrati nelle cripte ed
onorati. Ma la fine non si vedeva. Il conflitto era diffuso in tutto il territorio che oggi si chiama Grecia; la vita era austera perfino per le famiglie più ricche, le norme sociali si stavano incrinando,nulla era sicuro e la gente si chiedeva cosa avesse fatto per meritare quell'inferno.
Pochi ricordavano gli avvertimenti di Archidamus leader di Sparta che aveva sconsigliato la spedizione iniziale contro la potente Atene, dicendo di temere che questa guerra sarebbe finita in eredità ai figli. Anticipando un aspetto della teoria sulle guerre di successo, che 22 secoli dopo Carl von Clausevitz avrebbe descritto nel suo grande trattato, Archidamus prevedeva che non ci sarebbe stata nessuna veloce vittoria decisiva. Ciò nonostante gli spartani attaccarono.
Sul fronte ateniese anche Pericle voleva evitare una guerra con Sparta. Ma qualora fosse stata inevitabile, Pericle consigliava prudenza ed una strategia difensiva. Spiegava che se gli ateniesi fossero rimasti calmi, prendendosi cura della propria flotta, astenendosi dal tentativo di estendere il loro impero in epoca di guerra e quindi evitando di mettere in pericolo le proprie città, avrebbero prevalso. Ma questa strategia contava sul fallimento del nemico spartano e non sulla capacità degli ateniesi di vincere. Probabilmente Pericle non conosceva quanto dall'altra parte del mondo teorizzava un altro grande studioso di arte militare, il cinese Sun Tzu; quest'ultimo nel capitolo 4 della sua Arte della Guerra scriveva che l'invincibilità sta nella difesa; la possibilità di vittoria nell'attacco. Pericle quindi commetteva l'errore strategico di pensare solo alla prima metà dell'equazione.
Così 15 anni dopo, la guerra aveva raggiunto costi altissimi e non aveva raggiunto nessun risultato; nè si profilava un punto che potesse segnare il termine reale dei combattimenti e delle ostilità. Tutto il sangue e le risorse che erano state versate nei combattimenti non erano serviti a un cambiamento fondamentale nelle rapporti di forza tra Atene e Sparta. La guerra continuava.
Come avrebbe detto von Clausevitz i centri di gravità di ogni stato restavano intatti. Sparta possedeva ancora la sua potente armata, ed Atene la sua flotta dominante. Non vi era stata nessuna battaglia decisiva, e nessuna delle due parti poteva dirsi in vantaggio rispetto all'altra. Qualcosa doveva cambiare. Gli Ateniesi erano, magari inconsciamente, pronti a cambiare strategia. E vi fu un uomo, Alcibiade, un giovane dinamico ufficiale, che venne fuori con un piano per espandere la guerra in maniera da favorire Atene e danneggiare Sparta. Alcibiade propose di invadere la Sicilia e assistere un gruppo di piccole città-stato aiutandole ad attaccare le colonie spartane, in primis Siracusa. Sebbene la Sicilia fosse mille miglia lontana da Atene, l'idea era che conquistare Siracusa avrebbe inferto un colpo decisivo al potere di Sparta.Il piano operativo di Alcibiade era quello di mandare un contingente di 60 navi, le triremi, e un modesto numero di soldati in Sicilia. Una volta arrivati avrebbro dovuto allearsi con gruppi di città siciliane amiche di Atene, con le quali conquistare Siracusa e prendere il controllo su una fonte principale di cibo e risorse che da lì venivano esportate a Sparta.
Avendo la Sicilia sotto il suo controllo, per Atene sarebbe stato possibile usare il suo potere navale per bloccare i rifornimenti a Sparta e così obbligarla alla sottomissione.
Un piano con pochi rischi diretti per Atene, ma potenzialmente con elevato ritorno strategico.
Uno dei leader greci, Nicia, si oppose al piano di Alcibiade ritenendolo un diversivo costoso; ma piuttosto che opporsi al piano direttamente , preferì supportarlo nonostante lo criticasse . Nel dibattito tumultuoso che ne seguì, gli Ateniesi alla fine votarono per mandare 100 triremi, quasi il doppio rispetto a quanto proposto da Alcibiade, per cui il rischio iniziò a diventare realmente elvato. Inoltre nominarono sia Nicia che Alcibiade, oltre al generale Lamaco, come capi della spedizione.
Oggi diremmo che si trattò di un fallimento intellettuale, perchè gli ateniesi sembrarono non comprendere che Siracusa era una potente città che era stata fondata come colonia da un alleato di Sparta, Corinto, già di per sè un probabile nemico di Atene. Non compresero la portata dello
sforzo che sarebbe stato necessario.
La notte prima della partenza, qualcuno (probabilmente sabotatori nemici) mutilò numerose statue di divinità in tutta Atene. Alcibiade fu accusato di profanare queste immagini divine, all'epoca un crimine contro la religione molto grave. Egli voleva replicare alle accuse, sottoponendosi al processo, ma un significativo numero di alleati atenesi e di ausiliari combattenti si erano accordati per unirsi alla spedizione in Sicilia solo a condizione che vi fosse Alcibiade. Atene non poteva perdere quest'uomo chiave, architetto della strategia, così il suo processo fu posposto.
Nell'inverno del 415 a.C. gli ateniesi sbarcarono in Sicilia su 134 triremi con oltre 5000 uomini dell'esercito terrestre, ed una forza totale di oltre 30 mila uomini. Dal punto di vista logistico si trattava di uno sforzo enorme. Inizialmente, in Sicilia, Nicia ed Alcibiade usarono la diplomazia e piccoli combattimenti per vincere alcune piccole città, al fine di poter costruire un campo base. Poi improvvisamente Alcibiade fu richiamato ad Atene per il processo, il che privò la spedizione del suo vero leader. Ad Atene si sottovalutorono le implicazioni di questo fatto. Alcibiade capì che vi era un intrigo politico dietro il suo richiamo in patria, così scappò mentre era sulla rotta per Atene, e per vendicarsi andò dagli spartani, cui raccontò nei dettagli il piano che lui stesso aveva elaborato.
Nel capitolo 13 del suo libro Sun Tzu scrive dell'uso delle spie nelle guerre, essenziale per comprendere cosa succede nel campo nemico. Lo spionaggio, oggi diremmo l'intelligence, era già per Sun Tzu un elemento basilare della guerra, da cui dipende ogni mossa dell'esercito.
Ma Alcbiade era più che una semplice spia. Egli fornì agli spartani istruzioni complete sulle debolezze ateniesi e aiutò Sparta ad elaborare una strategia per sconfiggere Atene. Tra le altre cose, li spinse a fortificare una regione strategica confinante con Atene, oltre che a rinforzare il più possibile Siracusa. Fece loro, in sostanza, una road map per ottenere il cuore del potere ateniese. Gli Ateniesi condannarono l'assente Alcibiade a morte, e confiscarono le sue proprietà, ma il danno era fatto.
Tra l'altro gli ateniesi continuarono ad eseguire il piano originario in Sicilia, una vera e propria follìa , sapendo che adesso gli spartani sapevano quali ne erano le finalità. Inizialmente Nicia vinse alcune piccole battaglie ma fallì nell'avvantaggiarsene. Inoltre le piccole città siciliane che inizialmente avevano promesso il loro aiuto, quando videro l'enorme dimensione delle forze inviate da Atene, ne ebbero paura e rifiutarono il loro appoggio. Iniziarono a chiedersi quali fossero i veri motivi di Atene, e accusarono gli ateniesi di volerli conquistare imperialisticamente; gli ateniesi risposero che non volevano schiavizzare nessuno, ma il massimo che ottennero fu la neutralità; in realtà poi le città siciliane appoggiarono Siracusa.
Pertanto, le cose girarono contro Atene, ma ciò nonostante gli ateniesi erano fiduciosi che il loro esercito fosse abbastanza potente da conquistare Siracusa anche senza l'appoggio dei locali, e così cominciarono la loro impresa. Lamaco e Nicia presero posizione vicino al porto di Siracusa e iniziarono ad attaccare le mura della città. Lamaco però fu ucciso durante i combattimenti.
Dopo una buona avanzata verso Siracusa, Nicia credette che la popolazione assediata fosse sul punto di arrendersi. Così ritardò i lavori per l'assedio e negoziò con le fazioni interne della città, mancando di focalizzarsi sul principio militare dello sfruttamento del vantaggio acquisito, e così il ritardo lavorò a suo sfavore. Nel frattempo infatti un generale spartano, Gilippo, sulle base delle informazioni di Alcibiade, arrivò in Sicilia per aiutare Siracusa. Dopo aver appreso che Siracusa non era ancora interamente isolata ,vi portò le sue truppe e quelle di alcuni alleati siciliani riuscendo a vincere alcune battaglie. Il suo arrivo immediatamente alzò il morale dei siracusani, e da questo momento le cose inizarono ad andare male per gli ateniesi, che dopo aver perso Lamaco, videro Nicia cadere malato; quest'ultimo scrisse ad Atene per avere rinforzi, chiedendo di venire rimpiazzato.
La spedizione siciliana che era partita come quello che von Clausevitz avrebbe definito un colpo audace, si stava rapidamente trasformando non soltanto in un errore, ma in un colossale autogol.
Non si sa se gli ateniesi fuorno incapci di valutare la situazione, o se semplicemente non ne ebbero voglia , ma certamente non considerarono la prospettiva di ammettere la sconfitta del loro piano siciliano, e dunque non si impegnarono a salvare il salvabile. Piuttosto, inviarono una seconda spedizione guidata da due generali, Eurimede e Demostene, con altre 73 triremi e 5000 soldati: a questo punto avevano impegnato in questa distante spedizione, più della metà della loro flotta e circa un terzo dei loro soldati, rischiando molto, ma per cosa?
Non riuscendo a capovolgere le sorti della battaglia, fallirono anche nel ritirarsi, a causa di una superstizione loro tipica circa l'eclisse di luna che capitò la notte prima della partenza. Il superstizioso Nicia rifiutò di farlo se non fossero prima passati i 27 giorni richiesti dalla credenza, infischiandosene delle necessità militari.
Questo ritardo fu fatale. Nello stretto porto di Siracusa gli ateniesi si trovavano in svantaggio e i soldati siracusani- come i greci contro i persiani a Salamina - stavano combattendo per la loro libertà contro invasori stranieri. Inoltre le forze siracusane ebbero un vantaggio tecnico, perchè le loro navi adottavano la procedura di rinforzare gli scafi, pertanto combattevano meglio a distanza ravvicinata contro i vascelli ateniesi. Per cui la più piccola flotta siracusana sconfisse quella ateniese uccidendo anche Eurimede, e riuscendo a intrappolare gli ateniesi. Demostene cercò di attaccare la barriera , contando sul maggior numero di navi che ancora aveva, ma il morale dei marinai ateniesi era per terra, e non vi riuscì. L'unica via di scampo restava la ritirata via terra, ma ancora una volta Nicia non ne comprese l'urgenza e diede un giorno di tempo alle sue truppe per imballare l'accampamento. Questo ritardo permise al generale spartano Gilippo di posizionare le troppe in punti strategici sulla via della ritirata ateniese. Così l'armata ateniese dopo 8 giorni di battaglia , pressata anche dalla cavalleria siracusana, fu costretta ad arrendersi. Demostene e Nicia fuorno giustiziati. La maggior parte dei sopravvissuti, morì durante la prigionìa. In uno dei più tristi racconti di tutta la letteratura militare, Tucidide definisce la spedizione siciliana il più grande avvenimento della storia greca, perchè comportò la totale distruzione della flotta e dell'armata ateniese, mettendo le basi per il declino della intera Atene.
Dato il risultato disastroso ci possiamo chiedere se la strategìa siciliana fosse una buona idea eseguita male, o semplicemente una sbagliata fin dall'inizio. Naturalmente è troppo facile giudicare solo in base al risultato finale. ma la prima regola per vincere una guerra è evitare l'autodistruzione. Così se pensiamo in termini di principi bellici, occorre distinguere tra l'dea originale di Alcibiade di mandare solo una forza leggera, e quella effettivamente eseguita di una spedizione molto pesante. Semplicità contro complessità, massa contro manovra, questo è il focus.
Il piano originario era di far leva sugli alleati siciliani, senza rischiare nè senza impressionare questi ultimi; invece fu fatto esattamente l'opposto, ottenendo il risultato di inimicarsi i siciliani.
Alla radice degli errori troviamo inoltre le convinzioni religiose che hanno il sopravvento. Cosa sarebbe successo se gli ateniesi non avessero incolpato Alcibiade e lo avessero mantenuto come capo? ecco il contrasto tra le questioni personali e le esigenze dell'impegno militare.
Si può ritenere che se Alcibiade non fosse andato dagli spartani, questi non avrebbero mai mandato l'esercito di Gilippo, risultato poi determinante. Infine, vi furono le esitazioni di Nicia, dovute sempre a credenze religiose.
Come diceva Sun Tzu, il guerriero abile può ottenre la propria invulnerabilità, ma non può mai ottenere la vulnerabilità del nemico.
La campagna siciliana, mette in luce gli errori tattici degli ateniesi che portarono alla loro vulnerabilità e alla fine alla loro totale distruzione.
Le notizie della distruzione della spedizione dsiciliana colsero di sorpresa Atene. All'inizio rifiutò semplicemente di credere che la propria potente forza fosse stata sconfitta in una terra lontana, da parte di popolazioni che gli ateniesi giudicavano primitivi, Nessuno lo aveva previsto, nè si era voluto diffondere le notizie parziali negative che arrivavano.
Il che solleva la questione sempiterna in epoca di guerra della corretta informazione: si tende sempre ad evitare di dire la verità se questa risulta sgradevole, per non turbare il morale della popolazione.
A titolo di esempio, durante la seconda guerra mondiale ci vollero molti mesi prima che i giapponesi fossero informati delle perdite che la loro marina stava subendo. E dopo Stalingrado, ai tedeschi non venne fatta sapere la realtà, e per molti mesi si veidero nuove persone che portavano il lutto: erano stati informati con grande ritardo, e a poco a poco, della perdita dei congiunti.
Con il disastro siciliano iniziò la fine dell'impero di Atene: con i forzieri svuotati, i suoi porti privi di navi, e migliaia di soldati mancanti, fu l'inizio della fine. Il disastro siciliano spinse a molte rivolte in tutto il territorio, e soprattuttò spronò gli spartani. Nel 413 a.C, Sparta invase le campagne ateniesi, per la prima volta dal 425 ma questa volta -seguendo i consigli di Alcibiade - essi costruirono fortezze man mano che conquistavano territori così controllarono le vie di accesso. Il morale degli ateniesi scemò sempre più, mentre migliaia di schiavi andarono a rinforzare Sparta, oltretutto danneggiando l'economia rurale ateniese.
Ciò nonostante gli ateniesi provarono a resistere, e come dice Tucidide "nel panico del momento furono capaci di essere il più priudenti possibile". Così la guerra continuò per altri 9 anni, ma alla fine Sparta ottenne la vittoria navale che si rivelò definitiva ad Egospotami: gli ateniesi persero 168 navi, cioè tutto quello che gli restava (solo 12 navi risucirono a scappare).
Ricapitolando.
Atene aveva un impero , e la sua continua espansione provocò il timore degli spartani che iniziarono la guerra: dopo lunghi combattimenti nelle proprie regioni, Atene tentò di trovare la soluzione invadendo la Sicilia e ciò si tramutò in un disastro, che forse poteva essere evitato come abbiamo visto, ma i fatti storici sono che la scomessa fu persa, e che dopo la disfatta siciliana, perse l'impero. Infatti dopo la spedizione siciliana gli ateniesi erano tornati al loro elemento strategico, il mare, su cui restarono vincenti per un pò, ma solo perchè stavano consumando le loro ultime riserve; non avrebbero più potuto permettersi errori: invece fecero quello finale di Egospotami. E finirono sotto il dominio degli spartani, cui si arresero nel 404 a. C. così come i suoi alleati. I termini del trattato privarono Atene delle sue mura, della sua flotta e di tutti i suoi possedimenti olttremare. La guerra finì, ma Atene fu rovinata.
Il mondo e il suo destino sarebbero appartenuti ad altri.
Il caso di Atene, mi sembra di attualità stringente a proposito delle guerre e dell'impero americano, e perciò l'ho richiamato.Voglio concludere con altre considerazioni che mi sono venute in mente, in seguito alla lettura della storia delle guerre.
Difficile trovare una guerra che non sia iniziata con il tradimento e la frode.Nè possiamo trovarne che non siano state piene di errori.
La storia militare mostra che generali e strateghi si sono spesso rivelati incompetenti quasi come i consulenti matrimoniali. Se non fosse per le disgrazie provocate, potremmo farci grasse risate sulle guerre.
Quasi ogni racconto, da quelli di Tucidide che ho riportato con l'esempio della guerra tra Atene e Sparta, a quelli di von Clausevitz, è farcito di occasioni mancate e cadute umilianti, combinate con pugnalate alle spalle e mancanza di visione. Le truppe non sembrano mai essere dove si suppone dovrebbero, cadono in trappole ovvie pur avendo gli occhi aperti. I generali restano oltre le loro linee di rifornimento ma spesso finiscono per trovarsi privi di munizioni o di cibo. Gli ordini sono confusi o persi o conosciuti dal nemico. Quando una vittoria viene ottenuta, risulta più il frutto della fortuna che della capacità.
La maggioranza delle guerre dell'umanità, ben lungi dall'essere storie di eroismo, sono farse assurde di cui perfino i cavalli dei cavalieri avrebbero potuto farsi quattro risate, prima di morire.
La Prima guerra mondiale ha avuto un pessimo copione. Se fosse stata un film, gli attori avrebbero avuto ben donde di rifutarsi di recitarla, e gli spettatori se ne sarebbero potuti andare disgustati. Ma metti gli attori in uniforme, e li trovi pronti a recitare qualsiasi ruolo, non importa quanto irrazionale. Richiesti di andare "over the top" e avanzare nella "no man's land" mentre i nemici sparano, i soldati agiscono come muli muti, che fanno tutto quello che gli viene detto. Fu una "guerra di leoni guidati da scimmie", scriveva la stampa popolare: i generali idioti, ma i nostri ragazzi magnifici. In realtà, se osservati freddamente, tutti somari.
Sul fronte est, l'armata russa era comandata in gran parte da ufficiali che parlavano tedesco.Spesso i loro ordini finivano nelle mani dei nemici, cioè dei tedeschi, che potevano leggerli senza neanche bisogno di traduttori.Se arrivavano alle proprie truppe russe, erano incomprensibili. L'armata russa nella WWI deve essere stata tra le più incompetenti mai viste all'opera. Ma almeno è stata migliore in molti aspetti dell'armata sovietica che Stalin impiegò contro i tedeschi 26 anni dopo. Stalin uccise la maggior parte degli ufficiali più decenti.Si potrebbe pensare che la classe ufficali poteva aver capito cosa stava succedendo e marciare sul Cremlino prima che Stalin agisse contro loro. Ma il top level non è mai capace di anticipare alcunchè. Quelli armati lasciarono che venissero colpiti. I loro rimpiazzi parlavano russo, ma non erano per niente preparati nell'arte militare, ed erano assassini oltre ogni limite. E' stato stimato che nei primi mesi della guerra metà di tutte le perdite sovietiche fuorono causate da loro stessi. I loro aerei erano così messi male che la maggioranza precipitava a causa dei difetti di costruzione, non per il fuoco nemico. Alle truppe fu ordinato di avanzare in massa contro il fuoco nemico, e se qualcuno si rifiutava di farlo i propri compagni gli sparavano.
C'è qualcosa circa il mestiere di soldato che sembra attrarre obbedienza cieca. Un soldato pensante potrebbe chiedersi cosa fa, e potrebbe impiegare un pò di tempo riflettendo sul perchè di ciò che fa. Per quale motivo dovrei fare una cosa così stupida, potrebbe infine chiedersi.
Ma se così facesse non servirebbe ai militari.
Il vero uomo militare- anche uno di grande genio- non si pone mai domande, neanche quelle critiche per la propria sopravvivenza.
Volta dopo volta, vediamo vasti movimenti di truppe ed armi che agiscono in totale ignoranza. La leggendaria "nebbia di guerra", si accumula nei cervelli di comandati e soldati.
Alessandro, forse il più grande generale di tutti i tempi, ha guidato le sue truppe nel deserto geodrosio, dove decine di migliaia sono morti per sete e fame. Forse gli scocciava informarsi sulla direzione esatta? sì. Apparentemente, volle vedere se ce la faceva.
I Romani, ritenuti i più grandi geni militari di tutti i tempi, furono colti completamente di sorpresa quando Annibale scese dalle Alpi. E i cartaginesi vagarono intorno all'italia per i successivi 10 anni prima che le truppe romane finalmente poterono sconfiggerle.
Napoleone attaccò la Russia, e lo stesso fece Hitler; entrambi inconsapevoli del tremendo clima russo! Nessuno di loro pensò di dotare appropriatamente le proprie truppe per resistere al freddo. E i generali tedeschi avevano in tasca le copie della storia della precedente guerra di napoleone!
Da una debacle al'altra, gli accecati di tutte le categorie sociali hanno marciato a testa bassa, avanti.
In Crimea, Lord Cardigan fu comandato ad attaccare una postazione armata russa con la sua brigata leggera di cavalleria, ma nessuno si prese la briga di vedere le linee del fronte(Cardigan se ne stava sul suo yacht privato ancorato sul mar nero, a gustare le prelibatezze del suo chef francese), nessuno conosceva il campo di battaglia. Naturalmente egli prese la direzione sbagliata e quasi tutti i suoi uomini furono uccisi, ma lui tornò in Inghilterra come un eroe nazionale. E poi lanciò il famoso pullover a V che da lui ha preso il nome.
Una altra famosa frase della Grande Guerra era che i generali stavano combattendo nè più nè meno l'ultima guerra precedente quella franco-prussiana. A londra e parigi pensarono che potevano vincere le battaglie con le tattiche della guerra franco-prussiana; giudizio che non era niente altro che adulazione per i generali; in realtà stavano combattendo una guerra che non era mai stata combattuta.
In precedenza nella guerra americana tra nordisti e sudisti, il generale Jackson notava che una buona posizione difensiva era praticamente impossibile da conquistare. I progressi tecnologici delle armi, mitragliatrici, etc. rendevano i difensori molto più letali da una grande distanza, per cui i soldati potevano resistere nelle loro trincee mentre i corpi degli attaccanti si acculavano davanti a loro."Ricordate il muro di pietra" diceva Jackson ai suoi ufficiali, spingendoli ad aspettare che gli yankees attaccassero. Ma Jackson fu colpito dai propri uomini, e il generale Lee dimenticò le sue parole. Ordinò un attacco napoleonico contro le posizioni nordiste a gettysburg anche se era ovvio che attaccare significava perdere. Ma attaccare inebria gli uomini.
Anche tedeschi, inglesi e francesi lo fecero, con gli inevitabili disastrosi risultati. In seguito,sarà il turno degli americani.
Prima che la guerra cominciasse, il colonnello francese Grandmaison aveva quasi un culto basato sulle cariche matte della cavalleria. Ciò che vince le battaglie, disse ai francesi, non è mai la tattica, nè la logistica, nè la potenza di fuoco, nè la strategia, bensì è il cuore! audacia, attacco! Grandmaison ebbe subito l'opportunità di mettere in atto il suo principio. Si può a stento immaginare quanto deve essere stato bello: un intero reggimento di cavalleria che scorrazzava sul campo di battaglia, spade ed elemetti luccicanti al sole, che cuote! che coraggio! che gloria!.... che imbecillità! in pochi minuti l'artiglieria tedesca aprì il fuoco e li fece a fettine incluso il colonnello. I commentatori glorificarono la morte romantica, il cuore è meraviglioso per i poeti, ma nella storia militare il cuore è la strada per la rovina.
Ciò che decise la WWI non fu il cuore, ma la combustione interna; fu decisiva non la poetica cavalleria ma l' arida meccanica.
L'introduzione dei carrarmati rese possibile avanzare contro il nemico nelle trincee senza farsi massacrare.
I francesi però non ne volevano sapere, e nonostante l'evidenza, anche nella successiva guerra mondiale gli uomini della terza repubblica non sapevano che farsene dei carrarmati. Piuttosto, costruirono fortificazioni che sarebbero state una delizia per Francescoi I ma fuorno invece di imbarazzo per Clemenceau. A costo di milioni di dollari dell'epoca, su e giù per la valle del Reno, per un periodo di anni costruirono bunker e fortificazioni in pietra. Questa famosa "linea Maginot" era già obsoleta quando fu finita. Ma i francesi lo capirono solo quando l'intera linea fu scansata da un "blitzkrieg" di carrarmati tedeschi. In poche ore, la linea difensiva francese si trovò dietro a quella tedesca! il generale Gamelin, arrivando al fronte, un pò dopo il fatto, si dice che abbia voluto mandare un messaggio di avviso a parigi, con un piccione viaggiatore!
La Wehrmacht aveva già dato una dimostrazione mesi prima dell'attacco sul reno, quando aveva invaso la Polonia. Lì i polacchi furono tragicamente assediati, ma non avevano imparato molto da quando nel medio evo erano stati battuti dal generale Subedei, tamerlano. Quando i panzer tedeschi attaccarono, i polacchi fuorno spazzati via e quegli ufficiali che provarono a scappare verso est fuorno catturati e uccisi dai russi.
Perfino quando la classe degli ufficiali è dolorosamente investita dai fatti, spesso non riesce a mettere due con due, nè a a prendere la decisione più ovvia. Ad inizio 1945 la germania era ormai battuta, ogni ufficiale lo sapeva; i russi stavano accerchiando Berlino da est, mentre ad ovest gli alleati avevano passato il Reno; e nel suo bunker Hitler stava dando di matto. Se fossero stati lucidi, potevano avere la chance di salvare qualcosa. Almeno avrebbero potuto organizzare una razionale difesa finale, spostando le truppe ad est per fermare i russi assetati, consentendo agli amerciani di avanzare verso Berlino. Ma gli stessi ufficiali che avevano ordinato la morte di milioni di persone nei 4 anni precedenti di guerra, che avevano visto i loro soldati ed amici morire in combattimento, nei campi di prigionia, ebbero solo e a stento la capacità di mettere un proiettile dentro le proprie teste.
Nella storia dell'umanità milioni e miloni di uomini in tutte le epoche sono morti senza testimoni, senza gloria, per i motivi più futili, combattendo guerre senza senso tattico e senza senso strategico, ieri come oggi, come domani.
Imperi ritenuti invincibili nella Storia, sono poi miseramente caduti anche a causa di guerre sbagliate in tutti i sensi.
Sembra incredibile, ma è vero, e soprattutto ripetibile.
(fine)
La Nota sui mercati 21.10
La settimana 16 - 20 ottobre 2006
ECONOMIA: sulla riva del fiume
Dati misti, con l'inflazione USA al netto dell'energia e degli alimentari che continua a crescere su base annuale fino a +2,9%, ma adesso non viene più considerata: l'inflazione globale scende a poco più del 2% per effetto della benzina e tanto basta. Nel fratttempo l'edilizia rimbalza a sorpresa, mentre gli indici manifatturieri restano contrastati, e soprattutto riprendono copiosi gli afflussi netti di capitale. Ed infatti qui sta il nocciolo del vero problema su cui conviene tornare, per non restare in balìa dei singoli dati congiunturali e capire quello che succede.
L'economia più grande del mondo, emittente della moneta di riserva internazionale, appartenente al leader politico globale, consuma continuamente da anni più di quanto produce; il resto del mondo (Asia)
invece produce più di quanto consuma. Da questo squilibrio fondamentale deriva tutto il resto. SE vivessimo in un economia capitalistica a libera concorrenza , funzionerebbe la tendenza al riequilibrio. Vale a dire, il titolare della ditta asiatica che incassa i dollari a fronte delle sue esportazioni negli USA, va in banca a cambiarli, perchè lui ha bisogno di yen,yaun, etc. per vivere nel suo paese, pagare i salari, etc. e la banca vende i dollari ricevuti per ricostituire il suo stock di moneta locale. In questo schema normale, il dollaro pertanto verrebbe costantemente venduto , e si svaluterebbe finchè c'è uno squilibrio commerciale; la sua svalutazione provocherebbe un rialzo dei tassi d'interesse americani perchè il governo dovrebbe pagare di più per procurarsi i soldi necessari. Gli asset americani scenderebbero pertanto di valore, e il consumatore si troverebbe indotto a ridurre il suo tenore di vita e comunque ridurrebbe l'acquisto di merci importate, più care a causa della svalutazione del dollaro, mentre al contempo le esportazioni USA conquisterebbero quote di mercato. Esistono certamente un livello di svalutazione (30-50%) e di tassi reali (5-10%) a cui il deficit si annullerebbe, e la situazione di partenza tornerebbe in equilibrio.
POICHE' però vivamo in un economia capitalistica oligopolistica, la tendenza al riequilibrio non funziona perchè gli oligopolisti scelgono deliberatamente di mantenere in essere lo squilibrio.
Vediamo i comportamenti di entrambi gli attori, gli asiatici e gli americani. I primi hanno scelto da anni di non vendere i dollari che i loro esportatori riversano in cassa; bensì di stampare moneta locale creando inflazione interna, pur di mantenere i dollari che acquisiscono giorno dopo giorno. In questo modo impediscono la svalutazione del dollaro, e mantengono in essere lo squilibrio commerciale a loro favore. Ciò avviene anche per effetto dell'azione che ne consegue sui tassi d'interesse: i dollari acquisiti infatti vengono usati per comprare titoli americani (di Stato, delle agenzie governative, delle aziende, etc.) al fine di ricavarne un rendimento. Ciò di per sè esercita quindi un azione al ribasso sui rendimenti perchè comporta un flusso crescente ed imponente di acquisto dei suddetti titoli. Il che provoca una costante crescita della liquidità internazionale, che si riversa su beni mobili ed immobili, facendone lievitare i prezzi globalmente (anche se poi ci possono essere travasi temporanei da un comparto all'altro, a seconda delle situazioni specifiche).
Dunque i gli asiatici, così comportandosi, ottengono una crescita economica inflazionistica trainata dalle esportazioni; ottengono però anche un accumulo di debiti americani continuamente crescente, che fornisce loro un flusso addizionale di dollari in cedole,dividendi etc.
provocando una dipendenza finanziaria dal valore del dollaro e dei titoli americani: già oggi, ad esempio, perderebbero centinaia di miliardi per un 10% di svalutazione del biglietto verde e conseguente rialzo di un 2% dei rendimenti. Quella che sembrerebbe dunque una situazione estremamente conveniente, presenta un forte azzardo sottostante anche perchè si deve dare per scontato che il debitore continui a pagare per sempre gli interessi su tali titoli.
Sarà così? per vederlo analizziamo la situazione dal punto di vista americano, non senza aver prima ricordato che nell'agosto del 1971 - pressati dal debito provocato dalla guerra in Vietnam- gli USA un bel giorno annunziarono a tutti d'imperio il ripudio della convertibilità del dollaro in oro. Possono dunque anche in futuro annunziare a tutti d'imperio il ripudio del servizio del debito. Che faranno allora gli asiatici? la guerra?
Anche dal punto di vista americano questa situazione presenta una serie di vantaggi: il resto del mondo finanzia le spese militari in eccesso, ed i consumi in eccesso; gli consente così di crescere più di quanto potrebbero permettersi, anche se in modo inflazionistico; e l'inflazione degli asset fa felice una delle industrie americane di maggior peso, quella finanziaria. MA, ogni anno che passa il cittadino americano deve lavorare sempre di più per pagare gli interessi sui debiti USA al resto del mondo. In Speciale Bancarotta ho riportato le cifre attuali; qui basti ricordare che un terzo di tutta la pressione fiscale subìta dal popolo se ne va già oggi a questo scopo. Così proseguendo le cose, tale quota diventerà della metà e poi dei due terzi, etc. Può dunque salire senza problemi? o si arriverà al punto in cui dichiareranno il ripudio sopramenzionato?
Come la si rivolti, non vi è dubbio che si è creata una situazione paradossale, che al momento viene facilmente ignorata perchè produce crescita inflazionistica di tutto e di tutti, e dunque appare una specie di paradiso in terra; ma che si basa su un evidente insostenibilità disastrosa.
Come mai si è arrivati a tanto?
Può darsi che gli asiatici, per ora siedano sulla riva del fiume in attesa che gli americani si impicchino con la corda che loro stessi gli forniscono, nel frattempo approfittando per crescere quanto più possibile prima dell'ora X.
Se è così, non sono esenti da critiche. Da un lato infatti con quella corda che loro forniscono per ora gli americani si sviluppano sempre più sul piano tecnologico-militare; dall'altro , come sopra ricordato, possono ripudiare i debiti in qualsiasi momento. E questi due aspetti possono essere i cardini del piano americano di conservazione della propria leadership mondiale.
Se ne potrebbe uscire in modo civile da questa situazione?
Per gli USA, a parte il ripudio del debito, l'unico modo sarebbe provocare una fortissima recessione interna, alzando i tassi a breve di 10-15 punti percentuali, fino ad azzerare il deficit estero. Ma questo non è pensabile, per un sistema economico-politico (elezioni ogni due anni) come quello americano.
Per gli asiatici, l'unico modo sarebbe ridurre in modo consistente i dollari accumulati, ma ciò provocherebbe una perdita finanziaria enorme, e un arresto prolungato della crescita interna con il rischio di sollevamenti popolari, che anche una ferrea dittatura come quella cinese probabilmente teme.
Dunque la previsione più probabile è che l'andazzo in essere continui, almeno fino al 2008 : olimpiadi cinesi, ed elezione del nuovo presidente USA. Nel frattempo si saranno accumulati altri due trilioni di dollari circa di debito USA all'estero, e le tasse pagate dagli americani per gli interessi si avvicineranno al 50% del totale. Ma nel frattempo anche la crescita mondiale sarà proseguita a tutta birra, e con essa quella dell'inflazione, sia dei beni di consumo che di quelli mobiliari ed immobiliari. Le mille bolle blu continueranno: borse, materie prime, obbligazioni, dollaro. Certo vi saranno temporanee fasi
di correzione anche corpose, in funzione dei vari eventi, come quella in atto sul petrolio o quella attesa sulla borsa.
Ma la resa dei conti , quella drammatica, non potrà avvenire finchè Qualcuno non spezzerà l'insana simbiosi sopra ilustrata, che del resto NON può costituire un modello di sviluppo planetario permanente.
MATERIE PRIME : dubbi sull'OPEC
Riparte il gas naturale guadagnando il 6% su timori di un inverno freddo, chiudendo a 8,3 (scad. marzo 07).
Il crudo dal canto suo ha vissuto in funzione della decisione OPEC di giovedì sera da cui è emerso un taglio alla produzione di 1,2 milioni di barili, e che ha consentito alla scadenza dicembre di arrivare in area 61; nel finale però sono prevalsi i dubbi sulla capacità dei membri OPEc di tenere fede alla decisione, in presenza dell'annuncio che la Russia invece non avrebbe tagliato la produzione: conclude a 59,33. Tecnicamente una chiusura venerdì a 59,30 (o meno) avrebbe validato una sequenza demark da manuale sul grafico giornaliero, ed infatti ho inserito un ordine di acquisto a 59 non andato in porto (minimo a 59,1); la sequenza dovrebbe quindi completarsi lunedì (se chiusura inferiore a 60,5) e lì conto di rientrare. Giovedì sull'OPEC ho effettuato una compravendita di giornata sulla scadenza novembre - contando anche sulle ricoperture specifiche visto che era l'ultimo gionro di negoziazione di tale scadenza- che non ha fruttato granchè (+350$ a contratto).
Il settore dei metalli ha concluso in prevalenza con modesti guadagni a causa di un venerdì negativo, appresso al petrolio: l'oro a 596(dicembre) il rame a 346 (dicembre) l'argento a 11,97(dicembre); il platino a 1082(gennaio) fa eccezione il palladio a 330(dicembre)+ 5%.
L'indice generale CRB(dicembre) a 307
Posizione di lungo termine: al rialzo
Posizione di medio termine: al rialzo
Posizione asset: nulla
CAMBI: il dollaro si ferma
Il dollaro è stato respinto dalle resistenze chiave, ed è tornato in range.L'indice generale non ha superato quota 87 per cui resta valido quanto scrivevo nelle precedenti note.
L'eurodollaro scad. dicembre dopo aver cominciato testando la famosa area di 1,25 (minimo a 1,2517), è rimbalzato con convinzione sfruttando la scusa del Philly Fed americano debole cui si è contrapposto un pacchetto di dati macro positivi per l'area europea: è arrivato quasi a 1,27 per poi concludere a 1,266. Il primo a partire contro dollaro è stato però lo yen che era tornato in area 148 con euro, grazie al venir meno delle tensioni coreane, ma nel finale ritorna verso 150 chiudendo però a 118,6 con dollaro.
L'indice generale del dollaro a 86(dicembre) -1%
Posizione di lungo termine: dollaro al ribasso
Posizione di medio termine: dollaro laterale
Posizione asset: nulla
OBBLIGAZIONI: rendimenti stazionari
Si è fermata l'ondata di vendite sull'obbligazionario delle ultime due settimane.
Negli USA come saldo settimanale il future sul tasso a tre mesi scad.dicembre 2007scende di 1 cts. al 4,99% , il 2 anni sale di 1 cts. al 4,87% il quinquennale fermo al 4,76 il decennale scende di 1 cts. al 4,79 il trentennale scende di 3 cts. al 4,91.
In Europa il Bund decennale sale di 1 cts. al 3,84% ed in Giappone il decennale sale di 3 cts. al 1,79%; il tasso sul debito dei paesi emergenti resta stabile, mentre si riducono i differenziali tra i corporate bonds (specialmente quelli spazzatura) e i titoli di stato; continuano a correre i vari aggregati creditizi: sono solo alcune delle mille bolle blu.
Posizione di lungo termine: al rialzo dei rendimenti
Posizione di medio termine: laterale
Posizione asset: nulla
BORSE: prendono una pausa
Wally termina con una flessione supportata da volumi superiori a quelli registrati durante le sedute rialziste, ed è chiaramente in ipercomprato: dovrebbe pertanto fare una correzione da un momento all'altro.
Il catalizzatore potrebbe essere il comunicato fed di mercoledì prossimo.
Per la settimana concludono: il Dow a 12002(+0,4%) lo sp500 a 1368(+0,2%) il nasdaq a 2342(-0,7%), il nasdaq100 a 1739(-1%), il Russell2000 (+0%); tra i settori, trasporti(+1%) i semiconduttori(-5%) le biotech (+3,2%) i broker/dealer(-2%) le banche(-1,3%).
Tokyo sale a 16651(+0,8%) di nikkey, in Europa dax tedesco a 6202(+0,5%) il footsie inglese a 6155(+0%), il cac francese a 5375(+0,5%) e l'Italietta senza la benchè minima speranza, con il debito pubblico considerato affidabile come quello del Botswana: l'SPmib a 39470(-0,3%) ed il Mibtel a 30250(+0,2%).
Tra le borse mondiali stazionarie Brasile, India e Cina, mentre sale dell'1,2% quella Russa (giunta al +45% da inizio anno).
Posizione di lungo termine: al ribasso
Posizione di medio termine: laterale
Posizione asset: nulla
PREVISIONI: arriva la Fed
Lunedì giornata vuota. Martedì vi saranno alcuni dati europei, e nient'altro.Mercoledì l'IFO tedesco e alle 20,15 l'evento della settimana: il comunicato della Fed sui tassi (che saranno mantenuti fermi).Considerato che il pendolo delle attese si è recentemente spostato verso un minor timore sulla crescita, pur continuando a ignorare i rischi di inflazione, SE il comunicato verrà interpretato come maggiormente preoccupato dall'inflazione, potrebbe innescarsi l'attesa correzione della borsa a seguito di un ulteriore rialzo dei rendimenti.
Giovedì ben 3 membri fed avranno modo di dire la loro, mentre sul fronte dei dati macro usciranno gli ordini di beni durevoli e le vendite di nuove case, entrambi per settembre.
Infine Venerdì si inizia con l'inflazione nipponica , si prosegue con M3 europea, e si conclude con la prima stima del PIL USA nel terzo trimestre. Quest'ultimo dato, pur soggetto come noto a revisioni successive anche corpose, sarà particolarmente importante: le attese sono per un ulteriore calo rispetto al secondo trimestre dal 2,6% al 2,1% ma vi sono opinioni molto diverse, e si va da chi prevede l'1,5% a chi invece stima il 2,5%. Poichè la Fed continuerà a far riferimento ai dati futuri, eventuali sorprese in un senso o nell'altro avrano particolare impatto.
ASSET: riepilogo (cifre per asset da centomila)
Chiuso il mini crudo scad. novembre venduto a 58,55 e comprato a
57,85(+350$).
Il saldo delle operazioni chiuse da inzio anno, dopo aver pagato le commissioni, è a +3450 euro (con 19 operazioni effettuate su eurodollaro+ 5 sul nasdaq+2 su gas naturale+1 su eurosvizzero+2 su oro+1 su argento+4 su bond+1 su euroyen+2 su petrolio+1 su s&p500+1 su dowjones); il rendimento complessivo, tenuto conto delle minus/plus in portafoglio, e del rateo di interessi maturato, è pari al +5,2% ed equivalente al +6% su base annua se si mantiene questo ritmo; come liquidità impegnata, i margini sui futures assorbono 0% ed il 100% è in conto corrente al 2,37% netto (3,25% tasso iwbank).
ECONOMIA: sulla riva del fiume
Dati misti, con l'inflazione USA al netto dell'energia e degli alimentari che continua a crescere su base annuale fino a +2,9%, ma adesso non viene più considerata: l'inflazione globale scende a poco più del 2% per effetto della benzina e tanto basta. Nel fratttempo l'edilizia rimbalza a sorpresa, mentre gli indici manifatturieri restano contrastati, e soprattutto riprendono copiosi gli afflussi netti di capitale. Ed infatti qui sta il nocciolo del vero problema su cui conviene tornare, per non restare in balìa dei singoli dati congiunturali e capire quello che succede.
L'economia più grande del mondo, emittente della moneta di riserva internazionale, appartenente al leader politico globale, consuma continuamente da anni più di quanto produce; il resto del mondo (Asia)
invece produce più di quanto consuma. Da questo squilibrio fondamentale deriva tutto il resto. SE vivessimo in un economia capitalistica a libera concorrenza , funzionerebbe la tendenza al riequilibrio. Vale a dire, il titolare della ditta asiatica che incassa i dollari a fronte delle sue esportazioni negli USA, va in banca a cambiarli, perchè lui ha bisogno di yen,yaun, etc. per vivere nel suo paese, pagare i salari, etc. e la banca vende i dollari ricevuti per ricostituire il suo stock di moneta locale. In questo schema normale, il dollaro pertanto verrebbe costantemente venduto , e si svaluterebbe finchè c'è uno squilibrio commerciale; la sua svalutazione provocherebbe un rialzo dei tassi d'interesse americani perchè il governo dovrebbe pagare di più per procurarsi i soldi necessari. Gli asset americani scenderebbero pertanto di valore, e il consumatore si troverebbe indotto a ridurre il suo tenore di vita e comunque ridurrebbe l'acquisto di merci importate, più care a causa della svalutazione del dollaro, mentre al contempo le esportazioni USA conquisterebbero quote di mercato. Esistono certamente un livello di svalutazione (30-50%) e di tassi reali (5-10%) a cui il deficit si annullerebbe, e la situazione di partenza tornerebbe in equilibrio.
POICHE' però vivamo in un economia capitalistica oligopolistica, la tendenza al riequilibrio non funziona perchè gli oligopolisti scelgono deliberatamente di mantenere in essere lo squilibrio.
Vediamo i comportamenti di entrambi gli attori, gli asiatici e gli americani. I primi hanno scelto da anni di non vendere i dollari che i loro esportatori riversano in cassa; bensì di stampare moneta locale creando inflazione interna, pur di mantenere i dollari che acquisiscono giorno dopo giorno. In questo modo impediscono la svalutazione del dollaro, e mantengono in essere lo squilibrio commerciale a loro favore. Ciò avviene anche per effetto dell'azione che ne consegue sui tassi d'interesse: i dollari acquisiti infatti vengono usati per comprare titoli americani (di Stato, delle agenzie governative, delle aziende, etc.) al fine di ricavarne un rendimento. Ciò di per sè esercita quindi un azione al ribasso sui rendimenti perchè comporta un flusso crescente ed imponente di acquisto dei suddetti titoli. Il che provoca una costante crescita della liquidità internazionale, che si riversa su beni mobili ed immobili, facendone lievitare i prezzi globalmente (anche se poi ci possono essere travasi temporanei da un comparto all'altro, a seconda delle situazioni specifiche).
Dunque i gli asiatici, così comportandosi, ottengono una crescita economica inflazionistica trainata dalle esportazioni; ottengono però anche un accumulo di debiti americani continuamente crescente, che fornisce loro un flusso addizionale di dollari in cedole,dividendi etc.
provocando una dipendenza finanziaria dal valore del dollaro e dei titoli americani: già oggi, ad esempio, perderebbero centinaia di miliardi per un 10% di svalutazione del biglietto verde e conseguente rialzo di un 2% dei rendimenti. Quella che sembrerebbe dunque una situazione estremamente conveniente, presenta un forte azzardo sottostante anche perchè si deve dare per scontato che il debitore continui a pagare per sempre gli interessi su tali titoli.
Sarà così? per vederlo analizziamo la situazione dal punto di vista americano, non senza aver prima ricordato che nell'agosto del 1971 - pressati dal debito provocato dalla guerra in Vietnam- gli USA un bel giorno annunziarono a tutti d'imperio il ripudio della convertibilità del dollaro in oro. Possono dunque anche in futuro annunziare a tutti d'imperio il ripudio del servizio del debito. Che faranno allora gli asiatici? la guerra?
Anche dal punto di vista americano questa situazione presenta una serie di vantaggi: il resto del mondo finanzia le spese militari in eccesso, ed i consumi in eccesso; gli consente così di crescere più di quanto potrebbero permettersi, anche se in modo inflazionistico; e l'inflazione degli asset fa felice una delle industrie americane di maggior peso, quella finanziaria. MA, ogni anno che passa il cittadino americano deve lavorare sempre di più per pagare gli interessi sui debiti USA al resto del mondo. In Speciale Bancarotta ho riportato le cifre attuali; qui basti ricordare che un terzo di tutta la pressione fiscale subìta dal popolo se ne va già oggi a questo scopo. Così proseguendo le cose, tale quota diventerà della metà e poi dei due terzi, etc. Può dunque salire senza problemi? o si arriverà al punto in cui dichiareranno il ripudio sopramenzionato?
Come la si rivolti, non vi è dubbio che si è creata una situazione paradossale, che al momento viene facilmente ignorata perchè produce crescita inflazionistica di tutto e di tutti, e dunque appare una specie di paradiso in terra; ma che si basa su un evidente insostenibilità disastrosa.
Come mai si è arrivati a tanto?
Può darsi che gli asiatici, per ora siedano sulla riva del fiume in attesa che gli americani si impicchino con la corda che loro stessi gli forniscono, nel frattempo approfittando per crescere quanto più possibile prima dell'ora X.
Se è così, non sono esenti da critiche. Da un lato infatti con quella corda che loro forniscono per ora gli americani si sviluppano sempre più sul piano tecnologico-militare; dall'altro , come sopra ricordato, possono ripudiare i debiti in qualsiasi momento. E questi due aspetti possono essere i cardini del piano americano di conservazione della propria leadership mondiale.
Se ne potrebbe uscire in modo civile da questa situazione?
Per gli USA, a parte il ripudio del debito, l'unico modo sarebbe provocare una fortissima recessione interna, alzando i tassi a breve di 10-15 punti percentuali, fino ad azzerare il deficit estero. Ma questo non è pensabile, per un sistema economico-politico (elezioni ogni due anni) come quello americano.
Per gli asiatici, l'unico modo sarebbe ridurre in modo consistente i dollari accumulati, ma ciò provocherebbe una perdita finanziaria enorme, e un arresto prolungato della crescita interna con il rischio di sollevamenti popolari, che anche una ferrea dittatura come quella cinese probabilmente teme.
Dunque la previsione più probabile è che l'andazzo in essere continui, almeno fino al 2008 : olimpiadi cinesi, ed elezione del nuovo presidente USA. Nel frattempo si saranno accumulati altri due trilioni di dollari circa di debito USA all'estero, e le tasse pagate dagli americani per gli interessi si avvicineranno al 50% del totale. Ma nel frattempo anche la crescita mondiale sarà proseguita a tutta birra, e con essa quella dell'inflazione, sia dei beni di consumo che di quelli mobiliari ed immobiliari. Le mille bolle blu continueranno: borse, materie prime, obbligazioni, dollaro. Certo vi saranno temporanee fasi
di correzione anche corpose, in funzione dei vari eventi, come quella in atto sul petrolio o quella attesa sulla borsa.
Ma la resa dei conti , quella drammatica, non potrà avvenire finchè Qualcuno non spezzerà l'insana simbiosi sopra ilustrata, che del resto NON può costituire un modello di sviluppo planetario permanente.
MATERIE PRIME : dubbi sull'OPEC
Riparte il gas naturale guadagnando il 6% su timori di un inverno freddo, chiudendo a 8,3 (scad. marzo 07).
Il crudo dal canto suo ha vissuto in funzione della decisione OPEC di giovedì sera da cui è emerso un taglio alla produzione di 1,2 milioni di barili, e che ha consentito alla scadenza dicembre di arrivare in area 61; nel finale però sono prevalsi i dubbi sulla capacità dei membri OPEc di tenere fede alla decisione, in presenza dell'annuncio che la Russia invece non avrebbe tagliato la produzione: conclude a 59,33. Tecnicamente una chiusura venerdì a 59,30 (o meno) avrebbe validato una sequenza demark da manuale sul grafico giornaliero, ed infatti ho inserito un ordine di acquisto a 59 non andato in porto (minimo a 59,1); la sequenza dovrebbe quindi completarsi lunedì (se chiusura inferiore a 60,5) e lì conto di rientrare. Giovedì sull'OPEC ho effettuato una compravendita di giornata sulla scadenza novembre - contando anche sulle ricoperture specifiche visto che era l'ultimo gionro di negoziazione di tale scadenza- che non ha fruttato granchè (+350$ a contratto).
Il settore dei metalli ha concluso in prevalenza con modesti guadagni a causa di un venerdì negativo, appresso al petrolio: l'oro a 596(dicembre) il rame a 346 (dicembre) l'argento a 11,97(dicembre); il platino a 1082(gennaio) fa eccezione il palladio a 330(dicembre)+ 5%.
L'indice generale CRB(dicembre) a 307
Posizione di lungo termine: al rialzo
Posizione di medio termine: al rialzo
Posizione asset: nulla
CAMBI: il dollaro si ferma
Il dollaro è stato respinto dalle resistenze chiave, ed è tornato in range.L'indice generale non ha superato quota 87 per cui resta valido quanto scrivevo nelle precedenti note.
L'eurodollaro scad. dicembre dopo aver cominciato testando la famosa area di 1,25 (minimo a 1,2517), è rimbalzato con convinzione sfruttando la scusa del Philly Fed americano debole cui si è contrapposto un pacchetto di dati macro positivi per l'area europea: è arrivato quasi a 1,27 per poi concludere a 1,266. Il primo a partire contro dollaro è stato però lo yen che era tornato in area 148 con euro, grazie al venir meno delle tensioni coreane, ma nel finale ritorna verso 150 chiudendo però a 118,6 con dollaro.
L'indice generale del dollaro a 86(dicembre) -1%
Posizione di lungo termine: dollaro al ribasso
Posizione di medio termine: dollaro laterale
Posizione asset: nulla
OBBLIGAZIONI: rendimenti stazionari
Si è fermata l'ondata di vendite sull'obbligazionario delle ultime due settimane.
Negli USA come saldo settimanale il future sul tasso a tre mesi scad.dicembre 2007scende di 1 cts. al 4,99% , il 2 anni sale di 1 cts. al 4,87% il quinquennale fermo al 4,76 il decennale scende di 1 cts. al 4,79 il trentennale scende di 3 cts. al 4,91.
In Europa il Bund decennale sale di 1 cts. al 3,84% ed in Giappone il decennale sale di 3 cts. al 1,79%; il tasso sul debito dei paesi emergenti resta stabile, mentre si riducono i differenziali tra i corporate bonds (specialmente quelli spazzatura) e i titoli di stato; continuano a correre i vari aggregati creditizi: sono solo alcune delle mille bolle blu.
Posizione di lungo termine: al rialzo dei rendimenti
Posizione di medio termine: laterale
Posizione asset: nulla
BORSE: prendono una pausa
Wally termina con una flessione supportata da volumi superiori a quelli registrati durante le sedute rialziste, ed è chiaramente in ipercomprato: dovrebbe pertanto fare una correzione da un momento all'altro.
Il catalizzatore potrebbe essere il comunicato fed di mercoledì prossimo.
Per la settimana concludono: il Dow a 12002(+0,4%) lo sp500 a 1368(+0,2%) il nasdaq a 2342(-0,7%), il nasdaq100 a 1739(-1%), il Russell2000 (+0%); tra i settori, trasporti(+1%) i semiconduttori(-5%) le biotech (+3,2%) i broker/dealer(-2%) le banche(-1,3%).
Tokyo sale a 16651(+0,8%) di nikkey, in Europa dax tedesco a 6202(+0,5%) il footsie inglese a 6155(+0%), il cac francese a 5375(+0,5%) e l'Italietta senza la benchè minima speranza, con il debito pubblico considerato affidabile come quello del Botswana: l'SPmib a 39470(-0,3%) ed il Mibtel a 30250(+0,2%).
Tra le borse mondiali stazionarie Brasile, India e Cina, mentre sale dell'1,2% quella Russa (giunta al +45% da inizio anno).
Posizione di lungo termine: al ribasso
Posizione di medio termine: laterale
Posizione asset: nulla
PREVISIONI: arriva la Fed
Lunedì giornata vuota. Martedì vi saranno alcuni dati europei, e nient'altro.Mercoledì l'IFO tedesco e alle 20,15 l'evento della settimana: il comunicato della Fed sui tassi (che saranno mantenuti fermi).Considerato che il pendolo delle attese si è recentemente spostato verso un minor timore sulla crescita, pur continuando a ignorare i rischi di inflazione, SE il comunicato verrà interpretato come maggiormente preoccupato dall'inflazione, potrebbe innescarsi l'attesa correzione della borsa a seguito di un ulteriore rialzo dei rendimenti.
Giovedì ben 3 membri fed avranno modo di dire la loro, mentre sul fronte dei dati macro usciranno gli ordini di beni durevoli e le vendite di nuove case, entrambi per settembre.
Infine Venerdì si inizia con l'inflazione nipponica , si prosegue con M3 europea, e si conclude con la prima stima del PIL USA nel terzo trimestre. Quest'ultimo dato, pur soggetto come noto a revisioni successive anche corpose, sarà particolarmente importante: le attese sono per un ulteriore calo rispetto al secondo trimestre dal 2,6% al 2,1% ma vi sono opinioni molto diverse, e si va da chi prevede l'1,5% a chi invece stima il 2,5%. Poichè la Fed continuerà a far riferimento ai dati futuri, eventuali sorprese in un senso o nell'altro avrano particolare impatto.
ASSET: riepilogo (cifre per asset da centomila)
Chiuso il mini crudo scad. novembre venduto a 58,55 e comprato a
57,85(+350$).
Il saldo delle operazioni chiuse da inzio anno, dopo aver pagato le commissioni, è a +3450 euro (con 19 operazioni effettuate su eurodollaro+ 5 sul nasdaq+2 su gas naturale+1 su eurosvizzero+2 su oro+1 su argento+4 su bond+1 su euroyen+2 su petrolio+1 su s&p500+1 su dowjones); il rendimento complessivo, tenuto conto delle minus/plus in portafoglio, e del rateo di interessi maturato, è pari al +5,2% ed equivalente al +6% su base annua se si mantiene questo ritmo; come liquidità impegnata, i margini sui futures assorbono 0% ed il 100% è in conto corrente al 2,37% netto (3,25% tasso iwbank).
10/20/2006
Speciale Cartesio vs. Spinosa
Speciale Cartesio vs. Spinoza
Tempo fa feci uno Speciale sui Miti nei mercati, come quello del tenere le azioni per il lungo periodo, dei dividendi che non contano, e così via. Il che mi ha spinto ad indagare sul perchè tanta gente, anche professionale, finisce per credere in false credenze. E sono andato, come altre volte a rivedere un pò di studi di psicologia in materia.
Proverò adesso a sintetizzare il frutto di queste letture, che portano sostanzialmente a una conclusione interessante: quando si è sottoposti a distrazioni (o si è bombardati da tante informazioni diverse) è più facile che si acquisiscano false credenze.
Questo è un meccanismo ben noto ai pubblicitari e ai politici, che lo sfruttano costantemente. Ed anche in economia e finanza regna sovrano.
Daniel Gilbert , professore di psicologia ad harvard, ha esplorato come si arrivi a credere e a capire le informazioni(Unbelieving the unbelievable,1990). In una serie di lavori Gilbert e altri autori hanno esplorato tale processo usando due punti di vista filosofici alternativi.
Il primo viene associato con il lavoro di Cartesio. Quest'ultimo, parlando del credere, ipotizzò che la mente performa due atti mentali separati. Prima, essa capisce l'idea. Poi, valuta la validità della medesima.
Questo processo a due stadi sembra intuitivamente corretto. Possiamo facilmente immaginare, quando ci viene presentata qualche nuova idea, di tenerla in mente e poi ponderarne la verità. L'approccio cartesiano funziona bene con la psicologia di massa. Cartesio fu educato dai gesuiti e come molti filosofi del 17° secolo studiò psicologia e filosofia per la teologia. Cartesio era ben consapevole che la gente è capace di credere cose non vere, ma per proteggere la Chiesa, sostenne che Dio ha dato all'uomo il potere di valutare le idee, così chiaramente non è colpa di Dio se la gente crede in cose non vere.
Gilbert osserva che l'approccio cartesiano si basa su due assiomi. Innanzitutto, la separazione mentale e la sequenzialità del comprendere-credere; ed in secondo luogo, che le persone non hanno controllo su come o cosa capiscono, ma al contempo sono totalmente libere di credere o non credere ciò che gli piace.
Alle idee di Cartesio si contrapposero quelle di Spinoza. Nato ebreo, Spinoza oltraggiò la sua comunità e la sinagoga, fu scomunicato, accusato di eresie abominevoli e altre mostruosità; l'ordine di scomunica proibiva agli altri membri della sinagoga di avere alcun contatto con lui. Liberato dalla necessità di conformarsi al suo passato, Spinoza fu capace di esplorare ogni cosa lo interessasse. E una delle aree cui dedicò la sua considerevole capacità di pensiero fu la fallacìa contenuta nell'approccio cartesiano. Spinoza sostenne che tutte le idee erano prima rappresentate come vere e solo dopo (con sforzo) valutate nella loro veracia.
Spinoza negò l'analisi che Cartesio metteva al centro del suo approccio a due stadi. Per lui comprensione e credenza erano uno stadio unico, vale a dire, affinchè qualcuno capisca qualcosa, deve crederci: credere è una precondizione necessaria. Tutte le informazioni o idee sono prima accettate come vere, e solo poi (qualche volta) rivalutate per la loro veridicità, ed una volta che questo processo è completato, se necessario, viene costruita una "credenza corretta".
Cartesio sosteneva le differenze tra cervello e mente; Spinoza invece vedeva come inscindibili le due entità.
Gilbert usa l'esempio di una libreria per evidenziare le differenze tra questi due approcci. Immaginiamo una libreria con diversi milioni di libri, di cui una parte sono romanzi. L'approccio cartesiano di schedare i libri sarebbe mettervi un etichetta rossa su ogni romanzo ed una blu su ogni altro. Ogni nuovo libro che appare nella libreria viene letto e poi etichettato in un modo o nell'altro. Ogni libro non letto resta semplicemente presente finchè non viene letto.
Per contro, una libreria spinoziana funzionerebbe in modo diverso. Un etichetta verrebbe messa solo ai romanzi, gli altri sarebbero lasciati senza. La facilità di questo sistema è chiara: richiede molto meno sforzo di quello cartesiano, ma il rischio è che quando arriva un nuovo libro sarebbe considerato come non romanzo, fino a quando non viene letto.
Gilbert osserva che in condizioni ideali entrambi i sistemi producono lo stesso risultato se viene loro consentito di ultimarsi. Così se prendiamo un libro di Darwin e chiediamo al libraio cartesiano cosa ne sa del libro, lui guarderebbe l'etichetta e risponderebbe che non è un romanzo. Il libraio spinoziano farebbe la stessa cosa, rispondendo nello stesso modo perchè vedrebbe che non c'è l'etichetta. Ma immaginiamo che arrivi un nuovo libro, ad esempio l'ultimo thriller di Patricia Cornwell. Se prendiamo il libro e chiediamo ad entrambi i librai cosa ne sanno, la loro risposta rivelerebbe molto sul processo sottostante al modo di schedare i libri. Il cartesiano direbbe che non sa che tipo di libro è, e ci chiederebbe di tornare in seguito per dargli il tempo di leggerlo ed etichettarlo; lo spjnoziano ,vedendo l'assenza di etichetta direbbe che non è un romanzo, commettendo un errore.
Ora ipotizziamo che un idea venga presentata al cervello, e che la persona che la sta considerando venga interrotta in qualche modo. In un sistema cartesiano, la persona è lasciata con la mancata comprensione, ma senza la perdita di alcuna credenza. Invece in un sistema spinoziano l'interruzione del processo potrebbe portare a credere in un idea falsa. Così, fornire idee alle persone e poi interromperle con altri compiti può aiutare a capire se la gente usa un approccio cartesiano o spinoziano quando arriva a credere.
Sono stati fatti numerosi esperimenti, e si è visto che distrarre le persone impatta la loro capacità di credere in determinati argomenti. Ad esempio, ne è stato fatto uno con degli studenti a cui veniva detto che sarebbero state dimezzate le loro borse di studio. Ad alcuni è stato detto con argomenti convincenti, ad altri in modo molto meno credibile. Nel contempo gli studenti venivano distratti, anche qui con distrazioni forti per un gruppo e con distrazioni deboli per un altro. Ebbene si è visto che in presenza di argomenti poco convincenti le persone distratte con forza mostravano di credere molto più di quanto facevano quelli distratti solo lievemente. Invece nel gruppo sottoposto ad argomenti convincenti, in presenza di forte distrazione, gli studenti erano meno propensi a credere di quelli per cui la distrazione era di bassa intensità.
Insomma, la distrazione ha lavorato esattamente nel senso della medesima parola, cioè impedire alle persone di concentrarsi.
La distrazione è una tecnica specialmente utile quando gli argomenti di una persona sono deboli perchè anche se la gente si rende conto che le viene presentato qualcosa, può non rendersi conto che gli argomenti non sono molto convincenti.
La pubblicità ne ha fatto un arte, subliminale: si manda un messaggio di reclàme mentre contemporaneamente si distrae - con un meccanismo di associazione piacevole, in genere. Meccanismo da tenere in mente anche nel confronto con il complesso politico-mediatico, mentre siamo bombardati da informazioni e "verità" varie.
Con altri esperimenti, si è osservato che le persone che seguono un approccio spinoziano scambiano proposizioni false per vere più spesso quando vengono interrotte che il resto del tempo.
Più in generale se ne ricava che il bisogno di credere per capire, come sostenuto da Spinoza, può avere conseguenze negative. Ci rende privi di controllo sulle nostre credenze, anche se l'assenza di controllo diretto non implica necessariamente che siamo alla mercè delle credenze.
Si possono immaginare due strategìe per contrastare la tendenza alla credulonità. La prima è quella che Gilbert definisce "incredulità". Cioè noi possiamo provare a compiere il lavoro analitico necessario per valutare realmente la veridicità di un idea, il che certamente attira gli empiristi. In generale, noi dovremmo per principio accettare con grande diffidenza qualsiasi informazione e usare l'evidenza per valutare quanto sia effettivamente reale. Per esempio, ci viene spesso detto che gli utili delle aziende quotate in borsa possono crescere molto più rapidamente del PIL per periodi lunghi. Naturalmente, su base annua non c'è un legame stretto tra le due grandezze. Ma, nel lungo periodo, si può verificare empiricamente come gli utili (e i dividendi) sono cresciuti sostanzialmetne al di sotto del tasso di crescita nominale del PIL(mediamente 1-2% in meno).Un altro esempio è la credenza che convenga investire nelle azioni cosiddette a crescita elevata. Non c'è dubbio che in alcuni casi, ciò si sia rivelato soddisfacente. Ma l'evidenza empirica mostra che cogliere i vincenti è eccezionalmente difficile e pieno di pericoli (nel senso che comprare azioni sopravvalutate che incorporano aspettative molto ottimistiche ovviamente comporta un enorme rischio se poi la realtà delude le attese), mentre comprare azioni sottovalutate offre almeno una maggiore protezione.
Così confrontare sistematicamente le credenze con la realtà empirica è un modo di provare a battere il sistema spinoziano. Ma, "l'incredulità" è una strategia rischiosa dal momento che si affida sull'avere il patrimonio cognitivo, che consente le verifiche empiriche, a propria disposizione. Sempre gli studi di Gilbert inoltre mostrano come il carico cognitivo, la pressione e i limiti temporali indeboliscono la nostra capacità di rigettare le false credenze.
La seconda strategia è chiamata "controllo dell'esposizione". E' un approccio più draconiano: le false credenze possono essere evitate evitando tutte le credenze. Proprio come una persona che fa la dieta e che ama le noccioline sceglie di di evitare i negozi che vendono noccioline, così possiamo provare ad evitare le fonti di informazione che ci portano a credere in cose false. E' una strategia conservativa che pecca dal lato dell'esclusione, consente di escludere le false credenze ma impedisce anche di accettare quelle vere; però, non soffre del problema dell'eccesso di pressione e degli altri fattori che gravano sulla strategia dell'incredulità.
In conclusione, la cosa ottimale pare essere una combinazione di queste strategìe. Quando stiamo relamente provando a valutare la validità di un argomento, per prima cosa dobbiamo fare del nostro meglio per evitare ogni forma di distrazione(spegnere gli schermi, staccare il telefono, insomma isolarsi da da ogni fonte di disturbo). Se invece lo stesso finiamo per essere distratti da qualcosa, allora aspettiamo un momento successivo più favorevole, quando possiamo dedicare alla valutazione il tempo e lo sforzo che ciò richiede; oppure seguiamo semplicemente una strategia di esclusione.
Tempo fa feci uno Speciale sui Miti nei mercati, come quello del tenere le azioni per il lungo periodo, dei dividendi che non contano, e così via. Il che mi ha spinto ad indagare sul perchè tanta gente, anche professionale, finisce per credere in false credenze. E sono andato, come altre volte a rivedere un pò di studi di psicologia in materia.
Proverò adesso a sintetizzare il frutto di queste letture, che portano sostanzialmente a una conclusione interessante: quando si è sottoposti a distrazioni (o si è bombardati da tante informazioni diverse) è più facile che si acquisiscano false credenze.
Questo è un meccanismo ben noto ai pubblicitari e ai politici, che lo sfruttano costantemente. Ed anche in economia e finanza regna sovrano.
Daniel Gilbert , professore di psicologia ad harvard, ha esplorato come si arrivi a credere e a capire le informazioni(Unbelieving the unbelievable,1990). In una serie di lavori Gilbert e altri autori hanno esplorato tale processo usando due punti di vista filosofici alternativi.
Il primo viene associato con il lavoro di Cartesio. Quest'ultimo, parlando del credere, ipotizzò che la mente performa due atti mentali separati. Prima, essa capisce l'idea. Poi, valuta la validità della medesima.
Questo processo a due stadi sembra intuitivamente corretto. Possiamo facilmente immaginare, quando ci viene presentata qualche nuova idea, di tenerla in mente e poi ponderarne la verità. L'approccio cartesiano funziona bene con la psicologia di massa. Cartesio fu educato dai gesuiti e come molti filosofi del 17° secolo studiò psicologia e filosofia per la teologia. Cartesio era ben consapevole che la gente è capace di credere cose non vere, ma per proteggere la Chiesa, sostenne che Dio ha dato all'uomo il potere di valutare le idee, così chiaramente non è colpa di Dio se la gente crede in cose non vere.
Gilbert osserva che l'approccio cartesiano si basa su due assiomi. Innanzitutto, la separazione mentale e la sequenzialità del comprendere-credere; ed in secondo luogo, che le persone non hanno controllo su come o cosa capiscono, ma al contempo sono totalmente libere di credere o non credere ciò che gli piace.
Alle idee di Cartesio si contrapposero quelle di Spinoza. Nato ebreo, Spinoza oltraggiò la sua comunità e la sinagoga, fu scomunicato, accusato di eresie abominevoli e altre mostruosità; l'ordine di scomunica proibiva agli altri membri della sinagoga di avere alcun contatto con lui. Liberato dalla necessità di conformarsi al suo passato, Spinoza fu capace di esplorare ogni cosa lo interessasse. E una delle aree cui dedicò la sua considerevole capacità di pensiero fu la fallacìa contenuta nell'approccio cartesiano. Spinoza sostenne che tutte le idee erano prima rappresentate come vere e solo dopo (con sforzo) valutate nella loro veracia.
Spinoza negò l'analisi che Cartesio metteva al centro del suo approccio a due stadi. Per lui comprensione e credenza erano uno stadio unico, vale a dire, affinchè qualcuno capisca qualcosa, deve crederci: credere è una precondizione necessaria. Tutte le informazioni o idee sono prima accettate come vere, e solo poi (qualche volta) rivalutate per la loro veridicità, ed una volta che questo processo è completato, se necessario, viene costruita una "credenza corretta".
Cartesio sosteneva le differenze tra cervello e mente; Spinoza invece vedeva come inscindibili le due entità.
Gilbert usa l'esempio di una libreria per evidenziare le differenze tra questi due approcci. Immaginiamo una libreria con diversi milioni di libri, di cui una parte sono romanzi. L'approccio cartesiano di schedare i libri sarebbe mettervi un etichetta rossa su ogni romanzo ed una blu su ogni altro. Ogni nuovo libro che appare nella libreria viene letto e poi etichettato in un modo o nell'altro. Ogni libro non letto resta semplicemente presente finchè non viene letto.
Per contro, una libreria spinoziana funzionerebbe in modo diverso. Un etichetta verrebbe messa solo ai romanzi, gli altri sarebbero lasciati senza. La facilità di questo sistema è chiara: richiede molto meno sforzo di quello cartesiano, ma il rischio è che quando arriva un nuovo libro sarebbe considerato come non romanzo, fino a quando non viene letto.
Gilbert osserva che in condizioni ideali entrambi i sistemi producono lo stesso risultato se viene loro consentito di ultimarsi. Così se prendiamo un libro di Darwin e chiediamo al libraio cartesiano cosa ne sa del libro, lui guarderebbe l'etichetta e risponderebbe che non è un romanzo. Il libraio spinoziano farebbe la stessa cosa, rispondendo nello stesso modo perchè vedrebbe che non c'è l'etichetta. Ma immaginiamo che arrivi un nuovo libro, ad esempio l'ultimo thriller di Patricia Cornwell. Se prendiamo il libro e chiediamo ad entrambi i librai cosa ne sanno, la loro risposta rivelerebbe molto sul processo sottostante al modo di schedare i libri. Il cartesiano direbbe che non sa che tipo di libro è, e ci chiederebbe di tornare in seguito per dargli il tempo di leggerlo ed etichettarlo; lo spjnoziano ,vedendo l'assenza di etichetta direbbe che non è un romanzo, commettendo un errore.
Ora ipotizziamo che un idea venga presentata al cervello, e che la persona che la sta considerando venga interrotta in qualche modo. In un sistema cartesiano, la persona è lasciata con la mancata comprensione, ma senza la perdita di alcuna credenza. Invece in un sistema spinoziano l'interruzione del processo potrebbe portare a credere in un idea falsa. Così, fornire idee alle persone e poi interromperle con altri compiti può aiutare a capire se la gente usa un approccio cartesiano o spinoziano quando arriva a credere.
Sono stati fatti numerosi esperimenti, e si è visto che distrarre le persone impatta la loro capacità di credere in determinati argomenti. Ad esempio, ne è stato fatto uno con degli studenti a cui veniva detto che sarebbero state dimezzate le loro borse di studio. Ad alcuni è stato detto con argomenti convincenti, ad altri in modo molto meno credibile. Nel contempo gli studenti venivano distratti, anche qui con distrazioni forti per un gruppo e con distrazioni deboli per un altro. Ebbene si è visto che in presenza di argomenti poco convincenti le persone distratte con forza mostravano di credere molto più di quanto facevano quelli distratti solo lievemente. Invece nel gruppo sottoposto ad argomenti convincenti, in presenza di forte distrazione, gli studenti erano meno propensi a credere di quelli per cui la distrazione era di bassa intensità.
Insomma, la distrazione ha lavorato esattamente nel senso della medesima parola, cioè impedire alle persone di concentrarsi.
La distrazione è una tecnica specialmente utile quando gli argomenti di una persona sono deboli perchè anche se la gente si rende conto che le viene presentato qualcosa, può non rendersi conto che gli argomenti non sono molto convincenti.
La pubblicità ne ha fatto un arte, subliminale: si manda un messaggio di reclàme mentre contemporaneamente si distrae - con un meccanismo di associazione piacevole, in genere. Meccanismo da tenere in mente anche nel confronto con il complesso politico-mediatico, mentre siamo bombardati da informazioni e "verità" varie.
Con altri esperimenti, si è osservato che le persone che seguono un approccio spinoziano scambiano proposizioni false per vere più spesso quando vengono interrotte che il resto del tempo.
Più in generale se ne ricava che il bisogno di credere per capire, come sostenuto da Spinoza, può avere conseguenze negative. Ci rende privi di controllo sulle nostre credenze, anche se l'assenza di controllo diretto non implica necessariamente che siamo alla mercè delle credenze.
Si possono immaginare due strategìe per contrastare la tendenza alla credulonità. La prima è quella che Gilbert definisce "incredulità". Cioè noi possiamo provare a compiere il lavoro analitico necessario per valutare realmente la veridicità di un idea, il che certamente attira gli empiristi. In generale, noi dovremmo per principio accettare con grande diffidenza qualsiasi informazione e usare l'evidenza per valutare quanto sia effettivamente reale. Per esempio, ci viene spesso detto che gli utili delle aziende quotate in borsa possono crescere molto più rapidamente del PIL per periodi lunghi. Naturalmente, su base annua non c'è un legame stretto tra le due grandezze. Ma, nel lungo periodo, si può verificare empiricamente come gli utili (e i dividendi) sono cresciuti sostanzialmetne al di sotto del tasso di crescita nominale del PIL(mediamente 1-2% in meno).Un altro esempio è la credenza che convenga investire nelle azioni cosiddette a crescita elevata. Non c'è dubbio che in alcuni casi, ciò si sia rivelato soddisfacente. Ma l'evidenza empirica mostra che cogliere i vincenti è eccezionalmente difficile e pieno di pericoli (nel senso che comprare azioni sopravvalutate che incorporano aspettative molto ottimistiche ovviamente comporta un enorme rischio se poi la realtà delude le attese), mentre comprare azioni sottovalutate offre almeno una maggiore protezione.
Così confrontare sistematicamente le credenze con la realtà empirica è un modo di provare a battere il sistema spinoziano. Ma, "l'incredulità" è una strategia rischiosa dal momento che si affida sull'avere il patrimonio cognitivo, che consente le verifiche empiriche, a propria disposizione. Sempre gli studi di Gilbert inoltre mostrano come il carico cognitivo, la pressione e i limiti temporali indeboliscono la nostra capacità di rigettare le false credenze.
La seconda strategia è chiamata "controllo dell'esposizione". E' un approccio più draconiano: le false credenze possono essere evitate evitando tutte le credenze. Proprio come una persona che fa la dieta e che ama le noccioline sceglie di di evitare i negozi che vendono noccioline, così possiamo provare ad evitare le fonti di informazione che ci portano a credere in cose false. E' una strategia conservativa che pecca dal lato dell'esclusione, consente di escludere le false credenze ma impedisce anche di accettare quelle vere; però, non soffre del problema dell'eccesso di pressione e degli altri fattori che gravano sulla strategia dell'incredulità.
In conclusione, la cosa ottimale pare essere una combinazione di queste strategìe. Quando stiamo relamente provando a valutare la validità di un argomento, per prima cosa dobbiamo fare del nostro meglio per evitare ogni forma di distrazione(spegnere gli schermi, staccare il telefono, insomma isolarsi da da ogni fonte di disturbo). Se invece lo stesso finiamo per essere distratti da qualcosa, allora aspettiamo un momento successivo più favorevole, quando possiamo dedicare alla valutazione il tempo e lo sforzo che ciò richiede; oppure seguiamo semplicemente una strategia di esclusione.
10/19/2006
Speciale Petrolio e Baltico
Speciale Petrolio e Baltico
A Pietroburgo , che affaccia sul mar baltico, ho avuto modo di approfondire una situazione poco conosciuta, ma di cui presto potremmo sentir parlare per le sue ricadute sul prezzo del petrolio.
Sin da quando finì l'Unione Sovietica, il governo russo ha cercato di contrastare l'erosione del suo potere, facendo pagare cara l'energia agli stati baltici; con i recenti rialzi la situazione per questi stati sta divenendo insostenibile.
A prima vista non si capisce il motivo per cui preoccuparsi di ciò che sta avvenendo in questo angolo del mondo. Estonia, Lituania e Lettonia non producono petrolio o gas, e dipendono dalle importazioni per la maggior parte delle risorse naturali di cui abbisognano. Ma queste piccole nazioni giocano un ruolo nel mercato energetico globale, perchè sono la sede dei porti da cui viene spedito il petrolio russo. Fino al 2002 vi erano solo due porti baltici connessi al grande sistema di oleodotti russo: Ventspils in Lettonia e Butinge in Lituania (mentre il porto estone di Tallinn riceve il petrolio da spedire via treno).
Ventspils era il più grande porto del mar baltico, fino a quando la Russia non ha completato i lavori di Primorsk nel 2002. Ed è stato allora che i problemi sono cominciati.
Al cuore della questione c'è la Transfnet che, già dai tempi dell'Unione Sovietica, controlla tutti gli oleodotti russi. Appena Primorsk è stato pronto a partire, la Transfnet non ha visto motivi per continuare a pompare il petrolio a Ventspils, ed ha chiuso il rubinetto. Adesso se la Lettonia vuole trasportare petrolio, ha bisogno che venga portato presso il suo porto via treno. Il che è molto più costoso e meno efficiente rispetto al trasporto via oleodotto. Il calo dei volumi che ne sono conseguiti e i maggiori costi, hanno compresso i margini di profitto del porto lettone , con riflessi sulla ricchezza dell'intera nazione baltica (oggi Ventspils trasporta solo un terzo delle quantità rispetto a prima).
Analaga la situazione del porto lituano di Butinge, anche se questo stato ha mantenuto migliori rapporti con i suoi fornitori russi rispetto a Primorsk, ed oggi trasporta quantitativi superiori rispetto a Ventspils, ma sempre piccoli rispetto a quanto afluisce a Primorsk; e la Russia ha sempre le chiavi del rubinetto... così potrebbe scegliere in qualsiasi momento di chiudere il flusso che arriva a Butinge.
Non si sa quanto sia probabile una mossa simile. In realtà l'area baltica è in difficoltà e le cose possono evolvere velcoemente. Attualmente, Ucraina e Russia stanno lottando per il controllo del sistema degli oleodotti; nel frattempo è riesplosa una disputa sui confini tra Russia ed Estonia, proprio quando sembrava fosse risolta; e la chiusura dei rubuinetti verso la Lettonia non aiuta ovviamente il clima nella regione.
Tutti gli stati baltici stanno avendo problemi a collaborare con la Russia per la sicurezza dei confini , e ad ottenere prezzi equi per le forniture energetiche. E come se non ce ne fosse abbastanza, la Russia ha appena tirato un altro colpo mancino agli stati baltici:
a inizio giugno, il monopolista russo del gas naturale, Gazprom, ha annunciato l'aumento del prezzo del gas fornito ai baltici per i prossimi 3 anni.
In verità, finora i baltici pagavano prezzi bassi rispetto agfli europei circa 90 dollari per mille metri cubi di gas, contro 150, che adesso diverrà il prezzo applicato anche a loro.Il che potrebbe sembrare una mossa ovvia; ma la verità è che Gazprom alza il prezzo anche ai baltici perchè ha bisogno di soldi. Un fondo di investimento russo con azioni Gazprom pubblica ogni anno un analisi sulla società, e dall'ultimo rapporto si evince una carenza di liquidità, derivante dal blocco delle vendite di assets, inoltre emergono pagamenti fiscali esosi, conti non pagati, costi salariali sproporzionatamente alti, e progetti di oleodotti molto cari. Ne deriva che il valore di mercato di Gazprom in relazione alle sue riserve è miniscolo in paragone a quello di compagnie come la BP o la Shell.Infine la produzione di gas del 2004 risulta sorprendentemente simile a quella del 1999, nonostante il ben noto aumento della domanda mondiale. Così i prezzi più alti possono aiutare Gazprom, ma già a quelli attuali gli stati baltici hanno difficoltà. Il lavoratore medio guadagna tra 400 e 500 dollari al mese (un medico in Estonia prende 700 dollari al mese); con salari così bassi, e il clima notriamente gelido di inverno, i prossimi mesi saranno molto difficili , e gli stati baltici pagheranno il prezzo della loro indipendenza politca.
Più preoccupante per noi è la situazione delle esportazioni petrolifere. In media, il porto russo di Primorsk è congelato per 155 giorni l'anno, il che ovviamente danneggia l'export. Con i prezzi più alti, le importazioni di Ventsils possono arrivare a fermarsi, e nessuno sa che effetto , prezzi ed eventi, avranno sulle esportazioni lituane.
Poichè allo stato attuale le esportazioni di petrolio derivanti dai porti baltici ammontano a 1,5 milioni di barili al giorno, anche questa situazione potrebbe andare a impattare sul prezzo del petrolio.
A Pietroburgo , che affaccia sul mar baltico, ho avuto modo di approfondire una situazione poco conosciuta, ma di cui presto potremmo sentir parlare per le sue ricadute sul prezzo del petrolio.
Sin da quando finì l'Unione Sovietica, il governo russo ha cercato di contrastare l'erosione del suo potere, facendo pagare cara l'energia agli stati baltici; con i recenti rialzi la situazione per questi stati sta divenendo insostenibile.
A prima vista non si capisce il motivo per cui preoccuparsi di ciò che sta avvenendo in questo angolo del mondo. Estonia, Lituania e Lettonia non producono petrolio o gas, e dipendono dalle importazioni per la maggior parte delle risorse naturali di cui abbisognano. Ma queste piccole nazioni giocano un ruolo nel mercato energetico globale, perchè sono la sede dei porti da cui viene spedito il petrolio russo. Fino al 2002 vi erano solo due porti baltici connessi al grande sistema di oleodotti russo: Ventspils in Lettonia e Butinge in Lituania (mentre il porto estone di Tallinn riceve il petrolio da spedire via treno).
Ventspils era il più grande porto del mar baltico, fino a quando la Russia non ha completato i lavori di Primorsk nel 2002. Ed è stato allora che i problemi sono cominciati.
Al cuore della questione c'è la Transfnet che, già dai tempi dell'Unione Sovietica, controlla tutti gli oleodotti russi. Appena Primorsk è stato pronto a partire, la Transfnet non ha visto motivi per continuare a pompare il petrolio a Ventspils, ed ha chiuso il rubinetto. Adesso se la Lettonia vuole trasportare petrolio, ha bisogno che venga portato presso il suo porto via treno. Il che è molto più costoso e meno efficiente rispetto al trasporto via oleodotto. Il calo dei volumi che ne sono conseguiti e i maggiori costi, hanno compresso i margini di profitto del porto lettone , con riflessi sulla ricchezza dell'intera nazione baltica (oggi Ventspils trasporta solo un terzo delle quantità rispetto a prima).
Analaga la situazione del porto lituano di Butinge, anche se questo stato ha mantenuto migliori rapporti con i suoi fornitori russi rispetto a Primorsk, ed oggi trasporta quantitativi superiori rispetto a Ventspils, ma sempre piccoli rispetto a quanto afluisce a Primorsk; e la Russia ha sempre le chiavi del rubinetto... così potrebbe scegliere in qualsiasi momento di chiudere il flusso che arriva a Butinge.
Non si sa quanto sia probabile una mossa simile. In realtà l'area baltica è in difficoltà e le cose possono evolvere velcoemente. Attualmente, Ucraina e Russia stanno lottando per il controllo del sistema degli oleodotti; nel frattempo è riesplosa una disputa sui confini tra Russia ed Estonia, proprio quando sembrava fosse risolta; e la chiusura dei rubuinetti verso la Lettonia non aiuta ovviamente il clima nella regione.
Tutti gli stati baltici stanno avendo problemi a collaborare con la Russia per la sicurezza dei confini , e ad ottenere prezzi equi per le forniture energetiche. E come se non ce ne fosse abbastanza, la Russia ha appena tirato un altro colpo mancino agli stati baltici:
a inizio giugno, il monopolista russo del gas naturale, Gazprom, ha annunciato l'aumento del prezzo del gas fornito ai baltici per i prossimi 3 anni.
In verità, finora i baltici pagavano prezzi bassi rispetto agfli europei circa 90 dollari per mille metri cubi di gas, contro 150, che adesso diverrà il prezzo applicato anche a loro.Il che potrebbe sembrare una mossa ovvia; ma la verità è che Gazprom alza il prezzo anche ai baltici perchè ha bisogno di soldi. Un fondo di investimento russo con azioni Gazprom pubblica ogni anno un analisi sulla società, e dall'ultimo rapporto si evince una carenza di liquidità, derivante dal blocco delle vendite di assets, inoltre emergono pagamenti fiscali esosi, conti non pagati, costi salariali sproporzionatamente alti, e progetti di oleodotti molto cari. Ne deriva che il valore di mercato di Gazprom in relazione alle sue riserve è miniscolo in paragone a quello di compagnie come la BP o la Shell.Infine la produzione di gas del 2004 risulta sorprendentemente simile a quella del 1999, nonostante il ben noto aumento della domanda mondiale. Così i prezzi più alti possono aiutare Gazprom, ma già a quelli attuali gli stati baltici hanno difficoltà. Il lavoratore medio guadagna tra 400 e 500 dollari al mese (un medico in Estonia prende 700 dollari al mese); con salari così bassi, e il clima notriamente gelido di inverno, i prossimi mesi saranno molto difficili , e gli stati baltici pagheranno il prezzo della loro indipendenza politca.
Più preoccupante per noi è la situazione delle esportazioni petrolifere. In media, il porto russo di Primorsk è congelato per 155 giorni l'anno, il che ovviamente danneggia l'export. Con i prezzi più alti, le importazioni di Ventsils possono arrivare a fermarsi, e nessuno sa che effetto , prezzi ed eventi, avranno sulle esportazioni lituane.
Poichè allo stato attuale le esportazioni di petrolio derivanti dai porti baltici ammontano a 1,5 milioni di barili al giorno, anche questa situazione potrebbe andare a impattare sul prezzo del petrolio.
10/15/2006
La Nota sui mercati 15.10
La settimana 9 - 13 ottobre 2006
ECONOMIA: le mille bolle blu
"Credo quindi che si sia probabilmente posposta ogni eventuale mossa al ribasso dei tassi fed (nonostante Bernanke),ed anzi siano aumentate le possibilità di ulteriori rialzi. Se anche il mercato si convince di ciò, il movimento sarà violento: avremo la classica V nei rendimenti ...."
(sette giorni fa); un passo in questa direzione è stato fatto durante la settimana appena terminata con i dati sui consumi americani che mostrano come l'operazione di sostituzione della bolla immobiliare con quella azionaria, passando per un temporaneo calo del petrolio, stia avendo successo: le vendite al dettaglio, al netto della benzina, sono aumentate in tutti i comparti, mentre la fiducia dei consumaori è andata alle stelle, così come il deficit estero USA che ha toccato il nuovo record di quota 70 mld. trainato proprio dalle importazioni(+16% annuo).
Come in tutte le tragedie greche che si rispettino, nel frattempo il coro delle vestali Fed ha accompagnato il nuovo atto, avvicinando l'idea che vi possa essere un rialzo dei tassi all'orizzonte e non certamente un ribasso.
E' sempre stupefacente osservare le giravolte della fed e delle percezioni del mercato. Adesso è stato accantonato il rischio che l'indebolimento dell'immobiliare possa far entrare in recessione l'economia, mentre si continua a ignorare il rischio inflazione: insomma il migliore dei mondi possibili, come testimonia Wall Street ai massimi.
Si continuano a riscrivere le regole della finanza, dell'economia e della politica monetaria. Fino a poco tempo fa, sarebbe stato totalmente irragionevole pensare ad un economia USA in "condizioni ideali" con un deficit estero da 70 mld. al mese; e certamente non si sarebbe ritenuto possibile che i mercati e le autorità lo tollerassero; meno che mai si sarebbe potuto pensare ad ipotesi di calo dei tassi o di rivalutazione del dollaro nel pieno di questo squilibrio crescente.
Oggi invece hanno ribaltato completamente quanto sopra, e un inflazione al consumo tra il 3,5 ed il 4% viene oltretutto considerata accettabile.
Oggi si pontifica che tali squilibri sono anzi positivi, e guai a fare azioni restrittive: si citano la Fed del 1929 e la BOJ del 1989 come bestemmie da non ripetere. La Fed anzi ha 525 cts. a disposizione che garantiscono consumatori, debitori, creditori, speculatori,investitori, imprenditori, banchieri, Wally ed il Congresso: non devono preoccuparsi di come una recessione possa intaccare i loro progetti migliori.
L'ottimismo e gli eccessi rimangono abbondanti: il pendolo della speculazione lascia le case per ripartire verso le azioni (perfino quelle telecom); non importa l'oggetto, la sfera finanziaria profitta in ogni caso. La ridotta domanda per mutui ipotecari è stata sostituita dai prestiti commerciali; le perdite sugli energetici sono state sostituite con i profitti sui mercati creditizi; e così via.
La morale è che il rallentamento dell'immobiliare finora è servito solo a catalizzare un ancora maggiore disponibilità di credito e liquidità che si è riversata nella finanza aziendale e globale. Poca sorpresa, dunque, che l'occupazione tenga, che il consumo acceleri: condizioni finanziarie ultra lassiste stanno stimolando a livelli da boom fusioni ed acquisizioni, acquisti a leva, derivati e riacquisiti di azioni proprie, che giocano un ruolo critico nel mantenere l'inflazione degli asset più viva che mai, come dimostrano i mercati azionari.
La finanza contemporanea sta certamente riscrivendo il libro sull'inflazione. Non sono più i prezzi al consumo- specialmente quelli al netto di energia ed alimentari - l'indicatore delle condizioni monetarie.
In realtà, le condizioni "finanziarie" stanno soppiantando quelle "monetarie": sono loro a descivere meglio la situazione effettiva. E le condizioni finanziarie sono largamente dettate dalla bolla in essere che include i detentori stranieri di titoli USA, in un processo governato dalla moltiplicazione delle fome di debito e degli strumenti creditizi non tradizionali.
Il credito contemporaneo e le dinamiche della liquidità attuale, hanno ben poco in comune con il passato. Tradizionalmente, la Fed dettava le condizioni monetarie attraverso i meccanismi del sistema bancario, regolato dalle riserve obbligatorie e dalle operazioni con la banca centrale. La gestione delle riserve e della crescita dei depositi bancari regolava la crescita dei prestiti.
Oggi la Fed non opera sull'espansione delle banche, di wally, o di quant'altro. Fa finta di gestire l'ambiente finanziario generale con la manipolazione dei tassi d'interesse, sempre più marginali nell'ambito dei profitti finanziari. E' ridicolo che economisti e operatori continuino a citare la tiepida crescita di M2 come evidenza della restrittività della Fed. Perchè ignorare che le commercial paper stanno espandendosi del 21%, il credito bancario del 9,7% il coacervo degli altri strumenti creditizi come ABS, CDO, LBO etc. del 12%?
La verità è che le condizioni del credito e della liquidità restano ultra espansive, più che mai.
E c'è un daterello che spicca , pur ignorato anch'esso al momento:
il conseguente defict con il resto del mondo che quest'anno si avvia a sfiorare quota 1 trilione. Val la pena di ricordare che il deficit mensile viaggiava su quota 30 miliardi appena 4 anni fa quando il dollaro era a 0,90 con euro. Da allora il deficit si è più che raddoppiato anche se il dollaro ha perso circa il 30% come indice generale. E dunque nonostante una svalutazione del dollaro che avrebbe dovuto ridurre il
deficit, si è ottenuto l'opposto: come mai? perchè quello che conta sono le condizioni finaziarie nel frattempo divenute iper lassiste. La domanda per debiti americani invece di venire ridotta dalla debolezza del dollaro è stata amplificata, grazie al determinante concorso delle banche centrali estere. Chi avrebbe immaginato nel 2002 che i cinesi avrebbero aumentato i propri crediti verso gli USA da 200 milioni a 1 trilione nel 2006?
E qui arriviamo all'altra faccia della medaglia dell'attuale situazione senza precedenti. Cinesi, giapponesi, asiatici, paesi petroliferi, e la finanza globale in genere, hanno permesso gli eccessi americani per anni; ad un certo punto smetteranno, facendo scoppiare la mega bolla creditizia ? oppure continueranno ad accumulare crediti , fino a 2- 3 4 trilioni (esempio, per i soli cinesi, ma ci sono anche giapponesi, coreani,russi, opec, etc.)? I cinesi stanno cavalcando il loro proprio boom : i tentativi di raffreddare gli eccessi sono sempre falliti finora, a causa del torrenziale afflusso di moneta calda. Da notare però che anche in Cina, il recente raffreddamento dell'immobiliare sta producendo per converso un surriscaldamento del mercato azionario. Anzi, in tutto il pianeta, le condizioni finanziarie ultra lassiste stanno dando vita ad una nuova bolla azionaria, molto rara in termini storici per la sua sincronizzazione.
E mentre consumatori e imprese stanno festeggiando per il recente calo del petrolio, occorrerebbe andare invece molto cauti: sia nell'estrapolare questa fase, sia nel non considerare che ad esempio proprio questa settimana grano-mais-nickel-stagno-succo d'arancia, e altri, stanno facendo record al rialzo, a dimostrazione che l'orientamento inflazionistico resta acuto, le mille bolle blu continuano a scambiarsi l'un l'altra. In un mondo di liquidità e finanza illimitate, quanto è troppo per pagare commodities di cui non ce n'è abbastanza?
Dubito fortemente che il prezzo del petrolio non riprenda A CORRERE specialmente se il sopradescritto boom globale sorprende verso l'alto, così come le condizioni finanziarie iper lassiste assicurano.
MATERIE PRIME : ripartono
Come sopra accennato è partito un movimento rialzista generale,
a parte il gas naturale che è tornato indietro dopo il recente rimbalzo, chiudendo a 6 (scad. novembre) ma la scadenza marzo 07 quota 7,8.
Il crudo dal canto suo ha consolidato in area 58 concludendo a 58,6 (scad. novembre), e la scadenza dicembre è tornata sopra quota 60; tecnicamente da un momento all'altro potrebbe ripartire, anche se resto dell'idea che fino alle elezioni americane lo terranno ingabbiato.
Il settore dei metalli ha dato segnali di ripresa: l'oro a 593 (+3%)(dicembre) il rame a 341 (dicembre) l'argento a 11,7(dicembre); il platino a 1083(gennaio) il palladio a 316(dicembre)+ 5%.
L'oro ha fatto il balzo decisivo venerdì, e con questa chiusura diviene da comprare (vedasi l'analisi della scorsa nota).
L'indice generale CRB(dicembre) a 305(+1%).
Posizione di lungo termine: al rialzo
Posizione di medio termine: laterale
Posizione asset: nulla
CAMBI: dollaro ancora forte
Il dollaro ha incassato senza battere ciglio il mega deficit record, ed anzi è cresciuto ancora nel finale dopo i dati sui consumi americani.L'indice generale è tornato ai livelli di sei mesi prima, ma graficamente non ha ancora superato quota 87 per cui resta valido quanto scrivevo nella scorsa nota.
L'eurodollaro scad. dicembre che aveva cominciato a 1,26 conclude a 1,256 dopo un minimo a 1,253.L'euro infatti ha resistito meglio di altre valute e dà segnali di tenuta in area 1,25. L'immobilismo della politica monetaria nipponica continua invece a far gravare soprattutto sullo yen il rialzo del dollaro, che ha raggiunto quota 120 (euroyen sopra 150).
L'indice generale del dollaro a 86,9(dicembre)+0,8%
Posizione di lungo termine: dollaro al ribasso contro tutti
Posizione di medio termine: dollaro laterale
Posizione asset: nulla
OBBLIGAZIONI: rendimenti in crescita
E' proseguita l'ondata di vendite sull'obbligazionario, iniziata dopo i dati sull'occupazione; e si è accentuata dopo quelli sui consumi di venerdì. Nell'arco di 5 sedute operative il decennale ha visto risalire il rendimento di 25 cts. cioè metà del calo registrato nel terzo trimestre, è sparito come neve al sole (la famosa reazione a V sopramenzionata).
Negli USA come saldo settimanale il future sul tasso a tre mesi scad.dicembre 2007sale di 15 cts. al 5% , il 2 anni di 12 cts. al 4,86% il quinquennale di 12 cts. al 4,76 il decennale di 10 cts. al 4,80 il trentennale di 10 cts. al 4,94.
In Europa il Bund decennale sale di 8 cts. al 3,83% ed in Giappone il decennale sale di 6 cts. al 1,76%; il tasso sul debito dei paesi emergenti continua invece a restare sorprendentemente stabile.
Posizione di lungo termine: al rialzo dei rendimenti
Posizione di medio termine: laterale
Posizione asset: nulla
BORSE: bolla sincronica
La mia idea che il rialzo dei rendimenti avrebbe costretto wally a fare marcia indietro, si è rivelata sbagliata: per i motivi sopraesposti la bolla sull'azionario ha continuato a gonfiarsi. Così la vendita del minidow (scad. dicembre) effettuata a 11900 ho dovuto stopparla a 11960(-300$ a contratto), ed è stato un bene perchè ha concluso a 12022.
Per la settimana concludono: il Dow a 11960(+1%) lo sp500 a 1365(+1,2%) il nasdaq a 2357(+2,4%), il nasdaq100 a 1739(+2,5%), il Russell2000 (+3%); tra i settori, trasporti(+2%) i semiconduttori(+4%) le biotech (+1,2%) i broker/dealer(-1%) le banche(+0,5%).
Tokyo sale a 16536(+0,5%) di nikkey, in Europa dax tedesco a 6174(+1,5%) il footsie inglese a 6157(+2,5%), il cac francese a 5353(+1,5%) e l'Italietta senza la benchè minima speranza: l'SPmib a 39580(+1,8%) ed il Mibtel a 30201(+1,7%).Tutte le borse mondiali galoppano, ei guadagni da inizio anno hanno raggiunto il 28% in Messico, il 43% in Russia, il 35% in India ed il 53% in Cina.
Posizione di lungo termine: al ribasso generale
Posizione di medio termine: al ribasso generale
Posizione asset: nulla
PREVISIONI: arrivano i prezzi
L'analisi sopraillustrata( bolla creditizia globale in piena espansione) fa presumere che si prosegua con borse al rialzo, rendimenti in lieve crescita, dollaro sostenuto, e materie prime in recupero. Qual'è lo spillone che potrebbe disturbare, in particolare l'idillio delle borse? l'inflazione ufficiale, e cioè la crescita dei prezzi al consumo al netto di energia ed alimentari, che conosceremo questa settimana.
Si inizia lunedì con altri tre interventi di membri della Fed, fra cui spicca quello di Bernanke. Martedì vi saranno gli indici dei prezzi europei, assieme allo Zew tedesco di ottobre, e sul fronte USA un ricca infornata: prezzi alla produzione, afflussi netti di capitale, produzione industriale, ed altri due membri Fed che parleranno , mentre la giornata si concluderà alle 19 con l'indice degli addetti all'edilizia.
Mercoledì l'inflazione dagli USA: ci si aspetta un incremento mensile di 0,2% per la componente al netto dell'energia (quella totale è data in calo per effetto della caduta del prezzo del petrolio), che porterebbe il tasso degli ultimi 12 mesi al +2,9% (un record assoluto, e ricordo che per la fed non si dovrebbe andare oltre il 2%). Contemporaneamente usciranno anche nuovi cantieri e licenze edili di settembre. Se, per ipotesi, questi ultimi dovessero fare anche solo lievemente meglio del previsto, l'idea che l'aumento dei prezzi al consumo possa in futuro essere frenato dal rallentamento economico, dovrebbe venire archiviata: l'inflazione - soprattuto se toccasse quota 3%- tornerebbe sotto i riflettori. In tal caso l'idillio in borsa dovrebbe bruscamente interrompersi, anche perchè il decennale potrebbe facilmente tornare al 5%. La settimana si conclude praticamente qui: giovedì c'è solo il Philly Fed di ottobre (atteso rimbalzare dopo il crollo di un mese fa), e venerdì non c'è nulla.
ASSET: riepilogo (cifre per asset da centomila)
Chiuso il mini dow scad. dicembre venduto a 11900 e comprato a
11960(-300$).
Il saldo delle operazioni chiuse da inzio anno, dopo aver pagato le commissioni, è a +3200 euro (con 19 operazioni effettuate su eurodollaro+ 5 sul nasdaq+2 su gas naturale+1 su eurosvizzero+2 su oro+1 su argento+4 su bond+1 su euroyen+1 su petrolio+1 su s&p500+1 su dowjones); il rendimento complessivo, tenuto conto delle minus/plus in portafoglio, e del rateo di interessi maturato, è pari al +4,7% ed equivalente al +5,9% su base annua se si mantiene questo ritmo; come liquidità impegnata, i margini sui futures assorbono 0% ed il 100% è in conto corrente al 2,37% netto (3,25% tasso iwbank).
ECONOMIA: le mille bolle blu
"Credo quindi che si sia probabilmente posposta ogni eventuale mossa al ribasso dei tassi fed (nonostante Bernanke),ed anzi siano aumentate le possibilità di ulteriori rialzi. Se anche il mercato si convince di ciò, il movimento sarà violento: avremo la classica V nei rendimenti ...."
(sette giorni fa); un passo in questa direzione è stato fatto durante la settimana appena terminata con i dati sui consumi americani che mostrano come l'operazione di sostituzione della bolla immobiliare con quella azionaria, passando per un temporaneo calo del petrolio, stia avendo successo: le vendite al dettaglio, al netto della benzina, sono aumentate in tutti i comparti, mentre la fiducia dei consumaori è andata alle stelle, così come il deficit estero USA che ha toccato il nuovo record di quota 70 mld. trainato proprio dalle importazioni(+16% annuo).
Come in tutte le tragedie greche che si rispettino, nel frattempo il coro delle vestali Fed ha accompagnato il nuovo atto, avvicinando l'idea che vi possa essere un rialzo dei tassi all'orizzonte e non certamente un ribasso.
E' sempre stupefacente osservare le giravolte della fed e delle percezioni del mercato. Adesso è stato accantonato il rischio che l'indebolimento dell'immobiliare possa far entrare in recessione l'economia, mentre si continua a ignorare il rischio inflazione: insomma il migliore dei mondi possibili, come testimonia Wall Street ai massimi.
Si continuano a riscrivere le regole della finanza, dell'economia e della politica monetaria. Fino a poco tempo fa, sarebbe stato totalmente irragionevole pensare ad un economia USA in "condizioni ideali" con un deficit estero da 70 mld. al mese; e certamente non si sarebbe ritenuto possibile che i mercati e le autorità lo tollerassero; meno che mai si sarebbe potuto pensare ad ipotesi di calo dei tassi o di rivalutazione del dollaro nel pieno di questo squilibrio crescente.
Oggi invece hanno ribaltato completamente quanto sopra, e un inflazione al consumo tra il 3,5 ed il 4% viene oltretutto considerata accettabile.
Oggi si pontifica che tali squilibri sono anzi positivi, e guai a fare azioni restrittive: si citano la Fed del 1929 e la BOJ del 1989 come bestemmie da non ripetere. La Fed anzi ha 525 cts. a disposizione che garantiscono consumatori, debitori, creditori, speculatori,investitori, imprenditori, banchieri, Wally ed il Congresso: non devono preoccuparsi di come una recessione possa intaccare i loro progetti migliori.
L'ottimismo e gli eccessi rimangono abbondanti: il pendolo della speculazione lascia le case per ripartire verso le azioni (perfino quelle telecom); non importa l'oggetto, la sfera finanziaria profitta in ogni caso. La ridotta domanda per mutui ipotecari è stata sostituita dai prestiti commerciali; le perdite sugli energetici sono state sostituite con i profitti sui mercati creditizi; e così via.
La morale è che il rallentamento dell'immobiliare finora è servito solo a catalizzare un ancora maggiore disponibilità di credito e liquidità che si è riversata nella finanza aziendale e globale. Poca sorpresa, dunque, che l'occupazione tenga, che il consumo acceleri: condizioni finanziarie ultra lassiste stanno stimolando a livelli da boom fusioni ed acquisizioni, acquisti a leva, derivati e riacquisiti di azioni proprie, che giocano un ruolo critico nel mantenere l'inflazione degli asset più viva che mai, come dimostrano i mercati azionari.
La finanza contemporanea sta certamente riscrivendo il libro sull'inflazione. Non sono più i prezzi al consumo- specialmente quelli al netto di energia ed alimentari - l'indicatore delle condizioni monetarie.
In realtà, le condizioni "finanziarie" stanno soppiantando quelle "monetarie": sono loro a descivere meglio la situazione effettiva. E le condizioni finanziarie sono largamente dettate dalla bolla in essere che include i detentori stranieri di titoli USA, in un processo governato dalla moltiplicazione delle fome di debito e degli strumenti creditizi non tradizionali.
Il credito contemporaneo e le dinamiche della liquidità attuale, hanno ben poco in comune con il passato. Tradizionalmente, la Fed dettava le condizioni monetarie attraverso i meccanismi del sistema bancario, regolato dalle riserve obbligatorie e dalle operazioni con la banca centrale. La gestione delle riserve e della crescita dei depositi bancari regolava la crescita dei prestiti.
Oggi la Fed non opera sull'espansione delle banche, di wally, o di quant'altro. Fa finta di gestire l'ambiente finanziario generale con la manipolazione dei tassi d'interesse, sempre più marginali nell'ambito dei profitti finanziari. E' ridicolo che economisti e operatori continuino a citare la tiepida crescita di M2 come evidenza della restrittività della Fed. Perchè ignorare che le commercial paper stanno espandendosi del 21%, il credito bancario del 9,7% il coacervo degli altri strumenti creditizi come ABS, CDO, LBO etc. del 12%?
La verità è che le condizioni del credito e della liquidità restano ultra espansive, più che mai.
E c'è un daterello che spicca , pur ignorato anch'esso al momento:
il conseguente defict con il resto del mondo che quest'anno si avvia a sfiorare quota 1 trilione. Val la pena di ricordare che il deficit mensile viaggiava su quota 30 miliardi appena 4 anni fa quando il dollaro era a 0,90 con euro. Da allora il deficit si è più che raddoppiato anche se il dollaro ha perso circa il 30% come indice generale. E dunque nonostante una svalutazione del dollaro che avrebbe dovuto ridurre il
deficit, si è ottenuto l'opposto: come mai? perchè quello che conta sono le condizioni finaziarie nel frattempo divenute iper lassiste. La domanda per debiti americani invece di venire ridotta dalla debolezza del dollaro è stata amplificata, grazie al determinante concorso delle banche centrali estere. Chi avrebbe immaginato nel 2002 che i cinesi avrebbero aumentato i propri crediti verso gli USA da 200 milioni a 1 trilione nel 2006?
E qui arriviamo all'altra faccia della medaglia dell'attuale situazione senza precedenti. Cinesi, giapponesi, asiatici, paesi petroliferi, e la finanza globale in genere, hanno permesso gli eccessi americani per anni; ad un certo punto smetteranno, facendo scoppiare la mega bolla creditizia ? oppure continueranno ad accumulare crediti , fino a 2- 3 4 trilioni (esempio, per i soli cinesi, ma ci sono anche giapponesi, coreani,russi, opec, etc.)? I cinesi stanno cavalcando il loro proprio boom : i tentativi di raffreddare gli eccessi sono sempre falliti finora, a causa del torrenziale afflusso di moneta calda. Da notare però che anche in Cina, il recente raffreddamento dell'immobiliare sta producendo per converso un surriscaldamento del mercato azionario. Anzi, in tutto il pianeta, le condizioni finanziarie ultra lassiste stanno dando vita ad una nuova bolla azionaria, molto rara in termini storici per la sua sincronizzazione.
E mentre consumatori e imprese stanno festeggiando per il recente calo del petrolio, occorrerebbe andare invece molto cauti: sia nell'estrapolare questa fase, sia nel non considerare che ad esempio proprio questa settimana grano-mais-nickel-stagno-succo d'arancia, e altri, stanno facendo record al rialzo, a dimostrazione che l'orientamento inflazionistico resta acuto, le mille bolle blu continuano a scambiarsi l'un l'altra. In un mondo di liquidità e finanza illimitate, quanto è troppo per pagare commodities di cui non ce n'è abbastanza?
Dubito fortemente che il prezzo del petrolio non riprenda A CORRERE specialmente se il sopradescritto boom globale sorprende verso l'alto, così come le condizioni finanziarie iper lassiste assicurano.
MATERIE PRIME : ripartono
Come sopra accennato è partito un movimento rialzista generale,
a parte il gas naturale che è tornato indietro dopo il recente rimbalzo, chiudendo a 6 (scad. novembre) ma la scadenza marzo 07 quota 7,8.
Il crudo dal canto suo ha consolidato in area 58 concludendo a 58,6 (scad. novembre), e la scadenza dicembre è tornata sopra quota 60; tecnicamente da un momento all'altro potrebbe ripartire, anche se resto dell'idea che fino alle elezioni americane lo terranno ingabbiato.
Il settore dei metalli ha dato segnali di ripresa: l'oro a 593 (+3%)(dicembre) il rame a 341 (dicembre) l'argento a 11,7(dicembre); il platino a 1083(gennaio) il palladio a 316(dicembre)+ 5%.
L'oro ha fatto il balzo decisivo venerdì, e con questa chiusura diviene da comprare (vedasi l'analisi della scorsa nota).
L'indice generale CRB(dicembre) a 305(+1%).
Posizione di lungo termine: al rialzo
Posizione di medio termine: laterale
Posizione asset: nulla
CAMBI: dollaro ancora forte
Il dollaro ha incassato senza battere ciglio il mega deficit record, ed anzi è cresciuto ancora nel finale dopo i dati sui consumi americani.L'indice generale è tornato ai livelli di sei mesi prima, ma graficamente non ha ancora superato quota 87 per cui resta valido quanto scrivevo nella scorsa nota.
L'eurodollaro scad. dicembre che aveva cominciato a 1,26 conclude a 1,256 dopo un minimo a 1,253.L'euro infatti ha resistito meglio di altre valute e dà segnali di tenuta in area 1,25. L'immobilismo della politica monetaria nipponica continua invece a far gravare soprattutto sullo yen il rialzo del dollaro, che ha raggiunto quota 120 (euroyen sopra 150).
L'indice generale del dollaro a 86,9(dicembre)+0,8%
Posizione di lungo termine: dollaro al ribasso contro tutti
Posizione di medio termine: dollaro laterale
Posizione asset: nulla
OBBLIGAZIONI: rendimenti in crescita
E' proseguita l'ondata di vendite sull'obbligazionario, iniziata dopo i dati sull'occupazione; e si è accentuata dopo quelli sui consumi di venerdì. Nell'arco di 5 sedute operative il decennale ha visto risalire il rendimento di 25 cts. cioè metà del calo registrato nel terzo trimestre, è sparito come neve al sole (la famosa reazione a V sopramenzionata).
Negli USA come saldo settimanale il future sul tasso a tre mesi scad.dicembre 2007sale di 15 cts. al 5% , il 2 anni di 12 cts. al 4,86% il quinquennale di 12 cts. al 4,76 il decennale di 10 cts. al 4,80 il trentennale di 10 cts. al 4,94.
In Europa il Bund decennale sale di 8 cts. al 3,83% ed in Giappone il decennale sale di 6 cts. al 1,76%; il tasso sul debito dei paesi emergenti continua invece a restare sorprendentemente stabile.
Posizione di lungo termine: al rialzo dei rendimenti
Posizione di medio termine: laterale
Posizione asset: nulla
BORSE: bolla sincronica
La mia idea che il rialzo dei rendimenti avrebbe costretto wally a fare marcia indietro, si è rivelata sbagliata: per i motivi sopraesposti la bolla sull'azionario ha continuato a gonfiarsi. Così la vendita del minidow (scad. dicembre) effettuata a 11900 ho dovuto stopparla a 11960(-300$ a contratto), ed è stato un bene perchè ha concluso a 12022.
Per la settimana concludono: il Dow a 11960(+1%) lo sp500 a 1365(+1,2%) il nasdaq a 2357(+2,4%), il nasdaq100 a 1739(+2,5%), il Russell2000 (+3%); tra i settori, trasporti(+2%) i semiconduttori(+4%) le biotech (+1,2%) i broker/dealer(-1%) le banche(+0,5%).
Tokyo sale a 16536(+0,5%) di nikkey, in Europa dax tedesco a 6174(+1,5%) il footsie inglese a 6157(+2,5%), il cac francese a 5353(+1,5%) e l'Italietta senza la benchè minima speranza: l'SPmib a 39580(+1,8%) ed il Mibtel a 30201(+1,7%).Tutte le borse mondiali galoppano, ei guadagni da inizio anno hanno raggiunto il 28% in Messico, il 43% in Russia, il 35% in India ed il 53% in Cina.
Posizione di lungo termine: al ribasso generale
Posizione di medio termine: al ribasso generale
Posizione asset: nulla
PREVISIONI: arrivano i prezzi
L'analisi sopraillustrata( bolla creditizia globale in piena espansione) fa presumere che si prosegua con borse al rialzo, rendimenti in lieve crescita, dollaro sostenuto, e materie prime in recupero. Qual'è lo spillone che potrebbe disturbare, in particolare l'idillio delle borse? l'inflazione ufficiale, e cioè la crescita dei prezzi al consumo al netto di energia ed alimentari, che conosceremo questa settimana.
Si inizia lunedì con altri tre interventi di membri della Fed, fra cui spicca quello di Bernanke. Martedì vi saranno gli indici dei prezzi europei, assieme allo Zew tedesco di ottobre, e sul fronte USA un ricca infornata: prezzi alla produzione, afflussi netti di capitale, produzione industriale, ed altri due membri Fed che parleranno , mentre la giornata si concluderà alle 19 con l'indice degli addetti all'edilizia.
Mercoledì l'inflazione dagli USA: ci si aspetta un incremento mensile di 0,2% per la componente al netto dell'energia (quella totale è data in calo per effetto della caduta del prezzo del petrolio), che porterebbe il tasso degli ultimi 12 mesi al +2,9% (un record assoluto, e ricordo che per la fed non si dovrebbe andare oltre il 2%). Contemporaneamente usciranno anche nuovi cantieri e licenze edili di settembre. Se, per ipotesi, questi ultimi dovessero fare anche solo lievemente meglio del previsto, l'idea che l'aumento dei prezzi al consumo possa in futuro essere frenato dal rallentamento economico, dovrebbe venire archiviata: l'inflazione - soprattuto se toccasse quota 3%- tornerebbe sotto i riflettori. In tal caso l'idillio in borsa dovrebbe bruscamente interrompersi, anche perchè il decennale potrebbe facilmente tornare al 5%. La settimana si conclude praticamente qui: giovedì c'è solo il Philly Fed di ottobre (atteso rimbalzare dopo il crollo di un mese fa), e venerdì non c'è nulla.
ASSET: riepilogo (cifre per asset da centomila)
Chiuso il mini dow scad. dicembre venduto a 11900 e comprato a
11960(-300$).
Il saldo delle operazioni chiuse da inzio anno, dopo aver pagato le commissioni, è a +3200 euro (con 19 operazioni effettuate su eurodollaro+ 5 sul nasdaq+2 su gas naturale+1 su eurosvizzero+2 su oro+1 su argento+4 su bond+1 su euroyen+1 su petrolio+1 su s&p500+1 su dowjones); il rendimento complessivo, tenuto conto delle minus/plus in portafoglio, e del rateo di interessi maturato, è pari al +4,7% ed equivalente al +5,9% su base annua se si mantiene questo ritmo; come liquidità impegnata, i margini sui futures assorbono 0% ed il 100% è in conto corrente al 2,37% netto (3,25% tasso iwbank).
10/12/2006
Speciale Banca Romana
Speciale Banca Romana
Ogni tanto, mentre si è immersi nell'attualità, può essere opportuno
ed istruttivo andarsi a rileggere qualche pagina di Storia.
In Italia dopo l'unità , a differenza degli altri paesi, non c'era un
solo istituto d'emissione ( a quell'epoca la Banca d'Italia non
esisteva, e vedremo qui quali vicende ne determinarono la
costituzione) ma ben sei: la Banca nazionale, la Banca nazionale
toscana, la Banca toscana di credito, la Banca romana, il Banco di
Napoli e il Banco di Sicilia. Il neo Stato unitario assegnava un
limite alle loro emissioni, e ciò era di competenza del Ministro del
Tesoro. Peccato che fin dall'inizio non riuscì mai a farlo
rispettare. Solleticate dagli operatori economici, per uscire dalla
stagnazione, le sei banche stampavano biglietti oltre la misura
consentita e ciò provocava inflazione e disordine.
Il Ministro dell'epoca, Minghetti, aveva pensato ad un unificazione
degli istituti di emissione, ma non aveva la forza politica per
imporla; allora ripiegò su un progetto di legge che creava fra essi
un consorzio per regolarne l'attività. Il progetto subì attacchi
violenti, da parte della Destra sostenitrice dell'assoluta libertà
bancaria, ma ebbe consensi dalla Sinistra moderata, che riuscì a far
passare la legge a maggioranza. Essa regolò per venti anni (siamo
nel 1873) il sistema bancario italiano, ma non lo mise al riparo da
guasti destinati a provocare una delle crisi più sconvolgenti che
l'Italia abbia mai attraversato.
Negli anni 80, governo Depretis, fu abolito il corso forzoso;
precisamente nell'83 , e ciò nella solita atmosfera di sgomento e di
paura che accompagna tutte le novità. I benpensanti erano convinti
che gli italiani avrebbero fatto ressa allo sportello delle banche
per cambiare i biglietti in moneta di metallo e tesaurizzarle
sottraendole alla circolazione. Fino a quel momento il cosiddetto
aggio, cioè la differenza di valore della lira-oro con la lira-carta
era stato di circa il 10% (dunque nelle contrattazioni private una
moneta d'oro da cento lire ne valeva centodieci di carta)proprio
perché non c'era la convertibilità. Il semplice annuncio del decreto
di convertibilità e quindi l'abolizione del corso forzoso, ridusse
questa differenza a meno dell'1%. E contrariamente alle attese, i
biglietti cambiati ammontarono solo a 250 milioni, cifra
considerevole, ma pur sempre una modesta quota del totale della
circolazione monetaria. GL'ITALIANI SI ERANO ABITUATI ALLA
CIRCOLAZIONE CARTACEA. Questo provocò diverse sostanziose
conseguenze. Anzitutto, con l'oro accumulato nelle sue casse per far
fronte alle richieste del risparmiatore nel caso in cui questi avesse
voluto effettivamente convertire i suoi biglietti di banca, lo Stato
lanciò un prestito che gli fruttò 650 milioni. Ma oltre a questo, la
prova di forza e di stabilità fornita dalla lira, ne rialzò la
quotazione in tutte le Borse del mondo attirando in Italia circa un
mezzo miliardo di capitali stranieri. Poteva essere la grande
occasione del decollo. Ma purtroppo mancò il principale strumento:
le Banche. Eppure ce ne erano tante, perché dopo l'unità quasi tutti
i vecchi Stati avevano voluto conservare le loro, il che provocava un
grave disordine finanziario. Non solo. Ma i loro criteri di gestione
erano i meno adatti a svolgere compiti imprenditoriali. Le più forti
come consistenza di fondi, erano la Cassa depositi e prestiti, le
varie Casse di Risparmio e le banche popolari. Erano queste che
rastrellavano due buoni terzi del risparmio nazionale, ch'era un
risparmio di piccola gente di provincia e di campagna, ignara del
mondo moderno, timorosa delle novità, e attaccata alla sicurezza. Si
mirava ad investimenti di modesto utile ma di tutta sicurezza, come i
mutui alle province e ai comuni per le opere pubbliche, cartelle di
credito fondiario o titoli del debito pubblico. Alle banche ordinarie
andava invece il risparmio dei ceti più intraprendenti e attivi che,
avendo maggiori disponibilità, tenevano meno alla sicurezza, ma più
agli utili, e li volevano tali da compensare il rischio. Queste
ultime erano inoltre, e in parte sono tuttora, affette dal vizio
congenito dell'usura. Gli alti interessi ch'esse esigevano rendevano
proibitivi i finanziamenti a scopo industriale che richiedono tassi
modesti e lunghe scadenze. Perciò all'imprenditore esse avevano
preferito lo speculatore di cui erano divenute le grandi complici.
Pur avendo a disposizione tutto quel circolante ne approfittarono
per inflazionare il credito a vantaggio soprattutto della
speculazione edilizia, nella cui clamorosa bancarotta dovevano
restare di lì a pochi anni coinvolte. Per trovare l'ossigeno
necessario alle loro iniziative, gli imprenditori italiani dovranno
aspettare l'arrivo delle banche ebraiche tedesche, cioè della Banca
Commerciale a Milano di Joel e Toeplitz, e del Credito Italiano a
Genova di Goldsmith. Crispi infatti nel 94 dopo che si toccò l'acme
della crisi, con il Credito Mobiliare e la Generale sprofondati nel
baratro, chiese aiuto al suo grande amico Bismarck. Questi persuase
alcuni riluttanti finanzieri tedeschi a intervenire : Toeplitz, Joel,
Golsmith erano dei finanzieri ebrei di grande esperienza
internazionale, per i quali la Banca non doveva limitarsi ad
operazioni di credito ordinario, ma farsi promotrice di una vasta
mobilitazione di capitali per fornire il propellente all'industria.
In Italia il capitale c'era, il risparmio nazionale ammontava a
cinque miliardi, ma la fetta più grossa era congelata dalla paura, e
il resto alimentava solo il giuoco d'azzardo della speculazione.
Andiamo quindi a vedere l'episodio più clamoroso di quell'epoca, lo
scandalo della Banca Romana,che aveva alimentato la paura dei
risparmiatori, soprattutto nei suoi risvolti politici così come li
ha raccontati Indro Montanelli nella sua Storia d'Italia.
Per ricostruirlo, occorre fare qualche passo indietro. Il
trasferimento della Capitale da Firenze a Roma, vi aveva provocato
una vera e propria febbre edilizia. I romani si erano gettati sulla
speculazione delle aree fabbricabili, i cui prezzi in poco tempo
erano saliti alle stelle. Come sempre i piani regolatori in Italia,
anche quello varato per porre un argine alla frenesia romana, rimase
sulla carta. In vista di un espansione urbana che poi non ci fu,
almeno nella misura in cui si pensava, Roma fu tutta un cantiere. E
per alimentarlo gl'impresari attinsero a man bassa al credito delle
Banche. Come sopra ricordato, gli istituti di emissione , che avevano
facoltà di stampare e mettere in circolazione carta moneta , erano
sei. I governi che si erano succeduti avevano tentato di attribuire
questo diritto in esclusiva alla banca d'Italia, che allora si
chiamava banca nazionale. Ma non c'erano mai riusciti per la
resistenza delle altre cinque, fra cui quella Romana, autorizzata a
emettere biglietti per 45 milioni. Quando il grande boom edilizio
finì nella solita voragine di fallimenti, la banca Romana si trovò
seppellita sotto una valanga di crediti inesigibili e corse voce che
fosse prossima a fallire.
Il Ministro dell'Industria e Commercio, Miceli, prese l'iniziativa di
un inchiesta che affidò a due solerti funzionari, Alvisi e Biagini.
Costoro appurarono che la banca non solo aveva messo in circolazione
25 milioni (oltre il 50%) in più di quanto consentito, ma ne aveva
perfino stampati clandestinamente altri 9 (stiamo parlando di
parecchie decine di miliardi di oggi). Responsabile di questa
colossale truffa era il direttore , un certo Tanlongo, che quando si
vide colto con le mani nel sacco, non se ne allarmò. Troppa gente era
interessata a mettere tutto a tacere: grandi imprenditori, uomini
politici, giornalisti. Ebbe ragione. Adducendo a pretesto le gravi
conseguenze che la pubblicazione del rapporto avrebbe potuto avere
nel mondo della finanza, Crispi, capo del governo, ne ordinò
l'insabbiamento. A Tanlongo fu proposta 3 anni dopo dal nuovo capo di
governo, Giolitti, la nomina a senatore. Senonchè proprio in quel
momento moriva uno dei due inquirenti , Alvisi, che, turbato nella
sua coscienza dal silenzio che gli avevano imposto, aveva affidato
l'originale del suo rapporto a un giovane amico, Leo Wollemborg. Il
quale, a sua volta incerto sul da farsi, passò il documento a Maffeo
Pantaleoni che ne parlò con Pareto (entrambi noti economisti) e altri
amici, alcuni favorevoli, altri contrari alla denuncia del caso in
parlamento. Ma ormai le voci circolavano e Giolitti, rendendosi conto
che non poteva evitare la tempesta, cercò di prevenirla predisponendo
contro la Banca Romana un inchiesta amministrativa che evitasse
quella parlamentare.In un atmosfera di grande tensione Napoleone
Colaianni,il focoso socialista siciliano, lesse alla camera le
conclusioni dell'inchiesta Alvisi-Biagini. Ne seguì l'indagine
amministrativa voluta da Giolitti, affidata al senatore Fanali,
condotta a tambur battente e senza riguardi per nessuno. Furono
accertati fatti e circostanze ancora più gravi di quelle emerse
prima: oltre alla circolazione abusiva, risultava un vuoto di cassa
di 20 milioni E UNA FALSIFICAZIONE DI BILANCI che durava da oltre
venti anni. Tanlongo fu arrestato. Quando i carabinieri si
presentarono a casa del deputato De Zerbi, accusato di avere
intascato mezzo milione per aver insabbiato un progetto di riforma
che danneggiava la Banca romana, lo trovarono morto e non si è mai
saputo se per infarto o suicidio. Subito dopo un direttore del banco
di Napoli fu sorpreso mentre tentava, travestito da prete, di
espatriare con due milioni e mezzo sottratti al suo istituto. E quasi
contemporaneamente veniva assassinato in treno il marchese
Notarbartolo che aveva poco prima denunciato certi abusi al banco di
Sicilia, di cui era stato direttore (Gravemente indiziato del delitto
era il deputato Palizzolo, notissimo patrono della mafia, che infatti
fu condannato a 30 anni, ma la Cassazione annullò la sentenza e
ordinò un nuovo processo che si concluse con una vergognosa
assoluzione).
Questi episodi non avevano nulla a che fare con quello della Banca
Romana. Ma la loro concomitanza fece alzare la tensione , per cui una
semplice inchiesta amministrativa non poteva più bastare. Quando
Giolitti si recò alla Camera per illustrarne i risultati, Colaianni
aveva già avanzato la richiesta di un inchiesta parlamentare. Per
farla in breve, Giolitti dovette far fronte a un autentico tornado,
ma ne approfittò per varare il progetto di legge, che prevedeva la
fusione di 4 delle 6 principali banche (restano escluse Napoli e
Sicilia) in una sola, autorizzata in esclusiva alla emissione di
biglietti. Era l'atto di costituzione della Banca d'Italia.
Nel frattempo lo scandalo della banca romana aveva provocato un tale
sconquasso che alla fine del 93 due importanti istituti finanziari,
il Credito Mobiliare e la banca Generale, chiusero gli sportelli
alimentando il panico che già dilagava. Cadde Giolitti e salì al
governo Crispi, con una coalizione di "unione sacra" viste le
difficoltà anche sociali che esistevano. Al Ministero del tesoro e
elle finanze andò Sonnino, figlio di un israelita livornese, che
riuscì a raddrizzare la situazione, anche con misure impopolari come
l'aumento delle imposte sui generi di prima necessità, ma soprattutto
restaurando il buon ordine amministrativo e riorganizzando il debito
pubblico per ridare stabilità alla moneta. La sua più brillante
operazione fu quella che portò alla già citata fondazione della Banca
Commerciale, a seguito della quale l'industrializzazione ebbe un
decisivo avvìo. I capitali fuggiti tornarono, la lira riprese quota e
per la prima volta dopo sette anni migliorò la bilancia commerciale.
Ma l'affare della banca Romana non era stato ancora digerito
dall'opinione pubblica. Anzi, proprio in quell'estate del 94 era
stato rilanciato dal processo contro Tanlongo, che si era concluso
con una scandalosa assoluzione perché i giudici avevano accolto le
tesi della difesa, secondo cui alcuni documenti rinvenuti in casa
dell'imputato al momento del suo arresto erano stati sottratti per
coprire le responsabilità di importanti personaggi. Questi ultimi non
potevano che essere quelli al potere in quei giorni: cioè Giolitti.
Il quale passò alla controffensiva affermando che i famosi documenti
effettivamente c'erano : due lettere di Tanlongo dalle quali
risultava che non c'era stata sottrazione di documenti; ma vi erano
allegate un centinaio di altre lettere indirizzate a Tanlongo da
Donna Lina Crispi che, anche se non facevano nuova luce sulla Banca
Romana, ne gettavano una poco edificante sulla moglie del capo del
governo, che portò a nuove elezioni, in cui Crispi riuscì a vincere
di nuovo, e a trarlo dai guai furono gli avvenimenti africani.
Sull'Amba Alagi un battaglione italiano era stato sopraffatto dagli
abissini. L'emergenza fornì a Crispi il pretesto per rilanciare, in
nome della Patria in pericolo, l'unione sacra di tre anni prima. Ma
c'è da chiedersi se la risoluta azione coloniale in cui si impegnò
non gli fosse ispirata anche dal desiderio di distrarre l'attenzione
del paese dallo scandalo in cui si era trovato coinvolto e di
riguadagnare in Africa il prestigio perso in Italia. Invece della
rivincita, però, ci trovò la sconfitta definitiva.
Ogni tanto, mentre si è immersi nell'attualità, può essere opportuno
ed istruttivo andarsi a rileggere qualche pagina di Storia.
In Italia dopo l'unità , a differenza degli altri paesi, non c'era un
solo istituto d'emissione ( a quell'epoca la Banca d'Italia non
esisteva, e vedremo qui quali vicende ne determinarono la
costituzione) ma ben sei: la Banca nazionale, la Banca nazionale
toscana, la Banca toscana di credito, la Banca romana, il Banco di
Napoli e il Banco di Sicilia. Il neo Stato unitario assegnava un
limite alle loro emissioni, e ciò era di competenza del Ministro del
Tesoro. Peccato che fin dall'inizio non riuscì mai a farlo
rispettare. Solleticate dagli operatori economici, per uscire dalla
stagnazione, le sei banche stampavano biglietti oltre la misura
consentita e ciò provocava inflazione e disordine.
Il Ministro dell'epoca, Minghetti, aveva pensato ad un unificazione
degli istituti di emissione, ma non aveva la forza politica per
imporla; allora ripiegò su un progetto di legge che creava fra essi
un consorzio per regolarne l'attività. Il progetto subì attacchi
violenti, da parte della Destra sostenitrice dell'assoluta libertà
bancaria, ma ebbe consensi dalla Sinistra moderata, che riuscì a far
passare la legge a maggioranza. Essa regolò per venti anni (siamo
nel 1873) il sistema bancario italiano, ma non lo mise al riparo da
guasti destinati a provocare una delle crisi più sconvolgenti che
l'Italia abbia mai attraversato.
Negli anni 80, governo Depretis, fu abolito il corso forzoso;
precisamente nell'83 , e ciò nella solita atmosfera di sgomento e di
paura che accompagna tutte le novità. I benpensanti erano convinti
che gli italiani avrebbero fatto ressa allo sportello delle banche
per cambiare i biglietti in moneta di metallo e tesaurizzarle
sottraendole alla circolazione. Fino a quel momento il cosiddetto
aggio, cioè la differenza di valore della lira-oro con la lira-carta
era stato di circa il 10% (dunque nelle contrattazioni private una
moneta d'oro da cento lire ne valeva centodieci di carta)proprio
perché non c'era la convertibilità. Il semplice annuncio del decreto
di convertibilità e quindi l'abolizione del corso forzoso, ridusse
questa differenza a meno dell'1%. E contrariamente alle attese, i
biglietti cambiati ammontarono solo a 250 milioni, cifra
considerevole, ma pur sempre una modesta quota del totale della
circolazione monetaria. GL'ITALIANI SI ERANO ABITUATI ALLA
CIRCOLAZIONE CARTACEA. Questo provocò diverse sostanziose
conseguenze. Anzitutto, con l'oro accumulato nelle sue casse per far
fronte alle richieste del risparmiatore nel caso in cui questi avesse
voluto effettivamente convertire i suoi biglietti di banca, lo Stato
lanciò un prestito che gli fruttò 650 milioni. Ma oltre a questo, la
prova di forza e di stabilità fornita dalla lira, ne rialzò la
quotazione in tutte le Borse del mondo attirando in Italia circa un
mezzo miliardo di capitali stranieri. Poteva essere la grande
occasione del decollo. Ma purtroppo mancò il principale strumento:
le Banche. Eppure ce ne erano tante, perché dopo l'unità quasi tutti
i vecchi Stati avevano voluto conservare le loro, il che provocava un
grave disordine finanziario. Non solo. Ma i loro criteri di gestione
erano i meno adatti a svolgere compiti imprenditoriali. Le più forti
come consistenza di fondi, erano la Cassa depositi e prestiti, le
varie Casse di Risparmio e le banche popolari. Erano queste che
rastrellavano due buoni terzi del risparmio nazionale, ch'era un
risparmio di piccola gente di provincia e di campagna, ignara del
mondo moderno, timorosa delle novità, e attaccata alla sicurezza. Si
mirava ad investimenti di modesto utile ma di tutta sicurezza, come i
mutui alle province e ai comuni per le opere pubbliche, cartelle di
credito fondiario o titoli del debito pubblico. Alle banche ordinarie
andava invece il risparmio dei ceti più intraprendenti e attivi che,
avendo maggiori disponibilità, tenevano meno alla sicurezza, ma più
agli utili, e li volevano tali da compensare il rischio. Queste
ultime erano inoltre, e in parte sono tuttora, affette dal vizio
congenito dell'usura. Gli alti interessi ch'esse esigevano rendevano
proibitivi i finanziamenti a scopo industriale che richiedono tassi
modesti e lunghe scadenze. Perciò all'imprenditore esse avevano
preferito lo speculatore di cui erano divenute le grandi complici.
Pur avendo a disposizione tutto quel circolante ne approfittarono
per inflazionare il credito a vantaggio soprattutto della
speculazione edilizia, nella cui clamorosa bancarotta dovevano
restare di lì a pochi anni coinvolte. Per trovare l'ossigeno
necessario alle loro iniziative, gli imprenditori italiani dovranno
aspettare l'arrivo delle banche ebraiche tedesche, cioè della Banca
Commerciale a Milano di Joel e Toeplitz, e del Credito Italiano a
Genova di Goldsmith. Crispi infatti nel 94 dopo che si toccò l'acme
della crisi, con il Credito Mobiliare e la Generale sprofondati nel
baratro, chiese aiuto al suo grande amico Bismarck. Questi persuase
alcuni riluttanti finanzieri tedeschi a intervenire : Toeplitz, Joel,
Golsmith erano dei finanzieri ebrei di grande esperienza
internazionale, per i quali la Banca non doveva limitarsi ad
operazioni di credito ordinario, ma farsi promotrice di una vasta
mobilitazione di capitali per fornire il propellente all'industria.
In Italia il capitale c'era, il risparmio nazionale ammontava a
cinque miliardi, ma la fetta più grossa era congelata dalla paura, e
il resto alimentava solo il giuoco d'azzardo della speculazione.
Andiamo quindi a vedere l'episodio più clamoroso di quell'epoca, lo
scandalo della Banca Romana,che aveva alimentato la paura dei
risparmiatori, soprattutto nei suoi risvolti politici così come li
ha raccontati Indro Montanelli nella sua Storia d'Italia.
Per ricostruirlo, occorre fare qualche passo indietro. Il
trasferimento della Capitale da Firenze a Roma, vi aveva provocato
una vera e propria febbre edilizia. I romani si erano gettati sulla
speculazione delle aree fabbricabili, i cui prezzi in poco tempo
erano saliti alle stelle. Come sempre i piani regolatori in Italia,
anche quello varato per porre un argine alla frenesia romana, rimase
sulla carta. In vista di un espansione urbana che poi non ci fu,
almeno nella misura in cui si pensava, Roma fu tutta un cantiere. E
per alimentarlo gl'impresari attinsero a man bassa al credito delle
Banche. Come sopra ricordato, gli istituti di emissione , che avevano
facoltà di stampare e mettere in circolazione carta moneta , erano
sei. I governi che si erano succeduti avevano tentato di attribuire
questo diritto in esclusiva alla banca d'Italia, che allora si
chiamava banca nazionale. Ma non c'erano mai riusciti per la
resistenza delle altre cinque, fra cui quella Romana, autorizzata a
emettere biglietti per 45 milioni. Quando il grande boom edilizio
finì nella solita voragine di fallimenti, la banca Romana si trovò
seppellita sotto una valanga di crediti inesigibili e corse voce che
fosse prossima a fallire.
Il Ministro dell'Industria e Commercio, Miceli, prese l'iniziativa di
un inchiesta che affidò a due solerti funzionari, Alvisi e Biagini.
Costoro appurarono che la banca non solo aveva messo in circolazione
25 milioni (oltre il 50%) in più di quanto consentito, ma ne aveva
perfino stampati clandestinamente altri 9 (stiamo parlando di
parecchie decine di miliardi di oggi). Responsabile di questa
colossale truffa era il direttore , un certo Tanlongo, che quando si
vide colto con le mani nel sacco, non se ne allarmò. Troppa gente era
interessata a mettere tutto a tacere: grandi imprenditori, uomini
politici, giornalisti. Ebbe ragione. Adducendo a pretesto le gravi
conseguenze che la pubblicazione del rapporto avrebbe potuto avere
nel mondo della finanza, Crispi, capo del governo, ne ordinò
l'insabbiamento. A Tanlongo fu proposta 3 anni dopo dal nuovo capo di
governo, Giolitti, la nomina a senatore. Senonchè proprio in quel
momento moriva uno dei due inquirenti , Alvisi, che, turbato nella
sua coscienza dal silenzio che gli avevano imposto, aveva affidato
l'originale del suo rapporto a un giovane amico, Leo Wollemborg. Il
quale, a sua volta incerto sul da farsi, passò il documento a Maffeo
Pantaleoni che ne parlò con Pareto (entrambi noti economisti) e altri
amici, alcuni favorevoli, altri contrari alla denuncia del caso in
parlamento. Ma ormai le voci circolavano e Giolitti, rendendosi conto
che non poteva evitare la tempesta, cercò di prevenirla predisponendo
contro la Banca Romana un inchiesta amministrativa che evitasse
quella parlamentare.In un atmosfera di grande tensione Napoleone
Colaianni,il focoso socialista siciliano, lesse alla camera le
conclusioni dell'inchiesta Alvisi-Biagini. Ne seguì l'indagine
amministrativa voluta da Giolitti, affidata al senatore Fanali,
condotta a tambur battente e senza riguardi per nessuno. Furono
accertati fatti e circostanze ancora più gravi di quelle emerse
prima: oltre alla circolazione abusiva, risultava un vuoto di cassa
di 20 milioni E UNA FALSIFICAZIONE DI BILANCI che durava da oltre
venti anni. Tanlongo fu arrestato. Quando i carabinieri si
presentarono a casa del deputato De Zerbi, accusato di avere
intascato mezzo milione per aver insabbiato un progetto di riforma
che danneggiava la Banca romana, lo trovarono morto e non si è mai
saputo se per infarto o suicidio. Subito dopo un direttore del banco
di Napoli fu sorpreso mentre tentava, travestito da prete, di
espatriare con due milioni e mezzo sottratti al suo istituto. E quasi
contemporaneamente veniva assassinato in treno il marchese
Notarbartolo che aveva poco prima denunciato certi abusi al banco di
Sicilia, di cui era stato direttore (Gravemente indiziato del delitto
era il deputato Palizzolo, notissimo patrono della mafia, che infatti
fu condannato a 30 anni, ma la Cassazione annullò la sentenza e
ordinò un nuovo processo che si concluse con una vergognosa
assoluzione).
Questi episodi non avevano nulla a che fare con quello della Banca
Romana. Ma la loro concomitanza fece alzare la tensione , per cui una
semplice inchiesta amministrativa non poteva più bastare. Quando
Giolitti si recò alla Camera per illustrarne i risultati, Colaianni
aveva già avanzato la richiesta di un inchiesta parlamentare. Per
farla in breve, Giolitti dovette far fronte a un autentico tornado,
ma ne approfittò per varare il progetto di legge, che prevedeva la
fusione di 4 delle 6 principali banche (restano escluse Napoli e
Sicilia) in una sola, autorizzata in esclusiva alla emissione di
biglietti. Era l'atto di costituzione della Banca d'Italia.
Nel frattempo lo scandalo della banca romana aveva provocato un tale
sconquasso che alla fine del 93 due importanti istituti finanziari,
il Credito Mobiliare e la banca Generale, chiusero gli sportelli
alimentando il panico che già dilagava. Cadde Giolitti e salì al
governo Crispi, con una coalizione di "unione sacra" viste le
difficoltà anche sociali che esistevano. Al Ministero del tesoro e
elle finanze andò Sonnino, figlio di un israelita livornese, che
riuscì a raddrizzare la situazione, anche con misure impopolari come
l'aumento delle imposte sui generi di prima necessità, ma soprattutto
restaurando il buon ordine amministrativo e riorganizzando il debito
pubblico per ridare stabilità alla moneta. La sua più brillante
operazione fu quella che portò alla già citata fondazione della Banca
Commerciale, a seguito della quale l'industrializzazione ebbe un
decisivo avvìo. I capitali fuggiti tornarono, la lira riprese quota e
per la prima volta dopo sette anni migliorò la bilancia commerciale.
Ma l'affare della banca Romana non era stato ancora digerito
dall'opinione pubblica. Anzi, proprio in quell'estate del 94 era
stato rilanciato dal processo contro Tanlongo, che si era concluso
con una scandalosa assoluzione perché i giudici avevano accolto le
tesi della difesa, secondo cui alcuni documenti rinvenuti in casa
dell'imputato al momento del suo arresto erano stati sottratti per
coprire le responsabilità di importanti personaggi. Questi ultimi non
potevano che essere quelli al potere in quei giorni: cioè Giolitti.
Il quale passò alla controffensiva affermando che i famosi documenti
effettivamente c'erano : due lettere di Tanlongo dalle quali
risultava che non c'era stata sottrazione di documenti; ma vi erano
allegate un centinaio di altre lettere indirizzate a Tanlongo da
Donna Lina Crispi che, anche se non facevano nuova luce sulla Banca
Romana, ne gettavano una poco edificante sulla moglie del capo del
governo, che portò a nuove elezioni, in cui Crispi riuscì a vincere
di nuovo, e a trarlo dai guai furono gli avvenimenti africani.
Sull'Amba Alagi un battaglione italiano era stato sopraffatto dagli
abissini. L'emergenza fornì a Crispi il pretesto per rilanciare, in
nome della Patria in pericolo, l'unione sacra di tre anni prima. Ma
c'è da chiedersi se la risoluta azione coloniale in cui si impegnò
non gli fosse ispirata anche dal desiderio di distrarre l'attenzione
del paese dallo scandalo in cui si era trovato coinvolto e di
riguadagnare in Africa il prestigio perso in Italia. Invece della
rivincita, però, ci trovò la sconfitta definitiva.
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